Home
1953: leggi Bonomelli e capisci che in settant'anni qualcosa è cambiato...in peggio PDF Stampa E-mail
Mercoledì 18 Gennaio 2023 00:00

alt

Con il titolo «Dordoni ammazzarecord» un settimanale sportivo dedicò una intera pagina, oltre alla copertina, alla impresa del marciatore piacentino allo Stadio delle Terme, a Roma, quando abbassò il primato nazionale sui 50 chilometri e, di passaggio, alcuni altri. Era l'ottobre del 1953. In questa foto, Bruno Zauli, presidente della Federazione di atletica, incita il campione olimpico che, dall'espressione del volto, stava soffrendo non poco. Dordoni infatti, dicono le cronache, causa l'ingestione di una bevanda fredda, ebbe un violento attacco intestinale.

Data: 2 gennaio 1953. Giornale quotidiano: L’Unità. Titolo: Con l’appoggio della stampa si puntellano certi cadreghini. Autore: Bruno Bonomelli. Nella nostra modesta ricerca, appena iniziata, sull’anno 1953 e sugli eventi atletici di quell’anno, ci siamo soffermati su questo articolo di Bonomelli, allora collaboratore del quotidiano del Partito Comunista. Di seguito trascriviamo il testo del giornalista bresciano, accompagnandolo da una avvertenza: è un documento che va collocato nel suo tempo e come tale va letto. Ognuno poi ha la libertà – che certo non proviene da noi – di interpretare lo scritto come meglio crede. Bonomelli ha sempre suscitato con i suoi scritti, con i suoi atteggiamenti, forti giudizi in totale contrasto. Era, e restò sempre, una voce fuori dal coro, sicuramente non uno del gregge. Nel quale belavano in molti…Ognuno la pensi, dunque, come vuole.

*****

Il 30 ottobre si riunì in Roma il Consiglio nazionale uscente del CONI. Il presidente del CONI avvocato Onesti, di recente insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine della Repubblica di Haiti «Onore e Merito», lesse la relazione del Consiglio che si apprestava a uscire dalla porta e che comunque rientrò ben presto, sia pure dalla finestra. Essa fu ovviamente approvata per acclamazione. La relazione tronfia e gonfia di bolsa retorica, si guarda bene dall’esaminare o indagare se per caso lo sport italiano debba risolvere qualche suo problema particolare. Tutto è invece dato per risolto nel migliore dei mondi possibili (l’Italia) anche lo sport non può andare che per il meglio. Spirito di Voltaire esci dal sepolcro e vieni ad ammirare gli epigoni del tuo dottor Pangloss. Nessun giornale sportivo, nessuno dico, ha trovato modo e tempo di commentare la famosa relazione, che pur veniva diramata alla fine del quadriennio olimpico, finito per noi con il solenne fiasco di Helsinki. Bontà sua la relazione si accorge ad un certo punto che «l’Olimpiade è diventata un avvenimento realmente mondiale». Ora siccome l’Italia «ha chiesto ufficialmente anche le Olimpiadi estive del 1960» la relazione, assai umoristicamente, asserisce che questa richiesta non è «platonica» e che l’assegnazione dovrebbe esserci data «quale testimonianza del clima favorevole che l’idea olimpica trova sul suolo italiano, in ogni sua espressione tecnica ed organizzativa». Asserzione umoristica abbiamo affermato.

Infatti cosa significa la sigla C.O.N.I.? Tutti lo sanno: Comitato Olimpico Nazionale Italiano. Ripetiamo: OLIMPICO. E checchè ne dicano i vari Onesti, Zauli, Brera, Carlini, Chierici e Roghi, Olimpico è aggettivo che viene da Olimpia.

Ebbene, per aiutare lo spirito olimpico che ha fatto l’operoso CONI invece di risolvere, con gli svariati miliardi accumulati, il grave problema delle attrezzature sportive, che ancora oggi sono in Italia assolutamente inadeguate anche alla più modesta bisogna? Lo dice la stessa relazione: il CONI ha costruito il circuito auto-motociclistico di Imola. In parole povere il CONI si è dato agli affari; altro che spirito olimpico!

Diamo ora una rapida scorsa all’elenco dei contributi concessi alle Federazioni sportive nazionali nel 1951: atletica leggera 120 milioni di lire; ginnastica 51 milioni; scherma 61 milioni; nuoto 63 milioni; canottaggio 55 milioni. Di contro stanno i 684 milioni, o giù di lì, che, di diritto, spettano al calcio, che assolutamente sport olimpico non è, almeno per il 90 per cento.

La verità è che per puntellare i loro cadreghini, gli attuali dirigenti dello sport italiano cercano l’appoggio della stampa che sfrutta lo sport con scopi puramente commerciali. Ecco il perché di certe sovvenzioni che altrimenti riuscirebbero incomprensibili. Una lega basata sullo spirito olimpionico quella degli alti papaveri e dei giornali prezzolati? Non vi fa ridere questo?

Ora, in un paese in cui si sottraggono ingenti mezzi agli sport olimpionici, si può dire che si curi «lo spirito olimpionico»?

Intendiamoci bene: io non ho nulla contro gli sport da spettacolo; ognuno in questo bel mondo capitalistico fa i propri affarucci. Basta però che questo «fare» non sottragga ad altri ciò che spetta loro di diritto.

I dirigenti del CONI credono di aver risolto il problema delle attrezzature sportive in Italia forse perché nella prossima primavera verrà inaugurato «l’imponente costruzione» dello Stadio Olimpico di Roma, nel quale «c’è il cuore dell’Italia Sportiva». Ed il dottor Zauli vi si fa sorprendere dal direttore della «Gazzetta dello Sport», mentre con lo sguardo «indugia, come una carezza, sugli spalti». Se questa non è retorica, e della più bolsa, lascio giudicare il lettore. Ora è bene si sappia che, se si svolgessero a Roma le Olimpiadi del 1960, questo «imponente Stadio» rischierebbe di rimanere semivuoto nel corso della settimana di atletica. E che questa non sia falsa profezia lo prova il fatto che già in Italia nel 1934, nel corso dei primi campionati europei di atletica, lo stadio Comunale di Torino si riempì soltanto nella giornata finale, perché furono mobilitate a tale scopo, in divisa ben s’intende, tutte le organizzazioni del defunto partito fascista. Fu un tale schiaffo all’atletica che ancora ne parlano giornali, riviste e opuscoli specializzati di ogni parte del mondo. Né ora la situazione nei riguardi dell’atletica sembra essersi corretta, nel giardino d’Europa.

Le Forze del CONI anzi stanno mobilitandosi per dimostrare al mondo, nel 1960, che gli sport dilettantistici debbono lasciare ormai il passo alla pura speculazione calcistica. Ho sott’occhio a tale proposito le illuminate parole che il signor Barassi, presidente della F.I.G.C., ha pronunciato a Roma nel corso dell’Assemblea delle società calcistiche. Egli ha tuonato: “Spero che prima del 1960 sia risolta la dibattuta questione del dilettantismo, onde far onore alle Olimpiadi italiane perché l’Italia possa presentare una formazione adeguata al livello tecnico di questo torneo”.

In sostanza queste parole significano che nel 1960 il signor Barassi dimostrerà al mondo intero che il vero sport che va incrementato e curato è quello dei calciatori professionisti. La prova di ciò sta che dopo aver discusso intorno alla «Proposta per la costituzione di una Lega Nazionale Dilettanti», su evidente imbeccata del signor Barassi, venne approvata una dichiarazione che suona esattamente così:” L’Assemblea non ravvisa la necessità della costituzione di una Lega Nazionale Dilettanti”. Come si vede mai fu dato ammirare maggior coerenza.

Concludendo dirò che né megalomani né ipocriti hanno diritto di organizzare una Olimpiade. Chiunque è stato ad Helsinki onestamente non può che riconoscere questo.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 18 Gennaio 2023 20:03
 
Dear Mr. Bonomelli, I have very much pleasure...Yours sincerely, H.M. Abrahams PDF Stampa E-mail
Sabato 14 Gennaio 2023 00:00

alt

alt

 

Potremmo definire il documento che pubblichiamo oggi con un termine un po’ roborante: «eccezionale». Ma non lo facciamo per quel tanto di moderazione che pensiamo sia sempre indice di buon gusto. Sicuramente è un documento unico, originale, conservato nel ricco «Lascito Rosetta e Bruno Bonomelli», che riunisce tutto il materiale raccolto dallo storico bresciano che, primo nel nostro mondo sportivo, raccolse e conservò una imponente mole di libri, riviste, ritagli, fotocopie, fotografie, e, in più, un abbondantissimo carteggio con storici e statistici, giornalisti e dirigenti, di molti Paesi, con i quali fu continuamente in contatto per trattare argomenti inerenti il nostro sport. E a quei tempi, anni ’50 e ’60, non c’era la posta elettronica ma la posta…a lento incedere, lettere che potevano impiegare settimane, forse mesi, a giungere a destinazione. E i documenti come quello che ci pregiamo oggi di portare alla vostra attenzione è una testimonianza del tempo.

Trattasi di una lettera da Londra e diretta a Bruno Bonomelli, missiva datata 24 giugno 1955. Era stata preparata dagli uffici della World Sports, editore londinese di pubblicazioni di atletica e, fra queste, l’International Athletics Annual, il compendio compilatorio prodotto in nome della A.T.F.S., l’organizzazione che, dall’agosto 1950, riuniva coloro che, nel mondo, si occupavano di storia e statistica dell’atletica leggera. L’editore World Sports teneva la sua stamperia in Fleet Street, la strada dei giornali, degli editori, delle tipografie, fin dal 1500. In quella strada nacque, nel 1702, il primo quotidiano di Londra (nota del redattore: quante cose sa Wikipedia e fa fare a tutti coloro che usano questo strumento la figura dei sapienti, anche ai somari come noi…). I compilatori principali dell’annuario erano Roberto L. Quercetani, che della A.T.F.S. era il presidente, e Fulvio Regli, un italiano nato a Genova e poi divenuto cittadino elvetico, due persone straordinarie per tratto umano e per cultura.

Firmò la lettera Harold M. Abrahams (M. sta per Maurice) che era presidente onorario della associazione degli statistici mondiali. Ma che a chi minimamente sa di storia dell’atletica è ben più noto come campione olimpico dei 100 metri ai Giochi di Parigi-Stadio di Colombes del 1924. E alla cui fama, fra coloro che nulla sanno di atletica, contribuì un film che vinse quattro Oscar: Chariots of fire, nella versione italiana Momenti di gloria. Trascuriamo al momento la sala cinematografica e stiamo sugli statistici. La loro associazione fu fondata a Bruxelles, il 26 agosto 1950, in una sala del Café de la Madeleine. Si stavano disputando i quarti Campionati d’Europa, il giorno prima Pino Dordoni aveva vinto i 50 chilometri di marcia. In quel caffè in rue de la Montagne si incontrarono nove persone: il belga André Greuze, lo svizzero Fulvio Regli (che fu il primo ideatore di un gruppo di studiosi di atletica), il francese André Senay, il finlandese Björn-Johan Weckman, l’austriaco Erich Kamper, il britannico Norris McWhirter, il tedesco Ekkegard zur Megede, gli italiani Roberto L. Quercetani e Bruno Bonomelli. Non furono fisicamente presenti, ma furono inclusi nel novero dei fondatori, il professore universitario di matematica americano Don Potts e un altro tedesco Wolfgang Wünsche. Alla presidenza onoraria fu chiamato Harold Abrahams per l’indiscusso prestigio che si era guadagnato con la sua opera di dirigente, giornalista, storico, autore di libri, annunciatore, mecenate.

La lettera a Bruno Bonomelli è la prova dell’interesse che il famoso sprinter britannico portava nella associazione degli statistici, al punto di occuparsi perfino del buon esito delle vendite dell’Annuario in giro per il mondo, come attesta lo scritto che oggi qui riproduciamo. Insieme a una fotografia originale dell’arrivo dei 100 metri ai Giochi Olimpici di Parigi 1924. Magari voi rivedetevi Momenti di gloria, e siate indulgenti per le troppe licenze (errate) che si prese il regista londinese Hugh Hudson. Noi siamo convinti che il film abbia portato più notorietà all’atletica di tanti pallosi libri che ripetono da decenni le solite storielle, più o meno ben scritte.

Abbiamo scelto la data di oggi non a caso per proporvi questi documenti. Quarantacinque anni fa, il 14 gennaio 1978, concludeva la sua esistenza Harold M. Abrahams, che, come la voce narrante sottolinea nel film, fece parte di quel gruppo di giovani che corse "con la speranza nel cuore e le ali ai piedi".

Ultimo aggiornamento Sabato 14 Gennaio 2023 22:25
 
Un leone rampante da 72 anni sui campi di atletica per la combattiva Leonessa PDF Stampa E-mail
Giovedì 12 Gennaio 2023 13:45

alt

Assomiglia al Leone di Brabante che adorna lo stemma del Belgio. Anzi, pare il suo gemello. È il leone rampante racchiuso in un triangolo isoscele rovesciato che da 72 anni fa bella mostra sulla camiciola che avvolge il torace di ragazzi e ragazze che hanno fatto onore, sempre e comunque, al club sportivo Atletica Brescia 1950. Origini, percorso, atleti, risultati, titoli vinti, sono racchiusi nelle 150 pagine di un libro, formato A4, edito qualche settimana fa, mese di novembre per precisione, dalla Tipolitografia ZIPPO di Lumezzane, in provincia di Brescia, una località che grazie alla inventiva, tenacia, mostruosa capacità di lavoro, inondò l'orbe terraqueo di posate, pentole, pentolini, pentoloni, per poi cavalcare il nuovo, la tecnologia montante, con intuizioni sempre più geniali. Parliamo dell'autore, che è persona che nel cuor ci sta. Alberto Zanetti Lorenzetti, da Corvione di Gambara, Bassa Bresciana che declina verso Parma, Cremona, Mantova. Alberto, una laurea in medicina e chirurgia, appesa per tanti anni nel suo ambulatorio a Gambara, raccogliendo l'eredità di suo padre, fu sempre al servizio della sua gente, affabile pur in mezzo ad una umanità che talvolta dimentica la buona creanza. Negli anni giovanili ebbe un contagio che non lasciò più, altro che COVID: gli fu inoculato il virus dell'atletica, per fortuna quella leggera. Non è più guarito. Corse, meglio cercò di correre i 100 metri, qualche volta anche i 200, se memoria non flette, ci pare che se ne andò dalle piste bresciano-lombarde con un 11"5. Dopo il sudore dello sport esercitato, vennero le lunghe ore, rubate alla professione, per sfogliare antichi fogli sportivi di inizio Novecento. Leggi, studia, cerca, archivia, ha messo insieme un notevole patrimonio culturale.

Con questi solidi pilastri non poteva che essere uno dei fondatori, orsono quasi 29 anni, di questa «loggia» (niente di massonico, ma siamo a Brescia e il Palazzo della Loggia è simbolo della città) chiamata Archivio Storico dell'Atletica Italiana. Fondatore fecondo, tanto che il primo libro nostro (1994) lo si deve a lui. Nel contempo, mai si è dimenticato del club nel quale ha militato con impegno, l'Atletica Brescia 1950 appunto. Ed entriamo direttamente nel tema. Accanto a parecchie altre pubblicazioni - consentiteci: originali, non rifritture insipide - Alberto ha dedicato dal 1990 in poi tre lavori al club che fu di Sandro Calvesi e di tanti altri, e che è patrimonio sportivo e culturale di Brescia. Nel 1990, in occasione del quarantesimo dalla fondazione, pubblicò il primo, fatto di narrazione di quei quattro decenni di attività, di coloro che di quegli anni furono gli edificatori, e poi una sintesi di cifre, le famose statistiche dell'atletica. Bis in idem in occasione del cinquantesimo, nel 2000: edizione rivista, ampliata, corroborata dalle tante ricerche, e sempre con la maestria della Tipografia Apollonio e del grafico Martino Gerevini. Oggi, qui, presentiamo il terzo volume, che celebra i quattro scudetti nazionali consecutivi nel Campionato di società delle donne, avendo deciso i vertici direttivi di impegnarsi a fondo in questo settore. 

E che cosa di meglio di un libro di Alberto Zanetti Lorenzetti come inno alla gioia per questi successi? All'interno di questo quadernone una serie di articoli per ricordare le figure di Sandro Calvesi e di sua moglie Gabre Gabric, quella dell'atleta emblema della società, il quattrocentista indigeno bresciano Luigi detto Gino Paterlini, grande famiglia di costruttori, un atleta che Gianni Brera definì «un Coppi della 4x400». Sportivo che avrebbe meritato qualche riconoscimento duraturo nella sua città. Si ricordano anche gli oriundi: il sardo Tonino Siddi, il goriziano Armando Filiput, il dinamico, inarrestabile geometra Aldo Falconi, dalla nobile Franciacorta, e ancora dalla città un ostacolista di bella struttura, Gian Piero Massardi. Poi spazio alle cronache dei due quotidiani cittadini, «Giornale di Brescia» e «BresciaOggi», per i tempi moderni. Infine numeri, di cui questo nostro sport non può fare a meno, e tante, davvero tante foto, e in mezzo alle tante, forzatamente non tutte di pregio, alcune chicche storiche scovate da Alberto Zanetti Lorenzetti. Medico con l'hobby della cultura sportiva, pensionato della medicina ma non della cultura.

Ultimo aggiornamento Venerdì 13 Gennaio 2023 17:35
 
Les garçons di Francia corsero il loro campionato di cross nel 1917, capito? 1917 PDF Stampa E-mail
Mercoledì 11 Gennaio 2023 00:00

alt

“Tous le garçons et le filles de mon âgecantava la malinconica Françoise Hardy agli inizi degli anni ’60, una canzone che fece epoca tra i giovani e i giovanissimi di quel tempo, e chi scrive oggi era fra quelli ieri. Ci è venuto in mente quel garçons leggendo un pezzo del nostro amico Luc Vollard sulla più recente – gennaio 2023 – Lettre (perché usare Newsletter in inglese, quando lettre è perfetto in francese?) edita dalla CDH, Commission de la Documentation et Histoire della Federazione francese. Luc ci narra, nel suo consueto e documentato editó, editoriale, di una corsa attraverso i campi, nei dintorni di Colombes, nella quale potevano essere iscritti anche garçons di 18, 19 e 20 anni, quelli che sarebbero poi stati chiamati juniores, e oggi, per essere originali (!) U20. Non c’erano dunque le filles, sarebbero arrivate l’anno dopo, il 28 aprile, a Meudou, con il cross organizzato dalla FSFSF: lo vinse con netta superiorità mademoiselle Marie-Antoinette de Tinguy. Ma la data che ci ha stupito è quella del 1917, piena Prima Guerra Mondiale, anno decisivo per le sorti di quel conflitto che sarebbe meglio definire immensa macelleria umana. Noi, italici intendo, ci dovemmo leccare la bruciante ferita della disfatta di Caporetto; i francesi non furono da meno e incassarono, in primavera, sonore batoste a seguito delle non azzeccate iniziative militari volute dal generale Robert Nivelle, comandante in capo dell’esercito transalpino, che usciva dai disastri di Verdun e della Somme negli ultimi mesi del 1916.

Eppure, nonostante la guerra e le catastrofi, alle porte di Parigi si correva un cross nazionale, denominato Criterium, i cui risultati per un pasticcio sul percorso, dopo la prova, furono annullati. Luc Vollard ci trasporta con il suo racconto al 1928, anno del primo vero e proprio campionato nazionale juniores. Solo una appendice: nel 1917 in Italia non si ebbero campionati nazionali di atletica causa il conflitto; inoltre, la corsa campestre stentò sempre a farsi spazio nel nostro Paese. Vale solo considerare che la Francia entrò nel «Cross des Nations» nel 1907, l'Italia la prima volta nel 1929, e solo nel 1965 la seconda! E, in più, la categoria juniores fu istituita solamente nel 1955.

Ringraziamo l’amico Luc e vi lasciamo alla lettura del testo francese, ma di facile comprensione anche per chi non ha studiato l’idioma di Voltaire.

 

Le 25 février 1917, l’USFSA proposa un critérium de cross à Colombes et la presse annonça que pour les juniors, ce serait le premier championnat de France. Les juniors des classes 18, 19, 20 et suivantes, allaient courir avec les seniors, mais une erreur d’orientation des leaders entraîna une grande pagaille et l’annulation des résultats. Il fallut attendre le 22 janvier 1928, cette fois-ci sous l’égide de la FFA, pour revoir des juniors au départ d’une course nationale, baptisée Critérium des Jeunes, à l’hippodrome de la Courneuve. Ces premiers championnats de France juniors, disputés dans le cadre du cross de l’Intran, proposaient une distance de 8,4 km, la même distance que le cross des as qui suivrait, aux 36 équipes engagées. 29 étaient des sélections régionales et 7 représentaient des clubs parisiens. Cinq individuels complétaient le peloton qui allait courir au son de la musique du 21e Régiment d’Infanterie Colonial.

Les commentaires allaient bon train pour savoir si l’on y détecterait la ou les futures vedettes de la spécialité. Après une longue ligne droite, c’est Robert Trapon, sociétaire de l’AS Montferrand dont l’entrainement était dirigé par l’ancien international de perche André Francquenelle, qui prenait déjà le commandement. Au troisième kilomètre, il se détachait avec le Lyonnais Daniel Gillot, lequel ne pouvait suivre longtemps tandis que Roger Rérolle, du SC Vichy, mais courant pour la Ligue du Centre comme Trapon, revenait aux avant-postes et prenait 80 mètres d’avance.

L’issue de la course ne faisait plus de doute et Trapon, qui avait déjà gagné le cross de l’Intran en 1927, finit par laisser Rérolle derrière lui, terminant très frais en 29’37’’, devant Rérolle, Gillot et un peloton de 164 classés. Par équipe, la Côte-d’Argent l’emporta avec une équipe très homogène, ses quatre premiers coureurs se situant entre la cinquième et la quinzième place. Des trois athlètes sur le podium, c’est Roger Rérolle qui fit la plus belle carrière, avec 10 titres nationaux, 20 sélections en équipe de France dont la victoire collective au Cross des Nations dès 1929. Daniel Gillot termina quatrième des championnats de France sur 1500 m en 1931 ce qui lui valut une sélection en équipe de France B contre la Suisse. Robert Trapon gagna de son côté un titre militaire en 1929 sur 1500 m, affronta la Finlande la même année sur 5000 m, côtoyant à cette occasion Paavo Nurmi et poursuivit sa carrière dans plusieurs clubs parisiens

Crédit photo : Match l’Intran – Trapon mène devant Rérolle

Note della redazione - Spiegazione di alcune sigle usate nel testo. USFSA sta per Union des sociétés françaises de sports athlétiques (fondata nel1890); FSFSF sigla della Federazione delle società sportive femminili francesi (1917); FFA, Fédération française d'athlétisme (1920), che ha festeggiato il secolo di vita con la pubblicazione di un bellissimo libro.

 

Ultimo aggiornamento Giovedì 12 Gennaio 2023 18:13
 
Il «cross-country» all'inglese fa timidamente capolino anche al di qua delle Alpi PDF Stampa E-mail
Lunedì 09 Gennaio 2023 00:00

alt alt

 

Non son molti giorni fa, su questo stesso spazio, abbiamo titolato più o meno così: “Chi fu a vincere il primo cross dell’umanità?”. Riportammo un articolo di Bruno Bonomelli il quale, con la sua immaginifica scrittura, ci portò sotto le mura di Troia e in mezzo a campi con cacche di mucche su cui scivolavano i corridori. Il maestro (rigorosamente minuscolo) di Rovato aveva la capacità di scrivere di atletica come se stesse raccontando una favola ai ragazzini delle scuole elementari dove insegnava. Ma Bonomelli non raccontava solo storielle, si documentava, passò una gran parte della sua esistenza sui campi di gara, ma anche nelle biblioteche, nelle emeroteche, negli archivi dei giornali, in Italia e non solo. E così trovò un articolo del 1898, che – quasi sicuramente per la prima volta – descriveva, in italiano, la corsa campestre, importata dall’Inghilterra: il cross-country.

Oggi ci fa piacere regalare ai nostri lettori il piacere di osservare le due pagine originali del giornale che pubblicò quell’articolo. Se siete interessati, potete cliccare sopra e si apriranno in un formato leggibile. Dobbiamo questa chicca a Alberto Zanetti Lorenzetti, socio fondatore della nostra associazione, da qualche anno segretario-tesoriere, ricercatore instancabile. Alberto ci ha girato questi documenti, e per questo lo ringraziamo.

Ultimo aggiornamento Lunedì 09 Gennaio 2023 20:12
 
<< Inizio < Prec. 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Succ. > Fine >>

Pagina 19 di 258