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Il deferente tributo degli storici e statistici francesi a Roberto Quercetani PDF Stampa E-mail
Lunedì 17 Giugno 2019 06:00
Qui sotto i contenuti dell'ultima «Lettre» mensile della Commissione Documentazione e Storia della Federazione francese di atletica. La lettera si apre con un doveroso ricordo di Roberto Quercetani.
 
UNA LACRIMA SUL VISO
 Rédacteur Luc VOLLARD
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Una lacrima sul viso

C’est avec une infinie tristesse que nous venons d’apprendre le décès de Roberto Quercetani le 13 mai dernier, quelques jours après avoir été honoré par ses compagnons de l’Archivio Storico Dell’Athletica Italiana pour ses 97 ans. Né le 3 mai 1922, inspiré par les exploits de Luigi Beccali, l’ancien rival de Jules Ladoumègue, il fut assurément l’un des plus grands statisticiens et historiens de l’athlétisme, réalisant ses premières publications dès les années 40. Membre fondateur de l’Association of Track and Field Statisticians en 1950, il en assura la présidence jusqu’en 1968, développant une extraordinaire et toujours très attendue compilation annuelle des performances.

En quatre volumes, il alla même jusqu’à remonter le temps jusqu’en 1921 pour nous fournir une base faisant encore référence de nos jours. Mais il n’alignait pas que les chiffres athlétiques, et sa plume s’exerça à la fois dans la presse avec la Gazzetta dello Sport , Leichathletik ou Track and Field News ou dans de somptueux livres dont les multiples éditions de History of Modern Track and Field Athletics, the Milers en collaboration avec Corner Nelson ou dans Intriguing Facts and Figures from Athletics History, un original recueil d’anecdotes sur plus de 150 ans d’athlétisme qui fut sa dernière grande œuvre.

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Récompensé notamment par la fédération italienne, la FIDAL, et l’IAAF, il aura consacré sa vie entière à la compilation des performances, soutenue par son épouse Maria-Luisa. Elle l’accompagnera une dernière fois, le mercredi 15 mai à l’Istituto Paolo VI de sa ville natale Florence.

Arrivederci Roberto 

EDITO - C'EST ARRIVÉ EN JUIN ...1926
Rédacteur Luc VOLLARD
 

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Les féminines françaises ont souvent figuré en bonne position dans les championnats internationaux jeunes et seniors au cours des dernières décennies, avec en particulier les médailles olympiques de Michèle Chardonnet en 1984 et Patricia Girard en 1996, mais ce fut également le cas lors des premières années de l’athlétisme. Parmi les noms qui émergèrent alors, on retrouve Geneviève Laloz. Si sa jumelle ... en lire plus sur la page d'accueil du site ou dans la colonne de gauche, menu EDITO

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etc...

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https://cdm.athle.com/upload/ssites/001059/100%20mpf%20tt/relais_clubs/4x100m_clubs_pa_tt_tc.pdf
https://cdm.athle.com/upload/ssites/001059/100%20mpf%20tt/relais_clubs/4x400m_clubs_pa_tt_tc.pdf

- Les Interclubs 
par Luc Vollard et Alain Bouillé
Après l'édition 2019, mise à jour du championnat de France des clubs, nouvelle appellation des Interclubs.
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Ultimo aggiornamento Mercoledì 26 Giugno 2019 14:36
 
Abbiamo ricevuto il Bollettino 103 della associazione degli statistici spagnoli PDF Stampa E-mail
Domenica 16 Giugno 2019 15:38

Nuovo, corposo numero del Bollettino che raccoglie i lavori di compilazione degli statistici spagnoli, riuniti in una associazione, nata nel 1987. È composto da ben 634 pagine questo numero 103, la cui copertina è dedicata alla memoria di un pioniere dell'atletica spagnola, il lanciatore José Luís Torres, scomparso lo scorso mese di aprile all'età di 97 anni. Torres fu il primo atleta spagnolo a partecipare ad un Campionato d'Europa, nel 1950, a Bruxelles; non ebbe molta fortuna: tirò il disco, fu eliminato in qualificazione (38.92). Vi piace la gara dei 3 mila metri siepi? Vi divertirete a imparare a memoria le tremila miglior prestazioni degli uomini e le tremila delle donne, e fan seimila. Sempre in tema di numeri, le liste spagnole 2017 - 2018, e poi primati e miglior prestazioni degli atleti U20. Due parti di interesse storico, pur se compilatorio: una revisione delle liste spagnole del 1951 e le liste ogni tempo di Cuba, avete capito bene: Cuba. In fondo gli spagnoli hanno «soggiornato» laggiù dal 1492 (vi ricordate Cristoforo Colombo, o Cristobal Colón?) fino al 1901. Un giusto omaggio all'atletica di Alberto Juantorena e compagni. Questo numero viene presentato, con poche righe, anche sul sito. Copie di vari numeri del Bollettino spagnolo sono disponibili per la consultazione nella biblioteca ospitata nella sede di Navazzo (Brescia), aperta ai soci dell'A.S.A.I.

Ultimo aggiornamento Lunedì 17 Giugno 2019 09:44
 
Golden Gala: la presenza del presidente Mattarella ha emozionato i nostri? PDF Stampa E-mail
Sabato 15 Giugno 2019 08:49

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In atletica non basta fare gli showmen, non basta avere bodyguard, pardon addetti stampa, in atletica occorre fare i risultati... Stop. Vuoi dire che la presenza del rispettatissimo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e l'Inno di Mameli abbiano tagliato le gambe a qualcuno dei nostri? Il dubbio è legittimo. Stop. Leggetevi il nuovo numero di «Trekkenfild», che ha iniziato la sua battaglia per la sopravvivenza. Data limite: fine anno 2019. Una idea per Walter e Daniele: provate a chiedere a qualcuno di quelli immortalati sulle tribune dell'Olimpico che, non contenti del saccheggio di altri enti, hanno allungato le mani anche sullo sport, oppure al ministrero delle Finanze, magari vi danno un aiuto in minibot.

Ultimo aggiornamento Lunedì 17 Giugno 2019 09:46
 
Giochi Olimpici Roma '60: chi fu il più grande ? Armin Hary o Livio Berruti? PDF Stampa E-mail
Sabato 08 Giugno 2019 00:00

Un nostro socio è stato coinvolto in una amichevole discussione da alcuni lettori che, bontà loro, hanno apprezzato il lavoro di ricordo che il nostro sito ha fatto in occasione dell'80esimo compleanno di Livio Berruti. In particolare ci ha fatto vibrare le cordicine cardiache toccar con mano quanto l'impresa di Livio sia ancora viva nel ricordo di tanti, di molti, di moltissimi. E invece ci ha amareggiato - ma non scopriamo niente di nuovo - la completa assenza di cultura, anche solo di vago nozionismo, nei giovani che pur fanno atletica. Frutto del disinteresse di dirigenti, federazioni, degli stessi club, che nulla hanno fatto e nulla fanno per tener viva la anche solo pallida brace del ricordo di chi ha reso grande il nostro sport. Del resto, siamo un Paese che ha ignorato sempre la musica nelle scuole, che della storia dell'arte ha fatto un frettoloso tassello nell'educazione settimanale, che pretendiamo? che si insegni storia dello sport?

Ma qualche arzillo settantenne che quel 3 settembre 1960, sentì alla radio o vide alla tele (gli abbonati in quell'anno avevano raggiunto i due milioni) almeno la finale dei 200 metri, non se l'è mai scordata. Quella figura composta, il ragazzo sabaudo educato, vittima spesso degli scherzi degli altri velocisti (bella razza di burloni, ve li raccomandiamo) proprio per questa suo modo di essere che pareva snob ma non lo era. Composto, ecco quel che era Livio. Mai gesti sbracati, mai urla beluine come usa oggidì, mai magliette stupidamente lacerate in un gesto di idiozia, maglietta mai neppure sollevata o tolta - altra usanza ebete - anche perchè, lasciateci sorridere, con quel suo fisichino non aveva masse muscolari (tutte genuine?) da esibire.

Armin Hary era un tedesco, più tosto fisicamente del torinese, due anni d'età maggiore di Livio. Loro due, insieme, hanno firmato forse la pagina più sbiadita dello sprint statunitense. Nella storia olimpica delle due gare di velocità (100 e 200) solo una volta era accaduto che un europeo togliesse la vittoria ad uno di loro sui dieci decametri: ci era riuscito Harold Abrahams, britannico, nel 1924, quello della piacevole anche se romanzata versione cinematografica «Momenti di gloria», ricordate? Invece nessun europeo era mai riuscito a mettere lo sterno davanti a quello di uno yankee sulla doppia distanza. Il disastro degli americani fu poi completato dalla squalifica della staffetta.

Concludendo, concludendo...chi fu il più grande: Hary o Berruti? Molte volte questioni così sono esercitazioni per sofisti (quelli che sapevano tutto e ognuno dava risposte differenti sullo stesso argomento, oggi diremmo «baristi», filosofi da bar, razza in crescita esponenziale). Chiacchierando con i «reduci» del 1960, ci sovvenne il ricordo di alcuni articoli scritti da Gianni Brera sulla pagine de «Il Giorno». Rapida ricerca sugli scaffali della biblioteca, ed ecco occhieggiare la copetina azzurro tenue del libro «L'abatino Berruti - Scritti sull'atletica leggera», raccolta degli scritti di Gianni Brera, curata dal nostro socio professor Sergio Giuntini. Libro pubblicato nel 2009 della editrice BookTime. Il quotidiano milanese pubblicò, il 5 settembre, due articoli a firma Brera: «Hary o Berruti il più veloce del mondo» e «L'astuto ginocchio di Hary». Oggi riproponiamo il primo.

Livio Berruti ha compiuto la più bella impresa che mai sia stata realizzata nella velocità. Ha corso due volte nello stesso pomeriggio i 200 metri in 20"5: ha stabilito un nuovo record olimpico e ha eguagliato due volte quello mondiale. Sappiamo però quanto possa essere discutibile il giudizio dei cronometri azionati dall'uomo, quando si tratta di definire differenze valutabili in ragione di centesimi di secondo. Quello che veramente conta per la valutazione di un velocista è il confronto diretto: Berruti si è imposto anche in questo uscendone da trionfatore. Il record del mondo della distanza dei 200 metri con curva completa (su pista di 400 metri) elencava un gruppo di 5 atleti (Stanfield, Morrow, Baker, Germar e Norton) con 20"6 fino a tutto il 1959. Quest'anno iniziò Radford, il 28 maggio, a scendere a 20"5: Norton e Stone Johnson lo eguagliarono il 2 luglio. Era giusto che i tre detentori del record fossero presenti in questa finale olimpica: la resa dei conti era inevitabile!

Berruti si è presentato con un molto più modesto 20"7, pur non sentendosi inferiore a nessuno. Le sue prestazioni sui 150 metri gli garantivano la possibilità di raggiungere il 20"5. Ha messo tutti d'accordo: già in semifinale li ha messi tutti a sedere un gradino sotto al suo. Il confronto diretto ha dato ragione a lui, che alla gara è arrivato nella migliore condizione immaginabile.

Vantaggio ai 100

La valutazione delle possibilità fisiche e tecniche dell'atleta e la sua preparazione sono dati di fatto che onorano coloro che hanno aiutato Berruti ad arrivare al luminoso traguardo della medaglia d'oro e del record mondiale. I suoi passaggi ai 100 metri sono stati 10"4 nella semifinale e 10"35 nella finale. in entrambe le prove è uscito in rettilineo con più di un metro di vantaggio, disteso, sciolto, pronto ad attaccare lo sprint finale senza contrazioni.

Berruti ha corso anche meglio nella semifinale: realizzando lo stesso tempo, non ha esasperato la contrazione muscolare nell'ultimo tratto. Il logorio, fisico e nervoso, si è fatto logicamente sentire nell'ultima prova. Siamo convinti che, se l'impegno della semifinale fosse stato pari al secondo, Berruti avrebbe bloccato i cronometri su un ancora più straordinario 20"4.

Grandi campioni

La velocità ha consacrato in questa Olimpiade due grandissimi campioni: il tedesco Armin Hary e l'italiano Livio Berruti; l'uno per i 100, l'altro per i 200. Sono desisamente i due più forti specialisti che si siano mai visti al mondo. Non crediamo che lo stesso Berruti, almeno per ora, si consideri superiore a Hary sui 100 metri; la partenza fulminea del tedesco, Livio non l'ha. Così come sui 200 pensiamo che il tedesco, molto cosciente dei propri mezzi, non possa illudersi, sempre per il momento, di farla all'italiano.

Una prova bellissima si potrebbe però combinare per stabilire chi sia veramente l'uomo più veloce dal mondo. Da molto tempo noi siamo convinti che né i 100 né i 200 siano distanze che giustamente esprimono il valore del velocista: troppo breve essendo la prima, eccessivamente prolungata la seconda. La distanza alla quale vorremmo si valutassero i velocisti sarebbe quella dei 150 metri: un duello Hary - Berruti su tale distanza supererebbe  in bellezza qualsiasi spettacolo atletico visto finora.

Il risultato pronosticabile? Noi li dareemo alla pari, convinti che veramente questi due grandi atleti non debbano, oggi come oggi, essere classificati diversamente. È una proposta: la magnifica pista di Zurigo potrebbe essere tra qualche giorno il teatro ideale per questo stupendo confronto.

Ultimo aggiornamento Domenica 09 Giugno 2019 08:36
 
La storia delle corse scandita dal ritmo manuale o elettrico delle lancette PDF Stampa E-mail
Lunedì 27 Maggio 2019 00:00

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Ci è stato chiesto da un amico che conosce sì l’atletica ma non tutti i passaggi regolamentari, se possiamo fornire qualche elemento circa le differenti «ere cronometriche», a dire quella manuale e quella automatica. Abbiamo stuzzicato la sua curiosità con uno degli articoli in ricordo di Livio Berruti e della finale dei 200 metri a Roma '60. Lo facciamo con piacere, attingendo alle pubblicazioni ufficiali della Federazione internazionale e ad altre di cui qualche nostro socio dispone.

Nella notte dei tempi dell’atletica, tutto era un po’ aggrovigliato: dove si correva? Come? Chi correva? Come si prendevano i tempi? Eppure anche di quello esiste traccia. Esiste un libro inglese del 1803 nel quale tale Walter Thom da conto delle imprese pedestri di un tizio conosciuto come Capitano Barclay: dettagliatissimo, percorsi, nomi degli sfidanti, distanze.C’è chi ha studiato, ha sfogliato vecchissimi giornali di due secoli fa (specialmente nel Regno Unito), e alla fine di tanto lavoro è riuscito a ricostruire sfide, nomi, tempi, località. Uno dei grandi ricercatori fu il tedesco Ekkehard zur Megede, poi venne il britannico Richard Hymans, che ne continuò l'opera. Possono essere considerati i più bravi in questa materia, pur con il concorso di tanti altri. In tema di ricerca sui tempi automatici dei Giochi Olimpici ante 1972 non si può dimenticare il britannico Bob Sparks. Abbiamo scritto 1972, perchè da quella edizione dei Giochi a Monaco di Baviera Il Comitato Olimpico accetta solo i tempi elettrici. In tema di ricerca, oggi si fa poco o nulla, e si copia-incolla molto, e si vivacchia di rendita. 

Noi siamo partiti da Livio Berruti, dalla finale dei 200 metri ai Giochi del 1960Volete sapere qual è (forse) il risultato più vecchio sui 200 metri? Finora si conosce un 22” e mezzo (non esistevano ancora cronometri né con i quinti né con i decimi) di tal George Easthman, britannico, che corse a Manchester il 28 ottobre 1845, in una gara per professionisti, allora era normale scommettere sulle corse, fossero velocisti, podisti, marciatori. E di soldi ne correvano tanti, forse addirittura più di oggi, e c'era sicuramente più passione. Ma non addentriamoci in questo terreno, affascinante ma interminabile e, spesso, indeterminabile.

I 200 metri si corsero in vari modi: in rettilineo, con una curva parziale più o meno…curva, fin che si arrivò ad una regolamentazione precisa. Ma ce n’è voluto…D’altra parte, gli stadi avevano misure diverse, spesso con una circonferenza di 500 metri, quindi le curve erano semicurve. Nel 1912 venne fondata la Federazione internazionale, che si diede le prime norme e, per i 200 metri accettò, all'inizio, un po’ di tutto: rettilineo, curva, semicurva. E si arrivò al 1959, ormai alla vigilia dei Giochi a Roma: da quel momento i Cavalieri del Santo Graal atletico legiferarono che potevano essere accettati come primati mondiali per i 200 metri o le 220 yards (metri 201.168) solo i risultati ottenuti su pista di 400 metri o di 440 yards (metri 402.336). Colpo di spugna sul passato (i tempi sono rimasti come documentazione storico-statistica) e si ripartì a catalogare il primato: il primo venne riconosciuto, andando a ritroso, ad uno statuario velocista nero statunitense, Andrew «Andy» Stanfield (1927 - 1985), purtroppo vittima di ricorrenti infortuni muscolari. Entrò nel sancta sanctorum dei record con un 20”6 ottenuto al Franklin Field Stadium di Philadelphia nel maggio 1951, ed erano 220 yards, per cui ad essere pignoli valeva 20”5. Andy iscrisse il suo nome negli eroi di Olimpia vincendo l’oro a Helsinki ’52 (e il secondo nella staffetta 4 x 100, con un'ultima frazione che diede la vittoria agli States sull'Unione Sovietica) e ancora l’argento a Melbourne ’56.

Completiamo il romanzetto della normativa regolante i 200 metri. Dopo aver codificato la curva completa, si doveva, prima o poi, arrivare al cronometraggio automatico. E ci si arrivò: dal 1º gennaio 1977 solo i tempi automatici potevano essere riconosciuti come primati per 100, 200 e 400 metri. Solita operazione a ritroso nel tempo per verificare le prestazioni con le giuste caratteristiche per l’omologazione. I Giochi Olimpici di México City ’68 fornirono abbondante materiale, grazie anche ai 2240 di altitudine, altro punto dolente che non si è mai voluto affrontare, come invece si è fatto con la velocità del vento (regola dei 2 metri per secondo approvata fin dall'agosto 1936). Lo sprint fu interamente riscritto: 9”95 Jim Hines, 19”83 Tommie Smith, 43"86 Lee Evans. I manuali erano stati: 9”9, 19”8, 43”8. Manuali ed elettrici come si vede un po’ troppo vicini, se è vero che la compensazione fra i due sistemi è di 0.14 per 100 e 200, e di 0.24 per il giro di pista.

Questo, grosso modo, senza la presunzione di totale completezza. Come chiunque può facilmente argomentare, è una chimera pensare di avere apparecchi completamente automatici in ogni angolo del mondo dove si fa atletica, e l’atletica si fa dappertutto. Senza anche immaginare alla necessità di avere persone che li sappiano far funzionare come si deve…Pertanto pieghiamoci al realismo: tanti tempi di gare di sprint in giro per il mondo, ancor oggi, sono delle falsità belle e buone. Oppure si ricorre al caro vecchio cronometro, spacciandolo per automatico. E si fa finta di niente.

La foto che accompagna questa modesta spiegazione è ripresa da un elegante volume edito dalla Omega nel 2007: «Great Olympic moments in time». La compagnia svizzera è la concessionaria della rilevazione dei tempi in tutti gli sport dei Giochi Olimpici fin dalla edizione del 1932 a Los Angeles. E la foto – di cui siamo grati alla compagnia – ci riporta a quell’anno quando, per la prima volta, un congegno elettrico affiancò, ufficiosamente, la rilevazione manuale: lo chiamarono Kirby System. I tempi in centesimi furono rilevati ma, per qualche misteriosa ragione, la Federazione internazionale li tenne nascosti...in nome, beninteso, del progresso... Solo anni dopo il professore ungherese Otto Misangy, che a Los Angeles fu il capo cronometrista, li rese disponibili a studiosi di atletica, la loro trascrizione si conobbe solo nel 2007.

Ultimo aggiornamento Martedì 04 Giugno 2019 13:33
 
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