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L'Istituto Tecnico Archimede di Catania ha ricordato il prof. Bruno Cacchi PDF Stampa E-mail
Martedì 03 Dicembre 2019 12:00

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Questa immagine, scattata dall'inglese Mark Shearman, a nostro giudizio, uno dei migliori fotografi di atletica che abbiamo ammirato, si riferisce al «Cross delle Nazioni» che si disputò  a Cambridge (Gran Bretagna) il 18 marzo 1972. Ultima edizione dell'«International», come era anche chiamato, dall'anno dopo sarebbe stato trasformato in vero e proprio Campionato del mondo IAAF. In questa foto, Paola Pigni, già signora Cacchi, con il numero 54, guida la gara, che sarà vinta dall'inglese Joyce Smith (n.1), terza la sua connazionale Rita Ridley (n.5). Nel 1973 a Waregem e nel 1974 al Parco Reale di Monza la milanese conquisterà due titoli mondiali. Aveva già vinto una edizione non ancora col titolo mondiale, nel 1970, a Vichy.

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L’Istituto Tecnico Archimede, di Catania, farà un salto indietro nel tempo, per ricordare un insegnante che proprio fra le sue mura ha mosso i primi passi di docente. Un uomo che poi si è fatto strada nel mondo dello sport italiano, nell’atletica leggera in particolare, ma non solo. Bruno Cacchi, questo il suo nome, che fu insegnante di educazione fisica, poi allenatore, poi «allenatore un po’ speciale» per una atleta che, con i suoi risultati, innovò il mezzofondo non solo nazionale ma internazionale: Paola Pigni, divenuta poi signora Cacchi.

Bruno Cacchi è mancato qualche mese fa. Dei suoi esordi siculi si sono ricordati a Catania e al Comitato Regionale FIDAL Sicilia, e così è nata questa iniziativa: l’intestazione al nome del professore della palestra dell’Istituto Archimede, che come detto, fu spazio di insegnamento per lui e di apprendimento per tanti giovani che egli avvicinò all’atletica. A far da cornice, un incontro fra atleti siciliani che hanno ottenuto grandi risultati internazionali e gli studenti dell’Istituto: fra i nomi annunciati quelli dell’astista Giuseppe Gibilisco e dei quattrocentisti Mimmo Rao e Claudio Licciardello. Ha assicurato la sua presenza la signora Paola, accompagnata dalla figlia Chiara.

Fin qui la notizia. Lasciamo al nostro amico Michelangelo Granata di tratteggiare la figura di Bruno Cacchi.

Martedì 16 aprile ci aveva lasciati, a 88 anni Bruno Cacchi, che fu dal 1971 al 1974 direttore tecnico della Nazionale italiana e allenatore del mezzofondo. Una bella figura di persona che ha scosso l’immobilità di quel tempo e che ha lasciato un ricordo profondo in coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Nato a Forlimpopoli il 10 maggio 1930, i suoi si trasferirono a Catania quando aveva tre mesi. Diplomato all’Isef di Roma, è all’ombra dell’Etna che scopre il suo grande amore per l’atletica leggera. Alfredo Berra per questo motivo lo chiamava «u Liotru», l’elefante, il simbolo della città etnea. Le grandi esperienze maturate in tanti anni d’insegnamento e sui campi di gara, costituiscono una base a tutto tondo del prof. Bruno Cacchi, tale da interpretare e trasmettere a pieno titolo i segreti della corsa.

Nel 1955 Cacchi inizia la sua carriera di allenatore. In quel periodo conosce una persona che da discreto mezzofondista assurse a notorietà giornalistica e non solo sportivo: il catanese Candido Cannavò, inviato de «La Sicilia», dal 1955 corrispondente della «La Gazzetta dello Sport», di cui, nel 1983, diventerà direttore. Profeta in patria, tra Cus Catania e Libertas Catania, qui auspice Marco Mannisi, Cacchi sforna atleti che saranno più o meno famosi, poi tecnici e insegnanti di grido: Ignazio Russo (classe 1938), Placido Bellocchi (1939), Isidoro Mascali (1939), Tommaso  Santoro (1939), Alfio Cazzetta (1940), Domenico Roccaforte (1941), Giuseppe Distefano (1941), Elio Sicari (1942), i gemelli Desiderio, Aldo e Mario (1945), Francesco Amante (1946), Giuseppe Ardizzone (1947), il compianto Vincenzo Guglielmino (1947), Mario Belluomo, Vito Riolo (1948).

Nel 1965 Cacchi fa il gran salto: dalle pendici dell’Etna al Duomo di Milano, dove allena la gloriosa Pro Patria di Beppe Mastropasqua ed è docente all’Isef. Allarga le sue conoscenze e lavora con il fisiologo Rodolfo Margaria. Nell’aprile 1970 il matrimonio con Paola Pigni, pioniera del mezzofondo femminile che si spinge sino alla maratona. Paola stabilirà il primato mondiale sui 1500 metri,  il 2 luglio 1969, all’Arena di Milano. Tre anni dopo si metterà al collo il bronzo ai Giochi Olimpici di Monaco. Altro primato mondiale quello sul nel miglio allo Stadio dei Pini di Viareggio l’8 agosto 1973.

Nel 1971 Cacchi viene chiamato dalla Fidal nel cui ambito ricoprirà prestigiosi incarichi: coordinatore responsabile del mezzofondo e commissario tecnico della Nazionale. Sono gli anni di Marcello Fiasconaro, Francesco Arene, Renato Dionisi. Un episodio curioso: ricordiamo quando Bruno Cacchi - era il 3 febbraio 1972 - in Corso Sicilia, a Catania, riuscì a liberare il vincitore del Trofeo «S. Agata», Giuseppe Ardizzone, che, proiettato in aria dagli spettatori presi da eccessiva euforia, si era rifugiato in un garage. Finito l’assedio della folla, Cacchi liberò l'idolo locale e lo portò in salvo in una minuscola Cinquecento.

La collaborazione con la Federatletica si chiuse nel 1974. Bruno Cacchi passò alla Scuola Centrale dello Sport dove prestò la sua consulenza tecnica a varie Federazioni sportive. Poi l'incontro con il Pentathlon Moderno, la futura F.I.P.M., che era alla ricerca di un tecnico di prestigio che si occupasse della parte atletica. Cacchi iniziò così la sua collaborazione in un ambiente che lo gratificò ancora professionalmente.

Ultimo aggiornamento Martedì 03 Dicembre 2019 17:35
 
Elio Locatelli, dal ghiaccio al tartan una vita sempre sul filo della velocità PDF Stampa E-mail
Giovedì 28 Novembre 2019 15:14

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And now, the end is near
And so I face the final curtain
My friend, I'll say it clear
I'll state my case, of which I'm certain
I've lived a life that's full
I've traveled each and every highway
But more, much more than this
I did it my way
I've loved, I've laughed and cried
I've had my fill my share of losing
And now, as tears subside
I find it all so amusing
To think I did all that
And may I say - not in a shy way
Oh no, oh no, not me
I did it my way

My Way, a modo mio, la canzone partita dalla Francia, trascritta da Paul Anka negli States, e lì resa immortale dalla interpretazione di Frank Sinatra. Ne abbiamo presi alcuni brani e li dedichiamo a Elio Locatelli. Ci sembrano versi che ben s’adattano a lui, a lui che, più rapido di un velocista, diciamo pure di quell’Usain Bolt di cui tanto parlava, se è andato, settantaseienne ancora pieno di energie, vitalità aggressiva, voglia di non scendere dalla ribalta. Se ne è andato in un batter di ciglia, in quella Montecarlo dove aveva vissuto parecchi anni, scorrazzando però per il mondo, senza sosta. In quella Montecarlo – per noi italiani, in effetti Principato di Monaco per i precisini – dove, anche dopo la separazione dai corridoi sdrucciolevoli della Federatletica mondiale che si affaccia su Port Hercule, aveva mantenuto un appiglio, a cui si aggrappava di tanto in tanto per le più varie sue esigenze. In fondo, quello scampolo di terra rubata al mare e su cui è stata edificata una città, ha sempre avuto una forte attrazione per l’italica gente. Ed Elio, lì, ci aveva vissuto in pianta semistabile – viaggi da globetrotter a parte – come parecchi altri connazionali nostri, attirati dalla calamita atletica.

Elio Locatelli, di Canale d’Alba, figlio di noto e rispettato partigiano, un punto cardinale per tutta la sua vita. Giovane, parte dalle corse campestri con gli Studenteschi, poi vira verso il pattinaggio veloce, speed ed equilibrio, due altre caratteristiche in ogni azione del prof, nel camminare, nel parlare, nel mangiare, anzi divorare, cambiare di opinione. Due partecipazioni olimpiche nello sport del ghiaccio, poi l’atletica, nell’ambiente torinese dove era già in forte ascesa la cometa Primo Nebiolo. E poi, e poi…un elenco che anche a volerlo dipanare tutto sarebbe pur sempre incompleto. Allenatore con una predilezione per i salti, il lungo in particolare, componente dello staff tecnico della Federazione, spesso un dentro e fuori tipico di questi ambienti e dei vari chiari di luna «politici», ma Elio non era tipo che poteva essere messo da parte facilmente. Fino alla ascesa al vertice della piramide: commissario tecnico, e, a giudizio di chi lo ha visto all’opera da vicino, l’unico alle nostre latitudini che sapesse fare questo mestiere. Scrivania poca, mobilità tanta, bollette del telefono da arricchire le varie telecom. Ma nessuno poteva rimproverargli di non parlare con gli atleti, con i tecnici, con le società. A modo suo, my way, appunto, ma non gli sfuggiva quasi nulla. Accattivante con quei tali che devono riempire gli spazi su un foglio di carta fra un annuncio pubblicitario e l’altro.

Nel 1994, intuendo – aveva un fiuto da cane da trifola delle sue terre langarole – che buttava male, scrisse al presidente di allora una lettera di poche righe, che fece leggere in anticipo a un collega e poi lo portò a cena, dove parlò soprattutto di sua figlia Manuela, della sua specializzazione da archivista e di un corso importante organizzato dal Vaticano cui la ragazza era stata ammessa. Il giorno dopo lasciò il palazzetto di Via della Camilluccia. Destinazione? Incerta al momento. Tutti davano per scontato che avesse già in tasca un contratto firmato da Nebiolo per un posto a Montecarlo. Non era così, ma sarebbe poi stato così.

Gli anni della IAAF contribuirono a dare spessore alla sua caratura internazionale: progetti, convegni, contatti, il Master alla prestigiosa Scuola di Lione. Poi comincia a scricchiolare la struttura dell’ente mondiale, con vicende che coinvolgono i vertici. Locatelli sembra stare un po’ dentro, un po’ fuori, Montecarlo resta comunque, seppur parzialmente, il suo approdo. Per lui si aprono altre porte: il Comitato olimpico italiano gli offre un ruolo in considerazione dei suoi trascorsi e della sua innegabile competenza tecnica. Fino al giorno in cui ritorna al timone della Nazionale di atletica leggera, dovendosi occupare degli atleti di vertice, quelli che nei grandi eventi internazionali dovrebbero riportare a casa quella che, alla fine, piaccia o no, è l’unica cosa che conta per gli appassionati, per i media, per gli stessi gestori dello sport nazionale: qualche medaglia, di qualsiasi colore sia, sei poi brilla tanto meglio. Il professore ci prova, ma il compito che gli è stato affidato è improbo. Fino a quando, dopo i Campionati d’Europa 2018, lo pilotano verso altro incarico, diciamo, meno di «trincea» ma più didattico. A un uomo di vasta preparazione tecnica come lui è un invito a nozze. Il suo dinamismo lo porta ovunque; fino a non molti giorni fa, ci dicono gli amici presenti, era a un convegno in Veneto a portare il verbo tecnico che conosceva così bene. Ci ha detto un giornalista: «Ho sempre avuto grande rispetto di un uomo che si è costantemente aggiornato, che studiava, che conosceva, che si confrontava alla pari con i più bravi».  Grande verità, anche se talvolta non era facile seguirlo nei suoi ragionamenti espressi sempre in velocità superiore alla comprensione media. Buttava lì un mozzicone di frase, un concetto, masticando il suo toscanello. E se capivi, bene, altrimenti rimanevi un po’ disorientato.

Elio Locatelli, ci ha detto un suo amico da una sessantina d’anni, «è morto da Elio Locatelli, sempre di corsa, o sul filo dei pattini del ghiaccio, o guidando l’auto a manetta, o cercando di spiegarti qualche diavoleria per sviluppare l’atletica a Papua New Guinea». Gli amici, soprattutto quei pochi di Montecarlo che hanno passato qualche anno con lui vicini di banco, lo avevano soprannominato «L’Ambasciatore», lo trovavi nel corridoio, era appena tornato dalla Mongolia, e stava già partendo per la Patagonia. Stavolta è partito per vedere se da qualche parte, lassù, qualcuno parla di salti, di piste, di preparazione, di programmazione, di sviluppo. E se per caso, dovesse mai ritrovare Primo Nebiolo, immagina il casino! Tutto in strettissimo piemontese, Bòja Fàuss.


Ultimo aggiornamento Martedì 10 Dicembre 2019 14:37
 
22 settembre 1798: Liberté, Égalité, Fraternité, et courses à pied PDF Stampa E-mail
Mercoledì 27 Novembre 2019 11:02

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Il recente numero di novembre della «Lettera» informativa storico - statistica prodotta dai componenti della Commissione Documentazione e Storia della Federazione francese propone due studi che non esitiamo a definire eccezionali. Riguardano corse pedestri effettuate nell'anno 1798. Non è un errore, la data è esattamente quella: 1798, c'era già in circolazione Monsieur Napoleone Bonaparte. A Roma cacciano il Papa Pio Vi, il quale non molla, allora lo imprigionano. Nasce la Repubblica Romana. Intanto a Parigi, al Campo di Marte, si corre a piedi. Proprio corse, quelle dei bipedi umani, in concomitanza con i quadrupedi. L'autore di questi due documentatissimi studi è ai più sconosciuto, noi per primi. Avevamo pensato che fosse l'amico Gérard Depuy, uno dei soci francesi fra i più attivi. E invece no, lui ha fatto da tramite con il misterioso «JMS» che è il ricercatore che ha scavato gli archivi. Tramite Gérard il sito dell'A.S.A.I. ha avuto l'autorizzazione a pubblicare queste due ricerche, di cui oggi qui trovate la prima. Ringraziamo l'autore e l'amico Gérard per il suo interessamento. Prossimamente pubblicheremo anche il secondo studio storico. Ci sia consentita una piccola estensione: leggendo di queste corse pedestri francesi ci siamo ricordati di quanto ha dato in termini di ricerca il nostro mai dimenticato Marco Martini. Pochi altri hanno fatto il lavoro che ha fatto lui. 

22 Septembre 1798: première mondiale sur un stade

Lors de La Fête de la Fondation de la République, au Champ de Mars à Paris, le système métrique et la mesure du temps au dixième de seconde furent utilisés, pour évaluer précisément la distance, la vitesse et le temps d’une course en char, à cheval et…. à pied.
Alexis Bouvard (1767-1843), astronome à l’Observatoire National à Paris, et un associé, munis chacun d’une ‘excellente’ montre marine (L.Berthoud – A-L.Breguet) se placèrent au départ et à l’arrivée de la course.
L’un prit l’heure de départ, l’autre celle d’arrivée et par différence calculèrent le temps de course au dixième de seconde si l’on en croit le Procès-verbal de l’expérience.
A.Bouvard la renouvela le 19 Juillet 1800 – 30 Messidor an VIII- pour la Fête de la Concorde, toujours au Champ de Mars.
Le cours de l’Histoire aidant, ces pratiques tombèrent ensuite dans l’oubli.
A.Bouvard poursuivit ses calculs des tables astronomiques, et au passage fit l’hypothèse de l’existence d’une huitième planète ‘troublante’, Neptune, découverte après sa mort.
Les courses à pied continuèrent d’être pratiquées lors des nombreuses Fêtes et Commémorations dans les villes et villages de France et dans les pays où les soldats de l’armée Napoléonienne ‘stationnaient’ : Europe continentale et jusqu’en Egypte avec parfois la participation de leurs habitants.

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Ultimo aggiornamento Giovedì 28 Novembre 2019 07:22
 
Atletica Virtus Castenedolo, cinquant'anni di sfumature biancoverdi PDF Stampa E-mail
Venerdì 22 Novembre 2019 11:28

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Titolo che fa il verso a quelli dei romanzi della scrittrice inglese, londinese di nascita, E.L. James. pseudonimo di Erika Leonard James. La signora ha fatto fortuna con questa serie di romanzi ispirati ai colori (grigio, nero, rosso, una trilogia) che hanno come protagonista Anastasia Steele. Io ho scelto un colore meno cromaticamente definito come il biancoverde. Ma non ho intenzione di scrivere un romanzo, tranquilli. Anche perchè lo hanno già scritto gli amici della Atletica Virtus Castenedolo. Hanno fatto tutto da soli, ci hanno messo cinquant'anni, ma ne valeva la pena. E i colori che li hanno ispirati sono appunto il bianco e il verde.

Domenica mattina le varie «liturgie» consacreranno questi cinque decenni. Una di queste prevede la presentazione del librone autocelebrativo (qui sopra ne vedete la copertina), che riflette appieno il carattere di chi lo ha compilato: scarno di parole, ricco di dati, di foto, di risultati. Così è Erminio Rozzini, così è sempre stato, immutabile. Fu uno dei fondatori dell' Atletica Virtus S.S.Castenedolo, quel novembre 1969. Padrino del battesimo il ciclista Michele Dancelli, gloria sportiva castenedolese. Poche settimane dopo, nel mese di marzo, Michelino iscriverà il suo nome nell'albo d'oro della classicissima Milano - Sanremo, un nome italiano che mancava dal 1953 (Loretto Petrucci). Prima di Dancelli, nientenemo che Eddy Merckx, dopo Dancelli nientemeno che Eddy Merckx (il belga fu sette volte primo su quel traguardo florealcanoro). 

Padrino alla nascita, padrino alle nozze d'oro, domenica mattina, Michele Dancelli. Cinquanta anni di volti, di ragazze e ragazzi diventati adulti, a loro volta madri e padri, storie di vita che si sono intrecciate con il nostro meraviglioso sport, oggi messo a repentaglio dalla insipienza dei più. Preoccupati, talvolta umiliati e avviliti, i gladiatori di Castenedolo, ma non mollano, questi sono i virtussini di oggi, come quelli di ieri. Hanno attraversato tempi buoni e tempi meno buoni, ma non sono mai fatti abbattere. Magari gli si sono piegate le ginocchia ma non sono caduti. E non è che siano a loro risparmiati bocconi amari da inghiottire. Ma hanno trovato la loro forza morale nei giovani che si sono avvicendati in società, li hanno contati: 751, più femmine che maschi. Diciotto titoli italiani in varie categorie, e poi la mietitura di argenti e bronzi, Dieci atleti che hanno vestito la maglia azzurra, grandi soddisfazioni in questi ultimi anni dalla attività Master, perfino due titoli mondiali e otto europei. Si sono occupati di tutte le discipline, ma le alte frequenze cardiache erano per il salto triplo e le prove multiple, adesso c'è il giavellotto. Ma chiunque bussi alla porta della Virtus e voglia praticare una disciplina, trova attenzione, consiglio e un bel pizzico di simpatia.

Domenica ci saranno ospiti importanti. Su tutti Sara Simeoni, accompagnata dal consorte Erminio Azzaro. Poi Sandra Dini, che con Sara ha diviso momenti indimenticabili sulle pedane di mezzo mondo. E poi Magdelin Martinez, che ascoltando Erminio Rozzini si è cavata tante soddisfazioni...triplici. Lui invece non è un ospite, è un uomo che, nella sua stagione atletica, ha permesso alla Virtus Castenedolo di essere la Virtus Castenedolo. Lui è Dario Badinelli. Sarebbe una storia bellissima da raccontare: Erminio Rozzini allenatore, Dario Badinelli atleta. 

Alla Atletica Virtus Castenedolo (da anni nostra socia) giungano i migliori auguri da parte dei soci dell'Archivio Storico dell'atletica Italiana "Bruno Bonomelli". 

Ultimo aggiornamento Venerdì 22 Novembre 2019 16:07
 
Tempo di poca atletica vera, ma di molti rumori elettorali in sottofondo PDF Stampa E-mail
Martedì 19 Novembre 2019 11:11

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La notizia migliore di questo nuovo numero di «Trekkenfild» è che esistono ancora persone interessate all'atletica disposte a mettere mano al portafoglio per sostenere una voce di dibattito, critica, confronto. Queste persone, in maniera diversa, hanno fatto avere a Daniele Perboni e Walter Brambilla, che questo foglio telematico hanno ideato nel 2013, quel tanto che basta per l'acquisto di nuovi strumenti per poter comporre e diffondere il loro lavoro, sostituendo quelli ormai obsoleti. A noi fa davvero piacere, abbiamo un legame di amicizia con i due redattori e tanti punti in comune fra le loro e le nostre attività, noi con lo sguardo rivolto indietro a quello che è stato, loro impegnati sul presente e sul futuro prossimo, che a loro volta diventeranno passato. Il resto, leggetevelo.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 20 Novembre 2019 16:02
 
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