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Quando l'atletica italiana cercava un riparo per l'inverno (quarta parte) PDF Stampa E-mail
Mercoledì 22 Gennaio 2020 10:42

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Così titolava la rivista «Atletica» nel presentare la notizia che anche l'Italia avrebbe avuto una pista e un campionato nazionale al coperto. Oggi abbiamo il piacere di pubblicare un ricordo di una persona che visse da dentro la nascita della pista e del campionato: Augusto Frasca. Augusto, oggi vicepresidente del nostro Archivio Storico, fu nominato Capo dell'Ufficio Stampa della FIDAL nella riunione del Consiglio Federale, il 14 dicembre 1969. Rimase in quell'incarico fino a giugno del 1989, vivendo quindi in diretta gli anni più esaltanti dell'atletica italiana. E non tutto era facile e semplice, ma c'era una volontà smisurata di far crescere questo nostro sport. Oggi, Augusto ha messo nero su bianco per il nostro sito alcuni ricordi, curiosità, annotazioni su quella prima esperienza nazionale «indoor», che coglieva di sorpresa il nostro sonnacchioso ambiente atletico. Nelle puntate precedenti abbiamo cercato di darvi brani di articoli, risultati, nomi di protagonisti. Non possiamo chiudere meglio questa nostra modesta ricostruzione con una testimonianza diretta come quella di Augusto. Che ringraziamo.

Il legno era d'acero, la volontà d'acciaio

di Augusto Frasca

Legno d'acero canadese lavorato ad Ottawa, trasferito in Europa nella patria degli 'scarafaggi', paracadutato via treno all'interno di un genovese Palazzo della Fiera sbigottito dall'invasione aliena. Da qualche giorno segretario generale in pectore al terzo piano della sede di viale Tiziano 70, inviato speciale su dettato presidenziale, fruendo nelle ricorrenze natalizie di una preziosa deviazione sentimentale a Düsseldorf, Luciano Barra aveva giorni prima sottoscritto a Liverpool, nero su bianco, in uno con il mediatore Ron Davis, il contratto per il trasferimento della pista alla stazione merci Terralba del capoluogo ligure: 200 metri di sviluppo, quattro corsie da 0,91, dirittura centrale a sei da 1,22 allungata fino ai 78 metri. In una ventosa mattinata di pieno inverno, scartando ipotesi pessimistiche e arrampicatosi all'ultimo piano del grattacielo della Terrazza Martini, lo stesso Primo Nebiolo aveva celebrato in netto anticipo la nascita dell'evento. Era l'epoca di un'atletica regionale compattata attorno alla figura nobile di Tullio Pavolini, al pragmatismo di Gino Raneri, affiancato nella gestione contabile dall'acribia millimetrica di un segretario a nome Domenico Calcagno e dalla passione di Giacomo Cordano, l'uomo, il sessantasettenne pensionato, il giudice benemerito che avremmo ritrovato in estate, tricolore svettante, sulla pista di Sarajevo, alla testa della truppa azzurra uscita esultante da una semifinale di Coppa Europa ospitata in una città ancora lontana, vittima sacrificale, dai contrasti etnici che nell'indifferenza del mondo l'avrebbero ridotta ad una purulenta pozza di sangue. Quello del 22 e 23 marzo 1970 fu, dalle nostre parti, il battesimo febbrile di una specialità per decenni condannata all'esoticità e appena orecchiata attraverso gli incunaboli di primo Novecento prodotti oltre Oceano da un superbo poker d'assi nazionale: secondo alternarsi di stagioni, Dorando Pietri con la serie di affermazioni nel catino del Madison Square Garden, Emilio Lunghi, tre primati mondiali nel 1909 tra New York e Montreal, Ugo Frigerio, imbattuto nel 1925 negli Stati Uniti con la firma di sei migliori prestazioni mondiali, e Luigi Beccali, volato a New York con le medaglie di Los Angeles e Berlino e prossimo a trasferire armi e bagagli, definitivamente, nella Grande Mela, ritagliandosi periodicamente, con la moglie Aida, lunghe vacanze nell'azzurro italiano di Rapallo. Il programma gare di quelle due giornate genovesi, nei limiti imposti dalla struttura dell'impianto, fu praticamente onnicomprensivo: maschili, 60, 400, 800, 1500, 3000, 60 ostacoli, alto, asta, lungo, triplo, peso, 2000 marcia, staffetta 200 x 1-2-3, femminili, 60, 400, 800, 60 ostacoli, alto, lungo, peso, staffetta 200 x 1-2-3. La rivista federale dette, a consuntivo, il voto: "Nel concerto polifonico non si è potuto evitare, come giusto e come umano, che qualcuno stonasse e si levassero alcune stridenti stecche. Ma le sue grandi riserve d'energia hanno consentito all'atletica italiana di uscire dall'evento a pieni voti, con la patente della maturità. Genova non poteva dare di più a tutti noi, né d'altra parte nessuno aveva chiesto di più. Si voleva un esame, si tendeva a porre un quesito, si esigeva una risposta soddisfacente: tutto ha coinciso con le attese". Questo, nel 1970. Sarebbero poi venute altre stagioni, e un ciclone si sarebbe abbattuto sulla città nel febbraio 1972 quando nel Palazzo della Fiera avrebbe fatto ingresso – tra folle dionisiache, l'albergo assediato da ragazze infoiate, una potenza agonistica di rara espressività – un ventitreenne italiano recuperato in Sud Africa, in poche ore ammesso di diritto nella migliore letteratura sportiva popolare, di nome Fiasconaro Marcello.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 22 Gennaio 2020 15:19
 
Quando l'atletica italiana cercava un riparo per l'inverno (terza parte) PDF Stampa E-mail
Lunedì 20 Gennaio 2020 08:41

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Copertina della rivista della Federazione, marzo 1970: Franco Arese conduce la gara dei 3000 metri, siamo all'inizio, che concluderà con la miglior prestazione italiana in pista coperta. Siamo sui legni della nuova pista installata nel Palazzo della Fiera di Genova, dove si celebrarono i primi Campionati nazionali in pista coperta. Dietro ad Arese, il modenese Renzo Finelli, che resterà secondo

 

E venne il giorno. Anzi, vennero i giorni: 22 e 23 marzo 1970. Genova, Palazzo della Fiera, prima edizione dei Campionati italiani in pista coperta.

Il collaudo era dei più severi – scrisse l’Anonimo Romano sulle pagine della rivista federale, numero 3 – L’atletica italiana si era affacciata finalmente alla ribalta delle competizioni al coperto, con decenni di ritardo senza nessuna esperienza…Il contatto col legno canadese della nostra prima pista «indoor» aveva quindi, a Genova, il sapore e la misticità di un battesimo. L’evento ha proposto temi nuovi in tutti i sensi, ha sollevato per gli atleti ed i tecnici quesiti di natura del tutto impensati in precedenza, ha preteso dagli stessi giudici soluzioni di rapida fattura. Al tirar delle somme, dopo due giornate incandescenti per la tensione e l’impegno da parte di tutti, organizzatori ed agonisti, il totale ha collimato alla perfezione con i conti fatti in sede preventiva”.

Sulle pagine di «Atletica Leggera» il commentino generale e quelli singoli per ogni evento sono affidati a G.Franco Sozzani, solido conoscitore e statistico del nostro sport a quei tempi. Il quale scrisse:

Non c’è dubbio che la FIDAL ha avuto coraggio e che poi, a conti fatti, ha avuto anche fortuna. Non c’è stata adesione plenaria, ma discreta sì. E si è trattato per lo più di atleti ed atlete in buona forma, quale mai avremmo creduto potesse rivelarsi in questo periodo dell’anno. Non crediamo che in uno qualunque degli inverni passati si sarebbe potuto contare su uno stadio di preparazione già così avanzato, salvo che per i mezzofondisti assidui delle campestri. Questa è stata la maggior sorpresa…

Se i primi campionati indoor fossero falliti, le critiche sarebbero state sin troppo facili. Ma onestamente si deve dire che sono riusciti, anche se rimane la convinzione che programmarli in questo momento di pochezza di atleti di valore e di avvicendamento dei quadri sia stato un atto di presunzione.

L’atletica in Italia ha bisogno di essere rilanciata…E per fare una cosa del genere…occorre rischiare… con soddisfazione, dobbiamo dare atto che l’attuale conduzione della cosa atletica nazionale ha mostrato, in questo caso almeno, di avere il gusto del rischio”.

Commento equilibrato. In verità, non ci furono motivi né per squilli di tromba né per strapparsi i capelli. Risultati in linea con un momento e con lo stato generale della nostra atletica. Se non altro, i campionati servirono a riscrivere buona parte dell’albo d’oro delle migliori prestazioni nazionali «indoor»: otto stabiliti dagli uomini e sedici dalle donne, “il migliore dei quali è stato quello ottenuto da Francesco Arese, salito in cattedra per regalare un eccellente 8:02.0 sui 3000 metri. La gara di Arese è stata il fulcro di tutte le due giornate di gare: condotta sin dalla partenza con l’obiettivo fisso al precedente record di Umberto Risi…”. Cifra che era di 8:04.4; Sozzani, statistico come si deve, ci dà i precisi passaggi per le tre frazioni di 1000 metri: 2:39.0, 2:42.0, 2:41.0. “L’impressione generale è che un tempo sui 7:50.0, con una opposizione valida, era senz’altro nelle sue possibilità…Un referendum tra i giornalisti gli assegna il titolo di miglior atleta dei campionati…”.

A suffragare la teoria bonomelliana circa la indispensabile validità della corsa campestre per i mezzofondisti, facciamo rilevare che Arese corse a Catania, Trofeo S.Agata il 3 febbraio (strada); il 22 a Valduggia si impose nel «cross corto» (introdotto allora) dei campionati societari, il 1º di marzo fu terzo al  «Campaccio» dopo il tedesco Philipp e Pippo Ardizzone; l’8 marzo vinse il titolo italiano di «corto» sul percorso romano di Tor di Quinto; poi il 3000 di Genova, e, infine, il quinto posto – primo degli italiani – a San Vittore Olona, dicesi  «Cinque Mulini», il 30 marzo, dopo Naftali Temu, lo jugoslavo Dane Korica, l’altro keniota Philipp N’Doo e Sua Maestà Gaston Roelants. Il 19 aprile apertura in pista alla «Pasqua dell’atleta» con un 5000 in 14:02.0, in volata su Cindolo e Ardizzone, con scattino agli ultimi 80 metri, per un momentaneo primato personale.

Torniamo a Genova. Oltre alla miglior prestazione di Arese, vanno registrate quelle di Cellerino (batteria) e Bianchi (finale) sui 400 (49.0), del ferrarese Dario Bonetti sugli «otto», 1:51.8 (cancellando dalla lista Gianfranco Carabelli che aveva corso in 1:52.1 – quinto nella seconda batteria – a Praga l’11 marzo 1967, secondi Giochi Europei Indoor), il toscano Elio Lazzarotti, 7,51 in lungo. Attenti al salto in alto: quando cominciò la gara il «primato» era di Giacomo Crosa, 2,06 a Reggio Emilia nel '69. Azzaro fece in tutto tre salti: 2,00 – 2,05 – 2.11. Ma nel mezzo ci fu Gianmarco Schivo, che saltò 2.08, misura ignorata dal «Saraceno». E infine Vittorio Visini, 2000 metri di marcia, 8:02.8.

La piacentina di club ma nata in provincia di Parma, Cecilia Molinari, corse due volte, batteria e finale, i 60 metri in 7.5; due anche per Angela Ramello sugli 800 metri: 2:22.4 in batteria, 2:16.4 in finale; identica cifra sui 60 ostacoli, 8.9, per le prime due della finale, Paola Giuli e Milena Sanna. Entra nel palcoscenico dell’atletica italiana la non ancora diciassettenne Sara Simeoni: 1.55; poi anche Loredana Fiori, sua compagna di club, e Loredana Bolzanella, saltano tanto a 1,55 che a 1,58, alla stessa misura arrivò anche la ragazzina, e siamo a sei; a 1,61 restò sola e poi saltò anche 1,64. Otto volte ritoccata la miglior prestazione. Anna Maria Lugoboni dà un buono scossone al lungo, da 5,42 a 5,70, per quei tempi... Silvana Forcellini completa con 13,79 di peso.

Annotazioni sparse. Sara Simeoni ed Erminio Azzaro, in futuro moglie e marito, vincitori nello stesso evento e nella stessa disciplina. Altri nomi estrapolati di gente che abbiamo poi conosciuta. Di Gianfranco Carabelli abbiamo già fatto cenno: aggiungiamo che, Maestro dello Sport, ha avuto una superba carriera nel Comitato Olimpico Italiano; lasciato l’ente, si occupa attualmente dell’Accademia dei Maestri dello Sport, e, ci fa piacere, aggiungere che è socio del nostro Archivio Storico dell’Atletica Italiana. Alessandro Castelli, 800, poi lungamente dirigente lombardo, consigliere nazionale, presidente del CUS Milano; Gigi D’Onofrio, 60 ostacoli, è sempre rimasto nell’atletica, da anni è apprezzato organizzatore di vari meeting, Golden Gala in primis; Gian Piero Aquino, triplo, piacentino, poi Maestro dello Sport; Renzo Finelli, 3000, per tutta la vita un punto di riferimento tecnico nell'atletica modenese. Una selezione, senza la pretesa di accontentare tutti.

Chiuse così l’Anonimo Romano il suo racconto di quei primi campionati: “Le luci quindi potevano spegnersi senza troppi intoppi e calava la tela su questa prima positiva esperienza nazionale nelle «indoor». Un nuovo capitolo della nostra crescita era stato scritto”.

Noi non abbiamo ancora finito. In lista d’attesa ci sono altri capitoli. Al prossimo.

(segue)

Ultimo aggiornamento Mercoledì 22 Gennaio 2020 10:41
 
Quando l'atletica italiana cercava un riparo per l'inverno (seconda parte) PDF Stampa E-mail
Giovedì 16 Gennaio 2020 16:07

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Come sarebbe stata la pista indoor di Genova? C’era curiosità, proprio perché era la prima. La rivista federale «Atletica» corredò l’articolo (già citato nel capitolo precedente di questo ricordo) con due fotografie dello stesso impianto funzionante da tempo a Oakland (è la foto che correda queste righe) e a Seattle, negli Stati Uniti, e con una planimetria. L’anonimo redattore (noi giureremmo su un nome visto lo stile…) ce ne descrive le caratteristiche:

L’impianto costruito da una fabbrica di Ottawa ed importato in Europa da una ditta di Liverpool, è in perfetta armonia con le recenti norme IAAF che tendono ad armonizzare l’attività «indoor» fino ad oggi svoltasi con la più grande varietà di attrezzature. La pista sviluppa 200 metri di circonferenza con quattro corsie da 0,91. Le dimensioni al vivo sono di metri 85,63 per 43,28…Il fondo è in legno…All’interno della pista trova posto la dirittura centrale per le gare veloci ed a ostacoli della lunghezza di 78 metri...La pedana di alto è contigua alla dirittura centrale…Pedane indipendenti sono quelle per il lungo e triplo (lunghezza di metri 51,24) e per l’asta (lunghezza di metri 43,89). Completa il tutto la pedana di lancio del peso.

“Particolarmente interessante è la facilità con la quale l’intero impianto viene messo in opera (24 ore di lavoro) e viene smontato (12 ore). In teoria si può dire che qualunque palestra o palazzo dello sport…potrebbe venire facilmente attrezzata per una «indoor».

Dopo le puntuali informazioni tecniche, quelle relative alle gare in programma, oltre a qualche breve annotazione su questo tipo di attività.

I nostri atleti non hanno mai partecipato in forza a gare al coperto, anche perché per farlo dovevano necessariamente recarsi all’estero. Può essere curioso, comunque, notare che sin dagli ultimi anni del secolo scorso, si tenevano nel nostro Paese micro-riunioni al coperto: una di queste, che è rimasta famosa anche per un resoconto apparso sul giornale delle buone famiglie italiane dell’epoca, la «Domenica del Corriere», ebbe luogo al Teatro Castelli in una nevosa serata dell’inverno 1896 (“presente tutta la buona società”…). Di gare al chiuso non si parlò più per molto tempo”.

“Poco diffusa in Europa, l’atletica «indoor» rimase completamente sconosciuta in Italia, per molti altri anni. Si guardava all’esibizione dei campionati americani come ad una manifestazione da baraccone. Tecnicamente quelle prove venivano guardate col sorriso della sufficienza.

“Gli ambienti tecnici nazionali hanno cominciato a sentire da tempo la inderogabile necessità di affacciarsi nel concerto europeo di queste prove. I primi tentativi in questo senso, intrapresi con lo spirito pionieristico più aperto, hanno dato fortunatamente ragione ai convinti assertori delle «indoor».

“Ora Genova terrà ufficialmente a battesimo la prima rassegna nazionale al coperto…L’atletica in sala ha tutto un suo particolare fascino…è certo che l’attrattiva che può offrire risulta di presa più immediata sul pubblico. La vicinanza stessa degli spettatori, l’atmosfera raccolta, la presenza tangibile degli atleti, sono tutti fattori che contribuiscono ad esaltare il rapporto spettatore – atleta, fino a sfociare in uno spettacolo di alto contenuto umano.

“Per noi tutto il mondo gravitante intorno alle piste «indoor» ha il sapore della novità. È per questo un passo molto impegnativo quello che la Federazione sta facendo con la coraggiosa programmazione di Genova.

“Le gare sui legni sono fondamentali esami di coraggio e d’agonismo. L’atletica moderna, col costante impegno che richiede a ciascuno, non può permettersi un «buco» di cinque mesi nell’arco di un anno. E noi dobbiamo consentire ai nostri atleti, proprio nelle gare «indoor», di forgiare la propria preparazione agonistica…

“I campionati di Genova, nei quali verranno assegnate le prime maglie tricolori al coperto, siano quindi il primo atto che porti ad accettare le «indoor» come fatto costitutivo di una atletica maggiorenne, quale dovrà essere quella italiana degli «anni 70» “.

Piccolo tassello dei tempi che furono. Nell’articolo si cita una esibizione al Teatro Castelli di Milano del 1896. Ma c’è perfino qualcosa di più antico. Claudio Enrico Baldini, Maestro dello Sport, nostro socio fondatore, purtroppo scomparso prematuramente, cultore di cose antiche del nostro sport, ci informò di una esibizione di salto con l’asta (con pedana, allora questi esercizi facevano parte dei concorsi ginnici) tenutasi nell’anno 1884 nella palestra della Società Ginnastica Forza e Coraggio, a Milano. Il risvolto curioso, per non dire eccezionale, è che di quell’evento esiste una traccia unica: un disegno originale fatto dal vero da certo signor Matania, e venne pubblicato sulla rivista «Gli Sports». Questo disegno, grazie a Claudio Enrico Baldini, fu riprodotto sulla copertina del libro «European Indoor Handbook» edito in occasione del Campionati Europei Indoor 1992, proprio a Genova. Autori Marco Martini, Giorgio Malisani e Raul Leoni, coordinatore Ottavio Castellini.

Anche le gare al coperto, seppure non tanto estese, avrebbero la loro bella storia da raccontare. Noi ci fermiamo qui, per oggi. Ma ci sono altri capitoli in gestazione, fra statistiche, testimonianze dirette, altre curiosità. Appuntamento nei prossimi giorni.

(segue)

Ultimo aggiornamento Lunedì 20 Gennaio 2020 08:39
 
Costermano diventa Navazzo, sulle pagine del quotidiano «L'Arena» di Verona PDF Stampa E-mail
Giovedì 16 Gennaio 2020 00:00

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Diciamo che ci ha fatto piacere che la nostra iniziativa di visitare e omaggiare la tomba di Adolfo Consolini in occasione del cinquantesimo anniversario della morte sia stata ripresa dal quotidiano veronese «L'Arena», cui erano presenti anche Sara Simeoni e Erminio Azzaro. Peccato solo che il redattore che ha messo in pagina la notizia abbia fatto un bel pasticcio, confondendo Costermano - dove è sepolto il campione olimpico - e Navazzo che è la sede del nostro Archivio. Due sponde diverse del lago di Garda, due località che, dirimpettaie, si guardano. E dire che bastava copiare pari pari le righe scritte e inoltrate dal nostro socio Enzo Gallotta, che, con un tempismo ammirevole, si era fatto carico, al rientro da Costermano, di inviare la notizia della visita dei soci dell'A.S.A.I.. Vabbè, peccatuccio veniale, considerando anche che la notizia è stata messa in pagina il giorno della vigilia di Natale, e quindi con qualche fretta dell'ultima ora e con la voglia di andare a cena.

Noi ringraziamo comunque la redazione sportiva del quotidiano veronese per l'attenzione riservata alla nostra iniziativa, così come l'amico Umberto Livotto, sempre attento a farci avere ritagli di giornale di interesse atletico, come in questo caso.

Ultimo aggiornamento Giovedì 16 Gennaio 2020 09:25
 
Quando l'atletica italiana cercava un riparo per l'inverno (prima parte) PDF Stampa E-mail
Lunedì 13 Gennaio 2020 18:23

Non occorre una memoria di ferro per ricordare che giorni orsono abbiamo accennato che quest’anno fanno cinquanta dalla prima edizione dei Campionati italiani in pista coperta, che si tennero il 22 e 23 marzo 1970, sulla appena acquistata, e montata, pista, all’interno del Palazzo della Fiera di Genova. Fu una decisione repentina, quasi inattesa, anche se desiderata. Di atletica invernale si parlava da tempo, ma molte e forti erano le remore, secondo le convinzioni…dell’epoca della pietra.

Leggete qualche brano dello scritto di Dante Merlo in apertura del numero di marzo 1970 della rivista «Atletica Leggera»:

Sia per l’attività «indoor» che per il dibattito in sede tecnica siamo passati dallo zero assoluto all’alto livello in quattro e quattr’otto…salutiamo i «salti» compiuti con un piacere un po’ incredulo. Costretti per un sacco di anni a subire le cortine fumogene regolarmente lanciate dai vecchi dirigenti davanti alle novità in ossequio alla teoria del gradualismo, non ci par vero che in così breve lasso di tempo si sia recuperato tanto terreno.

“Non è inutile ricordare che i vecchi dirigenti ebbero sempre in uggia le attività invernali come le corse campestri e le riunioni al coperto. Per queste ultime poi nutrivano un’avversione che rasentava la persecuzione*…Con tutto questo la base non rinunciò al tentativo di far breccia in quel muro…Nel contesto di quella pressione rientrano le riunioni a programma ridotto o con soli salti allestite a Brescia, a Udine, a Piacenza, a Bologna, in palestre, palazzi dello sport o delle fiere…Soltanto lo scorso anno…si ebbe la prima riunione al coperto di una certa dimensione al palazzo dello sport di Reggio Emilia.

* Dissentiamo dalla affermazione che le gare al coperto furono perseguitate. Semmai vorremmo ricordare che una vera e propria crociata fu scatenata contro la corsa campestre, quando, con una decisione del Consiglio Direttivo federale, si impedì la partecipazione degli atleti di Prima Serie alle gare di cross e si disputarono campionati nazionali solamente per i Terza Serie e i non tesserati. Per le gare al coperto questo non è mai avvenuto. Ci voleva organizzare, lo faceva: pensiamo a Sandro Calvesi che fine anni '40 - primi '50 organizzava garette a Brescia nel maneggio della Cavallerizza Bettoni.

“L’esame di Genova del primo completo esperimento «indoor» italiano è stato invece superato con ottimi voti. Buona volontà e coraggio alleati hanno consentito un’impresa che soltanto una settimana prima…sembrava impossibile. La pista infatti, ricevuta in ritardo dagli organizzatori genovesi perché ordinata in ritardo dalla Fidal, è stata montata all’ultimo momento”.

Il mensile della Federazione «Atletica» aveva dato notizia dei Campionati al coperto nel suo numero di gennaio, dedicando all’evento bel cinque pagine, dalla quinta alla nona, corredando il testo con fotografie, tabelle delle migliori prestazioni al coperto. Facciamo notare che allora si parlava di «migliori prestazioni» e non di «primati». Leggiamo alcuni brani di quello scritto:

Genova avrà i primi campionati «indoor» della nostra atletica. È questa la più interessante novità per il nostro sport che così si affaccia agli «anni 70» della sua maturità.

“Il problema dell’attività «indoor» era stato per decenni, in Italia, semplicemente accantonato. Si diceva che la stagione all’aperto, per cause climatiche già molto lunga e logorante, era più che sufficiente ad offrire agli atleti ogni possibile occasione di cimento. Come giustificazione tecnica si poneva la probabile lacerazione delle nostre esigue forze di prima linea. Tutto questo mentre all’estero, escludendo pure gli USA dove l’attività al coperto è nata insieme all’atletica stessa, si seguivano ben altre strade. Ed a onor del vero con ben altro successo. La Federazione ha affrontato ora il problema con coraggio. Gli esperimenti fatti negli anni passati meritavano bene un seguito ed una ufficializzazione. Gli organi federali si sono quindi messi al lavoro. Il primo ostacolo che hanno dovuto superare riguardava proprio la mancanza di un impianto completo. Molti palazzi dello sport da noi potrebbero tranquillamente contenere piste «indoor», ma molto più difficile risulta al momento convincere le varie amministrazioni alla loro dotazione in questo senso. Così la Federazione ha provveduto all’acquisto di un impianto completo smontabile, che per la prima volta sarà usato proprio a Genova, al Palazzo della Fiera, per i primi campionati nazionali in sala”.

Per oggi ci fermiamo qui per non farla troppo lunga, ma vi racconteremo il resto a puntate nei prossimi giorni.

Un’ultima annotazione. Il 14 e 15 marzo, quindi una settimana prima dei nostri primi Campionati nazionali, la Stadthalle di Vienna, al Prater, aveva ospitato i primi Campionati d’Europa al coperto. Negli anni precedenti, erano stati disputati dei «Giochi» continentali, che non assegnavano titoli. A Vienna la partecipazione italiana raccolse ben poco. “Amaro responso”, commentò Dante Merlo. Ancor più esplicito Ruggero Alcanterini sulle pagine federali. “Sarebbe pressoché impossibile individuare aspetti positivi nella partecipazione azzurra alla prima edizione ufficiale dei Campionati Europei Indoor e noi non vogliamo ricorrere ad artifici di sorta per rovesciare una frittata che allo Stadio del Prater, sia pure tra valzer e luci sfolgoranti, è riuscita decisamente male…Questa onesta riflessione, però, non deve suonare come amaro rimpianto o squillo d’allarme: è soltanto una onesta riflessione…”.

A Vienna andarono nove atleti italiani: Claudio Cialdi (60m, sesto in batteria, la terza); Sergio Liani (60m ostacoli, quinto in batteria, la seconda); Aldo Righi (asta, non classificato); Giuseppe Gentile (triplo, settimo); Carlo Arrighi (lungo, dodicesimo); Umberto Risi (3000m, quinto in batteria, la seconda); Cecilia Molinari (60m, quinta in semifinale, la seconda); Donata Govoni (terza in batteria, la seconda); Mariella Baucia (lungo, diciassettesima).

(segue)

Ultimo aggiornamento Giovedì 16 Gennaio 2020 16:06
 
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