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Vi raccontiamo Donato Pavesi, un campione rimasto senza medaglia (4) PDF Stampa E-mail
Giovedì 08 Ottobre 2020 09:49

Vi va di continuare a leggere Alberto Zanetti Lorenzetti? Noi diremmo che ne vale la pena, dal momento che tutto quello che scrive rispetta alcune regole fondamentali: a) sa usare la lingua italiana (e con i tempi che corrono non è pregio da poco...); b) le carriere dei personaggi che via via ci racconta sono sostenute da ricerche «vere» non da scopiazzature mordi e fuggi; c) quindi la ricostruzione storica è...una ricostruzione storica, e non il copia-incolla di qualche sito, errori inclusi; d) l'autore ha consultato riviste e giornali d'epoca con certosina attenzione; e) in aggiunta ai risultati, affascinante è la ricchezza del materiale iconografico che Alberto riesce a reperire e che noi mettiamo a corredo dei suoi articoli. E, da ultimo, rispetta appieno la ragione di esistere di questa nostra associazione: ricercare, studiare, approfondire, mettere a disposizione dei non molti sopravvissuti, fatti e figure dell'atletica italiana. Ripetiamo: atletica italiana. Con il che rispondiamo a quanti ci chiedono di occuparci di Owens, Abebe Bikila o Usain Bolt, non hanno capito che non rientrano nel nostro DNA. Come ci ha insegnato Marco Martini, la ricerca può interessare atleti di altri Paesi se ci sono solidi agganci con situazioni italiane. Marco ci raccontò, per esempio, della tournée di Rafer Johnson in Italia nel 1958, quando fu a Brescia, Parma, Roma, e due anni dopo vinse il titolo olimpico di decathlon, in quella che è stata per molti la più avvincente gara di questa straordinaria disciplina (che qualcuno ha cercato, e cerca, di distruggere con astruse proposte di cambiamenti, tanto per fare gli originaloni...). È la scelta che ci ha sempre accompagnato anche nel pubblicare materiali di amici stranieri (in particolare i francesi): cerchiamo sempre di reperire connessioni con l'atletica italiana. Così è (se vi pare).

La parola ad Alberto Zanetti Lorenzetti. Ne ha facoltà.

Prima occupiamoci delle tre foto qui sotto. Quella in verticale ci regala la coppia regina della marcia italiana di cento anni fa: Ugo Frigerio e Donato Pavesi, al Giro di Milano. In orizzontale, sopra: collage di immagini della Targa Lombardia del 1918, vinta dal nostro; sotto, i partecipanti alla maratona di marcia alla partenza: Pavesi, sempre a capo coperto con il cappellino a spicchi bianconeri, reca sul petto il numero 79, accanto a lui con il numero 103 il triestino Giusto Umek, che si aggiudicherà la vittoria

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Il nuovo rivale di Trieste

Dopo la vittoria su Cattaneo – che lo aveva battuto pochi giorni prima nella Coppa Malvezzi – il 7 aprile 1919 in una gara di 44 chilometri a La Spezia, Pavesi si schierò alla partenza della «Cento Chilometri» che oltre a cambiare il percorso, propose anche la novità del periodo di svolgimento. Non più novembre, ma il 20 aprile, confidando in una stagione più mite. Niente affatto. Le condizioni del tempo durante la gara furono pessime. Assenti gli stranieri – sarebbero ricomparsi nel 1922 – il pronostico lo dava scontato vincitore, e così fu, anche se trovò in Giovanni Colella un tenace avversario.

Fu poi la volta del Campionato della maratona di marcia, che ebbe in gara anche atleti provenienti dalle “terre redente”. Alcuni di questi erano elementi di classe, come Giusto Umek, autore di un brutto scherzo a Pavesi che, in testa fino alle battute finali della prova, si era fermato per farsi massaggiare dando la possibilità al triestino di superarlo e aggiudicarsi il titolo nazionale. Il 30 novembre si impose nel Circuito lombardo, ultima gara disputata con la maglia dell’Unione Lombarda Milanese.

Eravamo tutti alla mercè di Donato Pavesi che, come il più anziano dei marciatori dell’epoca, fondava ogni criterio di bravura sulla velocità: soltanto su quella. Gli era ausiliatrice fedele la fortissima costituzione fisica, nonché la robusta tempra provata in mille esibizioni”. Così il giovanissimo Ugo Frigerio vedeva da esordiente la figura di Pavesi, il campione da emulare assieme a un altro concittadino, Nando Altimani, il vincitore del bronzo olimpico nel 1912, ferito di baionetta – come scrisse il «Corriere della Sera» – combattendo con la divisa dei granatieri e tornato per un breve periodo in pista.

La Victoria Excelsior, nuova società di Donato, il 4 aprile 1920 organizzò il Meeting di Pasqua, dando modo al suo atleta di conquistare una vittoria alla vigilia della «Cento Chilometri», in programma una settimana dopo. Nella “classica” della «Gazzetta dello Sport» dominò, sgretolando la resistenza di Silla Del Sole, che dovette ritirarsi a Cesano Maderno, e rifilando quasi un’ora di distacco ai bersaglieri Nestore Bonini e Angelo Paoletti, giunti appaiati al traguardo e classificati al secondo posto pari merito. Questo ex-aequo non deve sorprendere: la presenza dei militari, ed in particolare dei fanti piumati del 12° Reggimento, con la caratteristica di marciare in gruppo è stata per anni una costante della manifestazione.

Seguirono le gare pre-olimpiche che, nonostante risultati piuttosto alterni, portarono alla sua convocazione per entrambe le gare di marcia, poi vinte dal concittadino Ugo Frigerio. Tristi ricordi per Donato, quelli di Anversa, così commentati dalla «Stampa Sportiva» per la 10 chilometri: “Mentre per il 1. e 2. posto ormai lottano solo Peermann (Pearman) e Frigerio, Pavesi e Parker si disputano il 3. posto. L’italiano passa Parker al 13. giro, mentre Frigerio aumenta per doppiare l’inglese Heyr (Hehir).  Al 14. giro, mentre Pavesi lotta con Parker il giudice australiano (notare che Parker è australiano) toglie Pavesi dalla lotta squalificandolo, senza averlo per due volte avvertito come prescrive il regolamento per andatura scorretta. Ciò solleva generali proteste del pubblico e dei giornalisti”. Non andò meglio nella finale della 3 chilometri, raggiunta dopo un primo posto in batteria: “Pavesi giunto al traguardo 6. è stato squalificato di nuovo ingiustamente dal giudice di marcia per scorrettezza di andatura”; sperando nell’accettazione di un reclamo aveva proseguito la gara. Invano. A Roma, il 20 settembre, nel Campionato della maratona di marcia fu nuovamente battuto dal triestino Umek, altro atleta che ha scritto la storia della marcia in quelle stagioni.

(segue)

Ultimo aggiornamento Lunedì 12 Ottobre 2020 10:16
 
La supertecnologia ha fatto evaporare il fascino irresistibile dell'atletica PDF Stampa E-mail
Martedì 06 Ottobre 2020 15:20

La foto che pubblichiamo viene dalla Collezione personale di Luc Vollard, leader di quel gruppo di storici e statistici francesi che formano la Commissione Documentazione e Storia della Federazione atletica transalpina. Amici con i quali siamo in relazione da anni, con reciproca soddisfazione. Dagli scritti di Luc c'è sempre da imparare qualcosa. Stavolta ha suscitato tutta la nostra attenzione la foto che correda il suo «editoriale» che apre il numero 108 della Newsletter mensile stilata dal gruppo. Abbiamo fatto un rapido sondaggio fra i nostri soci più documentati per sapere se avessero visto questo documento prima d'oggi. Forse qualcuno troveremo, magari qualcun altro ce ne farà avere copia, ma, per adesso, abbelliamo il nostro sito con questa «primizia» di cui ci fa dono monsieur Vollard.

Vien fatto chiedersi: ma tutta 'sta tecnologia d'oggi (ormai gli strumenti, per esempio, possono leggere differenze al millesimo di secondo, e tante altre diavolerie) hanno reso più attraente l'atletica o ne hanno sminuito il fascino? E ci chiediamo ancora: che senso ha continuare a sviluppare sistemi sempre più sofisticati, e nel contempo togliere validità ai risultati cronometrici e metrici per sostituirli con l'assurdo papocchio dei cosiddetti «rankings» basati su degli astrusi punteggi? Stanno da tempo cercando di trasformare uno sport vero, reale, indiscutibile, in un pastrocchio affidato a calcoli cervellotici. Lasciamoli ad altri sport, validissimi per carità, che ne hanno bisogno per la loro intrinseca struttura. I nostri punti di riferimento son sempre stati il metro sigillato nella famosa Barra numero 27 (di platino-iridio) depositata al Bureau international des poids et des mesures a Sévres, nei pressi di Parigi, e il minuto-secondo, quello che da noi viene scandito dall'Istituto elettrotecnico nazionale Galileo Ferraris di Torino. Tutto il resto è noia, come cantava Franco Califano.

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L’athlétisme est un sport de précision par excellence. A tel point qu’il faut parfois recourir au millième de secondes pour départager des coureurs, organiser des barrages pour la victoire entre sauteurs ou prendre en compte une deuxième performance pour trouver le meilleur lanceur.

Depuis 1976, les records des épreuves de sprint sont homologués au centième, mais avant le dixième de seconde, la référence était le cinquième, bien sûr en chronométrage manuel ! Pourtant c’est en 1927 que la France testa pour la première fois un dispositif automatique. La précision était bien sûr recherchée, notamment pour éviter les palabres lors des arrivées serrées mais il fallait aussi répondre au besoin d’enregistrer tous les temps des décathloniens lors de leurs épreuves. En effet, pendant longtemps, seul le temps du vainqueur était relevé.

Le 16 octobre 1927,  un appareil développé par l’ingénieur allemand Loebner est ainsi installé au stade de Colombes et un curieux portique prend place sur la ligne d’arrivée. La distance choisie est le peu courant 50 m, ce qui garantit un test probant et deux manches sont organisées. Armand Crestois au couloir 3 s’impose à deux reprises en 6’’0 puis en 6’’1, à chaque fois devant Maurice Rousseau, couloir 2, André Cerbonney, couloir 1 et Marcel Sylvestre au 6, tous internationaux.

En parallèle d’essais dans les sports mécaniques, le cyclisme et la natation, l’expérience s’avéra concluante pour l’athlétisme et, en 1928, le décathlon des Jeux Olympiques d’Amsterdam bénéficia du matériel Loebner et de son fonctionnement automatique qui mettra cependant encore quarante ans à devenir la norme. Aujourd’hui, les chronométreurs manuels, juges aux arrivées et la joyeuse effervescence autour de l’échelle ont presque complètement disparu de nos compétitions, remplacés par la caméra et l’ordinateur, mais les entraîneurs et certains spectateurs prennent toujours les temps autour de la piste!

Crédit photo : collection Luc Vollard
Ultimo aggiornamento Martedì 06 Ottobre 2020 19:26
 
Innalziamo vessilli e canti per una persona onesta: Rita Bottiglieri PDF Stampa E-mail
Giovedì 01 Ottobre 2020 07:27

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Spesso Gianni Brera concludeva così certi suoi «pezzi» di letteratura, non erano articoli di giornale seppure scritti su quotidiani: "innalziamo vessilli e canti" per qualcuno che voleva elevare all'onore delle cronache. Noi oggi usiamo - ci approppriamo - della stessa espressione per innalzare i nostri vessilli e i nostri canti (di ringraziamento) in onore di una persona onesta cui un manipolo di esagitati ha fatto vedere, per anni, il diavolo in un buco: Rita Bottiglieri. Il documento che alleghiamo ve lo potete leggere da soli, presumiamo che tutti i nostri utenti siano alfabetizzati: doppio click sulla immagine, questa si ingrandisce, meraviglia della tecnologia, e voi leggete. Se volete.

Dopo l'ennesimo conato di vomito di qualche giorno fa leggendo certi titoli di fogli (quando eravamo piccoli il nostro fruttivendolo li usava per avvolgerci la lattuga, le patate e le cipolle, dovremmo tornare a quei tempi), arriva una notizia, l'ennesima da qualche mese a questa parte, che rende giustizia ai giusti. Ancora una volta la Banda Bassotti aveva dato l'ennesimo colpo di coda, non contenta degli schiaffoni che aveva ricevuto in Tribunale. Ed ecco rispuntare la parola magica, una specie di Viagra che suscita erezioni tardive: complotto. E certi ominicchi e quaqquaraquà danno fiato alle loro trombe, stonate, e, con la faccia foderata di pelle di culo (copyright Ersilio Motta, giornalista bresciano grande esperto di rugby) tornano a rimestare nello sterco di trame oscure ai danni di...di chi? In questa storiaccia brutta se ne son dette di ogni, è venuta fuori perfino la mafia russa, che, come è a tutti noto, dedica un sacco di tempo ad analizzare i risultati delle gare di marcia. Un altro invece, tirando in ballo il Vangelo, si è schierato evangelicamente: solo chi cade può risorgere. Infatti si è visto. Lo vada a dire al Cardinale Becciu, ai preti (cardinaloni) pedofili, e ai custodi dei denari del Diavolo custoditi dal passato IOR. E a quelli che rubano, avete letto bene, rubano, l'Obolo di San Pietro, quello destinato (dovrebbe essere destinato) ai poveri. Invece, anche queste sante persone, come la mafia russa, si occupano di tacco-punta. E pensare che il Comitato olimpico internazionale vuol disfarsi della marcia.

Ulteriore perla: abbiamo letto in una «velina» federale che "noi - cioè loro - abbiamo il dovere di difendere il nostro patrimonio atletico», più o meno così. Chi difendono? Chi hanno difeso in questi anni? Avete presente gli struzzi? Aprite Wikipedia e leggete di certe loro abitudini.

Rita, la nostra piccola congregazione gioisce per te. Ma anche per Beppe Fischetto e Pier Luigi Fiorella, tuoi compagni di sventura in questi tormentati anni. Lascia che ti diciamo una cosa: siamo orgogliosi che tu e Beppe siate nostri soci. Speriamo fra poco di strappare i 50 Euro della quota annuale anche a Pier Luigi! Pier, sei dei nostri comunque.

Ultimo aggiornamento Giovedì 01 Ottobre 2020 17:19
 
Vi raccontiamo Donato Pavesi, un campione rimasto senza medaglia (3) PDF Stampa E-mail
Martedì 29 Settembre 2020 14:59

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Passano gli anni, e son anni di guerra, anzi di macelleria in nome di una Patria che era degli altri, di quelli che in trincea non ci andavano per farsi massacrare dalla mitragliatrice austriaca Maschinengewehr Patent Schwarzlose M.07/12 e che stavano a casa a far affari d'oro con il conflitto. Donato Pavesi al fronte non ci andò e continuò imperterrito a marciare, la cosa migliore che sapeva fare. Eccoci alla terza puntata del racconto che Alberto Zanetti Lorenzetti ha scritto per noi dopo attenta e documentata ricerca su questa affascinante e variegata figura di atleta della prima parte del Secolo XX. Stavolta Alberto prende in considerazione gli anni dal 1914 al 1918.

Nella prima foto: Donato dopo il successo nella «Cento Chilometri» del 1914; attorno al vincitore non mancano mai, ieri come oggi, le folle di tifosi. Le altre due immagini si riferiscono alla manifestazione «Scudo d’Italia», marcia e tiro, una specie di biathlon ante litteram: Pavesi, con occhiali, nella insolita veste di tiratore; la squadra dell'Unione Sportiva Milanese che si aggiudicò il trofeo a squadre

La “Cento” del record

Anche nel 1914 le cose migliori vennero nella seconda parte dell’anno. Donato andò a caccia di primati nazionali, collezionando in un colpo solo, il 27 ottobre a Milano, quelli delle 9 e 10 miglia, delle 2 ore con 22.828 metri, e delle 15 miglia, percorse in 2 ore 07’35”6. Pochi giorni dopo, sempre in un’unica gara, si impossessò delle migliori prestazioni dei 15, 20 e 25 chilometri, conclusi in 2 ore 12’06”6.

Dopo essere arrivato al secondo posto ai Campionati italiani nelle gare dei 1.500 metri e dei 10 chilometri, battuto da Nando Altimani e Giovanni Galli, si dedicò alla preparazione della «Cento Chilometri», prevalendo su Brunelli nella Coppa Minerva. Era l’8 novembre, una settimana prima dell’evento clou. Confidò quanto tenesse a questa gara allo «Sport Illustrato»: “Il mio sogno è sempre stato quello di vincere la 100 km, perché questa gara era quella che aveva la maggior eco all’estero. Questo mio desiderio però non era il parto di una guasconata, bensì la sicurezza che i decantati marciatori stranieri non erano e non potevano essere migliori di noi. (…) Le precedenti vittorie di Ross e Brockmann avevano troppo ferito il nostro amor proprio personale e nazionale”. Il confronto diretto con campioni delle altre nazioni venne a mancare: l’Europa era in guerra, per cui l’avversario da battere per dimostrare la propria classe non era tanto il gruppo di atleti italiani, ma il cronometro. L’impresa gli riuscì e il «Corriere della Sera» commentò: “Il coraggioso, modesto vincitore batte il record stabilito dal tedesco Brockmann l’anno scorso. Non risulta che altro tempo migliore esista per i 100 km di marcia: la performance di Pavesi è mondiale”. A ulteriore riprova dello splendido stato di forma, quindici giorni dopo vinse a Legnano il Campionato di maratona di marcia, precedendo Carlo Cattaneo.

Mentre l’Italia si stava avvicinando all’entrata in guerra, il 21 marzo 1915 la «Gazzetta dello Sport» fece disputare una di quelle gare che manifestavano il suo appoggio all’interventismo. Si trattava di una competizione di marcia e tiro a segno per l’assegnazione dello «Scudo d’Italia», con percorso di 42 chilometri, da Milano a Legnano e ritorno. Vinse la prima squadra dell’Unione Sportiva di Pavesi, una formazione costituita da valenti marciatori, ma che lasciavano a desiderare nel tiro – lo stesso Donato aveva dovuto mettersi gli occhiali – andando ad occupare una poco gloriosa settima piazza, che però non impedì la conquista del trofeo grazie alla prestazione nella marcia.

Nelle successive gare individuali seguirono il terzo posto nella «Coppa Minerva» e, otto giorni prima dell’inizio della guerra, la vittoria nella «Coppa Nazionale». Durante il conflitto scese in pista poche volte. Vinse il Meeting della Post Resurgo Libertas il 16 aprile 1916 e due mesi dopo venne battuto da Mario Vitali nella Coppa Malvezzi. Fu più attivo nel 1918, quando si impose nella 5 chilometri del Meeting dell’Esperia Sampierdarena ai primi di maggio, in una prova ad handicap nella Polisportiva di beneficenza a Milano il 30 giugno e nella Targa Lombarda il 28 luglio.

(segue)

Ultimo aggiornamento Mercoledì 07 Ottobre 2020 09:48
 
Un ricordo di Marco Martini e della sua cultura per lo sport dei popoli indigeni PDF Stampa E-mail
Lunedì 28 Settembre 2020 15:06

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Il nostro vicepresidente Augusto Frasca è l'autore di un articolo sulle pagine della Rivista della Scuola dello Sport con l'intento di ricordare il nostro indimenticabile socio fondatore Marco Martini. L'articolo prende spunto da una pubblicazione che Marco si stampò in proprio nel 2009 e che «regalò» al nostro Archivio Storico, ponendo in copertina il nostro logo e facendolo entrare nel catalogo delle pubblicazioni da noi edite. Marco, da quel galantuomo che era, ha sempre mantenuto l'etichetta A.S.A.I. nei suoi lavori, che, tra l'altro, si pagava da sé senza elemosinare mai un aiuto a nessuno. E quando diciamo «nessuno» significa proprio «nessuno». Al contrario di tanti roditori che, di riffa o di raffa, riescono sempre a mettere le fatture a carico di altri. Inoltre Marco veniva alle Assemblee dell'Archivio e donava sempre un certo numero di copie agli altri soci. Signorilità, sostantivo in disuso.

«Ritorno alle tradizioni», questo il titolo del libro che Augusto ha rispolverato. Fu, in embrione, il punto di partenza di uno studio che Marco portava avanti, silenziosamente, da vero ricercatore qual era, da molti anni sullo sport dei popoli di interesse etnografico. Gigantesco, documentatissimo lavoro, di cui esistono alcuni edizioni «casalinghe» (fotocopie rilegate in copisteria) che poi ebbero la sorte di essere raccolte in un libro stampato, purtroppo modesto come realizzazione (solo testo, senza alcuna immagine), ma meglio di niente: «L'energia del sacro», con un chiaro riferimento alla interpretazione di Marco del legame fra celebrazioni religiose e espressioni ludiche.

Il testo pubblicato sulla Rivista della Scuola dello Sport è disponibile, in PDF, qui.

Ultimo aggiornamento Lunedì 28 Settembre 2020 21:59
 
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