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Quarant'anni fa l'atletica perdeva Sandro Calvesi, professore di ostacoli PDF Stampa E-mail
Venerdì 20 Novembre 2020 16:01

Il cuore cessò di battere regolarmente proprio il 20 novembre, anno 1980, era un giovedì. Così se ne andava Sandro Calvesi, uno degli uomini, dei tecnici, ancor oggi, più conosciuti e ricordati nel mondo dell'atletica, abbiamo detto «mondo». Nella ricorrenza del quarantesimo anniversario della scomparsa, desideriamo ricordarlo. Non rifacciamo per l'ennesima volta l'elenco dei successi dei suoi atleti. Abbiamo deciso di affidare il suo ricordo ad un nostro socio che con Calvesi ebbe occasione di collaborare a Brescia. Ne è uscito un ritratto vivo, vero, scaturito da frequentazione assidua.

Grande cura abbiamo cercato di mettere anche nella ricerca della iconografia che ci regali immagini di Sandro Calvesi nei molteplici ruoli della sua vita: l'atleta, l'organizzatore, il dirigente di società. Nel ruolo di tecnico lo abbiamo visto tante volte.

Le foto. La prima qui in alto ci riporta ad un giovane, aveva venti anni, Sandro Calvesi, saltatore in alto; detenne il primato bresciano con 1.75, Roma, il 16 giugno 1933; era tesserato per la Società Ginnastica Bresciana Forza e Costanza. Calvesi risaltò la stessa misura a Brescia il 16 ottobre 1938, ma era tesserato per la milanese G.S.Baracca. Nella immagine sotto a questa: Brescia, Stadio Rigamonti, 29 giugno 1950: verso le 18.30, l'olandese Fanny Blankers-Koen, un mito con le sue quattro vittorie ai Giochi Olimpici 1948, stabilì il nuovo primato mondiale delle 220 yarde in 24"2. Attorno al tavolo della giuria, in piedi da sinistra, tal Dossena; quindi l'elegante Sandro Furlan, giornalista del «Giornale di Brescia»; con il braccio teso indicando i premi, Elio Sangiorgi, redattore capo delle pagine sportive dello stesso giornale; è la volta di Bruno Bonomelli, baffuto; e infine in camincia bianca mezze maniche Sandro Calvesi. Nelle due immagini verticali, sempre il nostro in uno dei ruoli che prediligeva, l'annunciatore, durante le gare da lui organizzate, e indossando la vecchia tuta della Nazionale. A chiudere, Calvesi dirigente consegna un riconoscimento a Giuseppe Italia, già atleta negli anni '50 nel club bresciano, e poi, siamo negli anni '80, allenatore di mezzofondisti, il migliore dei quali fu Mario Zoppi. (Collezione Privata)

 

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Sandro Calvesi, da Cigole, un uomo di genio

Un bel po’ d’anni fa, venti, forse anche di più, il sen. Giulio Andreotti diede alle stampe un volumetto cui impose questo titolo: «Visti da vicino». Era una raccolta di ritratti di persone famose che egli aveva incontrato nella sua lunga – facciamo pure, lunghissima – carriera di politico, presidente del Consiglio, ministro. Mi è venuto in mente questo titolo quando mi son dovuto mettere davanti al PC (una volta si chiamava Olivetti Lettera 22) per scrivere «qualcosa» a ricordo del prof. Sandro Calvesi, il prof. Alessandro, da sempre e per tutti solo Sandro, venuto alla luce a Cigole, Bassa Bresciana che va verso il Po, il 5 settembre del 1913, dunque appena prima che iniziassero a soffiare quei tragici venti di guerra che poi, per quattro anni, mandarono al macello centinaia di migliaia di poveri contadini, braccianti, manovali, molti anche da queste parti.

Cigole, Calvesi. Mi son chiesto: e adesso che scrivo del «professore»? «Il professore» è il titolo del primo capitolo di un bel libro scritto dal dottor Alberto Zanetti Lorenzetti, di Corvione di Gambara, dove ha esercitato la professione di medico per gran parte della sua vita, prendendo il testimone di una ideale staffetta da suo padre, gran gentiluomo. «I colori della Leonessa – Atletica Brescia 1950 - 1990», edito per celebrare i quarant’anni della società che proprio Sandro Calvesi fondò. E io che dico di questo atleta, insegnante, tecnico, santone, sì, perché no? santone, di risonanza mondiale per quelle discipline atletiche che, tanto per rendere la vita più difficile a chi atleta vuol essere, mettono delle barriere da superare: gli ostacoli, dieci, più o meno alti, così decisero quelli che se li inventarono. Figura poliedrica, il Calvesi. Senza dimenticare, altre «facce» altrettanto importanti: il promotore di club sportivi (la sezione atletica della Forza e Costanza Brescia subito dopo la Seconda Guerra, il CSI Brescia, l’Atala Club, e infine l’Atletica Brescia 1950, divenuta poi Assindustria Atletica Brescia all’alba degli anni ’70) e l’organizzatore di eventi atletici, manifestazioni con tanti atleti nazionali e internazionali della fine degli anni ‘40, eventi mai più neppure eguagliati da queste parti.

Ma se mi addentro ancor di più su questo terreno, mi metto a raccontare quello che di Sandro Calvesi conoscono già tutti. E allora devo riparlare di Tokyo ’64 e México ’68, degli incarichi federali, dei raduni al Franciscanum di Brescia e di padre Onorio (che discobolo fu in gioventù), dell’organizzazione dell’incontro «Sei Nazioni» del 1968, della presenza al Campo Scuole (nel sottosuolo del quale faceva festa il PVC della Caffaro, che ancora non hanno rimosso nonostante tutte le chiacchiere) di grandi campioni, Ottoz (poi divenuto suo genero), il francese Drut, il britannico Pascoe, il finnico Briggare, ma anche Franco Sar, di cui plasmò il talento di decatleta, Sar repentinamente scomparso un paio d'anni fa. Che, mi metto a fare l’elenco? Sarebbe banale, e comunque incompleto, tanti sono stati. Una cosa è certa: fu un grande allenatore da campo più che un teorico, guardarlo l’atleta, «vederlo», correggerlo, parlargli, spiegargli il gesto, farglielo ripetere, fino a che la musica, il ritmo non gli entra dentro, come ad un musicista. E stare sempre sul campo. Qualcuno lo definì «insegnante dimostratore». Non a caso, non esiste una summa del pensiero tecnico calvesiano. Esiste, in compenso, un bel libro di atletica in generale che scrisse con Gianni Brera, oracolo dei giornalisti sportivi: «Atletica, culto dell’uomo», oggi quasi introvabile.

Ed ecco allora che mi è venuto in soccorso «visti da vicino». Un piccolo racconto di come li ho visti io, il professore e la signora Gabre, tandem atletico un po' ovunque, non solo in campo. Ho collaborato con loro, per un certo periodo, era tanto tempo fa…Fu nel 1973, io venivo da fuori, da Piacenza, ero appena stato assunto all’AIB, Associazione industriale bresciana, come «secondo» all’Ufficio stampa. Erano tempi di grandi fermenti sociali, gli industriali facevano gli industriali e non i giocolieri della finanza, i sindacati erano sindacati sul serio al servizio dei lavoratori. Le tensioni molte. L’amico che mi aveva spianato la strada verso questo mio primo lavoro, sapeva della mia passione per l’atletica, che in quel momento mi fu utile. La Confindustria, in un tentativo di rinnovamento della sua azione sociale, aveva messo in campo l’iniziativa di Centri Sportivi Aziende Industriali, lo C.S.A.In., e aveva suggerito alle sue strutture territoriali di entrare nello sport. Un nuovo ente di promozione sportiva, come erano il C.S.I, la Libertas, l’U.I.S.P., l’A.I.C.S., e altri, che erano emanazioni dei partiti di allora.

A Brescia, Calvesi aveva sempre avuto buoni rapporti con industriali bresciani che lo avevano aiutato e sostenuto nelle sue iniziative. Vi basti solo un accostamento con il nome del dott. Giuseppe Tassara (azienda Tassara a Breno, Valcamonica, dove si fecero anche dei piccoli meeting di atletica grazie a Calvesi), che fece parte del primo Consiglio direttivo dell’Atletica Brescia nell’aprile del 1950. Giuseppe Tassara era il presidente della A.I.B. ai primi anni ’70. Il 1969 aveva segnato la frattura insanabile fra una parte di tecnici e dirigenti cresciuti con Calvesi, i quali uscirono dalla casa madre e fondarono la Tepa Sport (azienda di Rudiano, scarpe e articoli sportivi, che ebbe i suoi momenti di gloria in quegli anni) che avrebbe poi mutato pelle divenendo Fiat OM. Anni non proprio tranquilli nel nostro sport nella Leonessa...

Arrivai negli uffici industriali, allora in via della Posta, e, oltre al mio specifico lavoro, mi venne chiesto dai miei dirigenti, di affiancare la società sportiva nel lavoro di diffusione di notizie, dei migliori risultati, sulla stampa locale, allora rappresentata solamente dal «Giornale di Brescia», quotidiano, il famoso «bugiardino» nella vulgata popolare. Mi inventai perfino un bollettino periodico, che veniva da me allestito e poi stampato nella piccola tipografia interna dell'Associazione. Quando mi dissero che i miei referenti erano il prof. Calvesi e sua moglie Gabre Gabric ne fui felicissimo, conoscevo, seppur parzialmente, la fama di entrambi. Il rapporto fu subito cordiale, affabile, collaborativo. Ogni sera uscivo dall’ufficio vicino a Piazza Vittoria e passavo a quello di via dei Musei, dove c’era la antica sede dell’Atletica Brescia, per raccogliere informazioni. Talvolta andavo a cena con il professore e sua moglie, e mi immergevo nei bei racconti del professore, piacevolissimo narratore. L’atletica era stata ed era per me una passione dalle tinte forti.

Ma, come ho detto, non erano tempi tranquilli. Le acute tensioni sociali sembrava avessero un prolungamento anche nello sport, almeno a Brescia. Quando le famiglie si dividono quasi mai lo fanno in armonia. Ed era così anche per l’atletica bresciana. Accuse, maldicenze, invidie, gente che si guardava in cagnesco. Chiacchiere, tante chiacchiere, spesso a vanvera. Anche all’interno si crearono cricche e camarille, e la signora Gabre doveva destreggiarsi, da sola, come poteva fra tecnici scontenti e atleti non sempre sereni. E poi un decisivo malinteso: qualcuno si aspettava da me un lavoro burocratico di segreteria (anche perché la persona che esercitava questo ruolo se ne era andata) che non rientrava nei miei compiti e non mi interessava per niente.

Il problema era che il professore insegnava all’ISEF Cattolica, a Milano, se ne andava il lunedì e tornava il venerdì sera. E, al rientro, veniva investito da tutte ‘ste polemichette fastidiose.  Veniva da altre esperienze nella Federazione nazionale che lo avevano visto protagonista di diatribe non soft. Che aveva condiviso con la signora Gabre. Ma dovevano fare la piega: quella società era la «loro», quella che avevano fondato, fatto crescere, portato agli onori nazionali. Diverso per me, finchè si trattava di fare l’addetto stampa, ci stavo, un maggior coinvolgimento non mi interessava. Cercai di spiegarlo al professore, in un colloquio a quattr’occhi, ma non riuscii a farmi capire. Non la prese bene. Arrivammo a un confronto con i dirigenti dell’Associazione industriale, i quali – per mia fortuna – sostennero fino in fondo la mia posizione: ero un loro dipendente, non un impiegato dell’Atletica Brescia. Che già stava un po' sui piedi, in quel momento gli industriali avevano ben altri grattacapi per doversi occupare di bizze sportive.

Le strade si divisero. Restò un rapporto corretto, da parte mia sicuramente di grande stima per quello che Sandro Calvesi aveva rappresentato per l’atletica italiana. Ci sentivamo, mi chiamava, e mi informava quando aveva ospite qualche atleta famoso. Io, nel frattempo, avevo iniziato (era il 1974) una collaborazione fitta e continuativa con il «Giornale di Brescia», altro mal di testa per qualcuno viste le beghe di quei tempi. Talvolta mi invitava a cena e per me era un piacere: lo ascoltavo sempre con grande interesse, lui narrava, era una passerella di aneddoti, personaggi, situazioni. Era un attrattivo affabulatore. Quando, quel giovedì 20 novembre 1980, fui raggiunto, alla redazione sportiva del «Giornale» (che nel frattempo mi aveva assunto in pianta stabile), dalla notizia del suo decesso per infarto (aveva già avuto avvisaglie qualche anno prima), ne fui addolorato. Avevo, comunque, avuto la fortuna di conoscere un grande dell’atletica. Lo avevo visto da vicino.

Quando se ne andò, un brillante scrittore (che non firmò il suo articolo) gli dedicò queste righe dopo aver elencato i successi da lui conseguiti:” Al centro di questi risultati, il tecnico e l’uomo Calvesi, con le sue capacità, i suoi umori, la sua inguaribile passione, le sue attenzioni per il suo delicatissimo materiale umano unito a lui da un filo tanto invisibile quanto incorruttibile…Calvesi aveva il merito, grande, di saper insegnare quanto conosceva, senza una virgola in meno”.

Vi racconto l’ultima. Nel settembre del 2016, a Talence, una affollata appendice della Grande Bordeaux, ebbi l’occasione di parlare di Sandro Calvesi con Guy Drut, eravamo lì per celebrare i 40 anni di vita di un importante meeting, ed ero fortunato ospite a quella cena. Una chiacchiera tira l’altra, dissi a Guy che venivo da Brescia e che avevo conosciuto Calvesi. Spero (mi illudo?) che tutti sappiano cosa sia stato l’atleta Drut, basti questo: secondo ai Giochi Olimpici di Monaco ’72 e campione olimpico, sempre dei 110 metri ad ostacoli, quattro anni dopo a Montréal. Gli si illuminarono gli occhi. Mi scrissi sul primo pezzo di carta (lo conservo) che mi capitò fra le mani alcune delle sue parole:” Sandro è rimasto nel mio cuore e nella mia testa. A Monaco, dopo l’arrivo, lo incontrai e, d’istinto, mi tolsi la maglia con cui avevo corso e avevo sfiorato la vittoria e la diedi a lui. Nessuno la meritava più di lui”. Ed era la maglia di una medaglia d'argento, poi venne l'oro.

Definirlo in una parola? Questa usò Guy Drut: “Geniale, fu un uomo geniale”.

Quest’uomo geniale veniva da Cigole, Bassa Bresciana.

Ultimo aggiornamento Venerdì 20 Novembre 2020 23:46
 
20 novembre 1920, bon anniversaire à la Fédération Française d’Athlétisme PDF Stampa E-mail
Giovedì 19 Novembre 2020 17:42
Avrebbe dovuto essere una grande festa, sicuramenete la sarebbe stata. La cappa di insicurezza, di dolore, di morte, di smarrimento che attanaglia, in questo tormentato anno, le persone che hanno ancora un cervello razionale, ha cambiato i piani, i desideri, le aspirazioni di tutti. E così anche quello che doveva essere un giorno speciale, passerà invece con un velo di tristezza. 20 novembre 1920 - 20 novembre 2020, cento anni fa nasceva la Fédération Française d’Athlétisme. Les Sports athlétiques avevano una consolidata tradizione di un sessantina d'anni: il cross country, i campionati nazionali nati nel 1888, i primati, le gare, i libri già editati addirittura perima del 1900, il tutto regolato dalla Union des sociétés françaises de sports athlétiques e dalla Union des sociétés françaises de sports athlétiques. La Francia, Parigi, l'Università della Sorbona, il Barone Pierre Fredy de Coubertin, avevano già scolpito i loro nomi nella rinata storia dei Giochi Olimpici. Parigi, nel 1900, ne aveva ospitato la seconda edizione. La nascita della FFA nel novembre del '20 veniva qualche mese dopo la conquista delle medaglie olimpiche ai Giochi di Anversa: il grande Joseph Guillemot ne aveva vinte due, l'oro dei 5 mila metri e l'argento sui 10 mila; stesso metallo per la staffetta 4 x 100 e bronzo della 4 x 400 (della quale faceva parte un altro dei grandi della storia atletica transalpina, Géo André). E Parigi già si preparava ad ospitare ancora i Giochi Olimpici nel 1924, prima città mondiale a ricevere questo onore.
Non siamo qui per fare la storia dell'atletica francese; per questo lasciamo parlare il bellissimo libro dedicato a questi cento anni di vita, libro fresco di profumo di tipografia che ci ha segnalato un socio che ne ha avuto fra le mani una copia. Vogliamo complimentarci con i nostri amici della FFA, in particolare con i componenti della Commissione Documentazione e Storia, con i quali abbiamo instaurato una cordiale e continuativa collaborazione. E proprio al presidente della Commissione, Luc Vollard, lasciamo il compito di raccontarci quel 20 novembre 1920.
 
Bon anniversaire à toutes les amis de la Fédération Française d’Athlétisme.
 
 
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Lorsque l’on retrace les débuts de l’histoire de l’athlétisme français, athlètes et futurs dirigeants sont souvent les mêmes personnes. Il en va ainsi de Jean-Joseph Genet que l’on découvre sur cette photo, deuxième en partant de la gauche, avec ses co-équipiers du Racing Club de France, au tout début du XXe siècle.  S’il a laissé une trace dans les résultats avec un record de France du 5000 m en 18’03’’2/5 le 6 octobre 1895 et plusieurs médailles aux championnats de France de cross-country et de steeple, on se souvient surtout de lui comme président fondateur de la FFA, élu il y a exactement cent ans.
Il aura été auparavant membre des instances de l’Union des Sociétés Françaises de Sports Athlétiques  et notamment président de la Commission Centrale d’Athlétisme. Au sein de la puissante fédération omnisports, les réflexions vont bon train en 1919 pour laisser la place à des fédérations par sports, notamment sous l’impulsion de Frantz Reichel, qui dépose une motion en ce sens le 25 janvier. L’idée va faire son chemin malgré de farouches oppositions et le 20 novembre 1920, 150 congressistes sont réunis à la salle des Sociétés de Photographies au 51, rue de Clichy à Paris, pour créer la Fédération Française d’Athlétisme.
Ce congrès fondateur se déroule sous la présidence de Jean-Joseph Genet, assisté d’Edmond Mamelle, Marcel Delarbre et d’Auguste Audirac. Parmi les questions débattues, il y eu celle de la représentation des clubs non-Unionistes, c'est-à-dire n’étant pas adhérent à l’USFSA. Frantz Reichel soutint que ce ne pouvait être le cas, mais l’avis opposé de Jean-Joseph Genet l’emporta, visant ainsi à fédérer toutes les associations pratiquant l’athlétisme au sein d’une seule et même instance. Il fut aussi admis que les comités régionaux deviendraient des ligues et les premiers éléments des statuts furent approuvés. Après une pause en fin d’après-midi, la séance repris en soirée avec l’adoption des règlements généraux, mais surtout avec l’élection du bureau par les 53 membres du conseil, représentant les anciens comités régionaux de l’USFSA.
Jean-Joseph Genet avec 45 voix fut élu président et les cinq vice-présidences furent pour Marcel Delarbre, Henri Lesur, Charles Poulenard, Joseph Gemain et Emile Giat. A l’unanimité, Paul Méricamp devint secrétaire-général, Auguste Audirac secrétaire du Conseil, et Joannès Bourcier, avec 36 voix, occupa le poste de trésorier. Pour compléter le bureau, les suffrages allèrent vers messieurs Desforges, Lasserre, Tourey-Piallat, Boussard, Masson, Legras, Picaudet, et Jouvin. La présidence d’honneur fut offerte à Henri Paté, Gaston Vidal et Julien Bessonneau, et Edmond Lamelle fut nommé président honoraire, Frantz Reichel secrétaire international.
Comme il se doit, les premières commissions furent mises en place dans les semaines suivant cette première assemblée générale et certaines existent toujours à l’heure actuelle. Les activités de la fédération furent donc gérées au travers de la Commission Sportive, devenue fin 1921 la Commission Technique et d’Organisation (puis plus tard la CTSO et enfin la CSO), la Commission des Finances et du Budget, la Commission Scolaire, Universitaire et des Petites A (A pour Association), la Commission Militaire et Maritime, la Commission Scientifique, la Commission de Propagande, la Commission des Statuts, Règlements et Qualifications (devenue CSR en 1924), la Commission de Contrôle des Finances et la Commission du Basket-ball qui engendra la FFBB en 1932. En 1921, il fut aussi créé la Commission de Culture Physique et d’Education Sportive, rapidement renommée Commission des Cours. L’aventure de la FFA était ainsi lancée, prenant le relais de l’USFSA et Jean-Joseph Genet resta à la présidence jusqu’en 1937, laissant la place à Paul Méricamp, secrétaire général en 1920 et qui gardera des fonctions à la FFA jusqu’en 1962.
 
(Crédit photo : collection Luc Vollard)

Ultimo aggiornamento Venerdì 20 Novembre 2020 01:31
 
Donato Pavesi, codicillo numero 1: aggiungiamo un risultato in più ai già tanti PDF Stampa E-mail
Lunedì 16 Novembre 2020 17:43

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L'arrivo di Armando Valente in una gara presumibilmente a Gevova. L'atleta indossa la maglietta con il distintivo della società Nafta. Certo che senza il determinante apporto dell'inutile personaggio alla sua sinistra, Valente non sarebbe mai giunto al traguardo! 

"Dottore, le scrivo di pirsona pirsonalmente...". Inizia così una immail che abbiamo ricevuto oggi da un nostro affezionato lettore di Petralia Sottana, Parco delle Madonie, provincia di Palermo, che si firma Turiddruzzo D'Ignoto. Dice di essere l'erede di una famiglia i cui antenati furono partecipi della prima edizione della Cursa de Santa Ana nel luglio del 1912, a Castelbuono, che da Petralia dista all'incirca una cinquantina di chilometri, che i suoi avi si sciropparono a piedi per vedere il vincitore Blanchet e i pochi altri. Quella Cursa tanticchia luntana nel tempo divenne poi il «Giro Podistico di Castelbuono», che si celebra tutt'ora, salvo in questo maledetto 2020. In compenso in questi anni ha colleziato riconoscimenti internazionali per la sua storica longevità. La passione per il podismo dei bisnonni del nostro lettore si è tramandata intatta fino al picciotto.

Il quale si spertica in elogi per "il dottore Alberto", autore - scrive - di un capolavoro come la biografia, a puntate, di Donato Pavesi. Poi, dopo infiniti e cerimoniosi mi pirdunasse dottore, ci fa sapere che, "con arrispitto del dottore che ha scrivuto", lui si permette di segnalare l'aggiunta di un risultato in più nell'anno del Signoruzzu 1930. E noi ben lieti, salvo una controllatina, così, tanto per sicurezza.

Vero fu...Per parte nostra già avevamo fatto un rapido cenno, proprio nella ultima puntata, che el Du'naa perse il primato del mondo dei 20 chilometri in pista nel 1930 ad opera del ligure, Armando Valente. Ma non specificammo che...Andiamo per gradi. Siamo a Genova, il 25 ottobre 1930, pista di 401,30 metri del glorioso Campo Nafta, si chiamava così la società che lo costruì, produceva appunto nafta, il gasolio insomma. Nel tempo fu acquisita da Italiana Petroli. Il campo (che poi divenne Campo Giacomo Carlini, in onore di uno dei grandi dell'atletica ligure e italiana tutta) fu inaugurato nel 1927, il nostro sport fece ingresso nell'ottobre del 1929 con l'incontro Italia - Ungheria. Quel giorno il modenese Ettore Tavernari fu protagonista di una impresa eccezionale, peraltro tipica dei tempi, quando gli atleti si sacrificavano per la Maglia Azzurra: «Taja» corse 400, 800 e chiuse con la staffetta 4 x 400.

Sabato 25 ottobre 1930. Ad Assisi si sposano Giovanna di Savoia e re Boris III di Bulgaria, ma noi siamo interessati a quanto accade sulla pista genovese della Nafta: il trottolino Armando Valente (San Pier d'Arena 12 gennaio 1903 - Cornigliano 7 dicembre 1997) va all'attacco del primato mondiale dei 20 chilometri stabilito tre anni prima da Pavesi. Tempo da superare 1 ora 37:42.1/5. Ci sono 18 gradi, non c'è vento, quando alle 15 viene dato il "via". Sono in tre: l'Armando, il milanese Luigi Bosatra e il Donato. A significare, nell'ordine, il settimo, l'ottavo e il quarto della finale olimpica sui 10 chilometri del 1924. El Pavesi l'era semper lì! Precediamoli all'arrivo: Valente chiude in 1 ora 36:34.2/5, nuovo primato mondiale; Bosatra (1905 - 1981) 1:39:55.1/5 e il nostro cavaliere senza paura, a 41 anni suonati, è ancora capace di 1:41:37.2/5. Il record di Valente resisterà fino al giugno 1933, migliorato dal lettone Janis Dahlins, che un anno prima, sulle strade di Los Angeles, con un caldo torrido, si era fatto mettere al collo l'argento sui 50 chilometri, prima medaglia olimpica per il suo Paese; terzo un intramontabile che ben conosciamo, Ugo Frigerio.

Però, bravo 'sto Turiddruzzo. Lo proporremo per il «Premio Parco delle Madonie» come storico dell'atletica. E intanto lo ringraziamo di questo contributo: grazie assa, e statte bono, picciotto!

Ultimo aggiornamento Martedì 17 Novembre 2020 09:34
 
Trekkenfield n. 87: spazio a Sergio Ottolina, a Yeman Crippa, e ad altro ancora PDF Stampa E-mail
Sabato 14 Novembre 2020 15:56

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Questo è il numero delle polemiche, a ben guardare. Si parla di Arena Civica di Milano, ed è polemica. Si parla di una conferenza stampa del presidente uscente della Federatletica nazionale, e non mancano le punzecchiature. Si parla di un presunto primato di marcia femminile, ed è polemica. Perchè «presunto»? Ma perchè non è un primato, un record, chiamatelo come accidenti vi pare. Signori dirigenti, atleti, allenatori, giudici, compilatori, giornalisti, almeno prendetevi in mano qualche volta le regole (si chiamano Rules, esiste un libro apposito, pubblicato in varie lingue) e imparatevi a memoria quelli che sono i veri e propri record e quelle che sono le cosiddette «migliori prestazioni» che primati non sono ma fanno parte della carriera di un atleta.. Parole al vento: vediamo, per esperienza diretta, che la competenza specifica di tutte le categorie citate tende rapidamente verso lo zero. E con questo abbiamo fatto polemica anche noi.

La cosa che ci è piaciuta di più di questo numero 87 di «Trekkenfild» è sicuramente la chiacchierata con Sergio Ottolina. Si parla anche di una festa in onore di Yeman Crippa a base di carne alla brace e birra. Infine un risvoltino, sempre emerso dai ricordi, favorito da noi, sì, noi A.S.A.I., qualche volta serviamo pure noi, in questo caso parliamo della lunga biografia scritta da Alberto Zanetti Lorenzetti su Donato Pavesi. E lì in mezzo...ma toh, quel lì el conose! Lieti di essere stati utili.

Ultimo aggiornamento Sabato 14 Novembre 2020 18:59
 
Ci congediamo da Donato Pavesi, campione rimasto senza medaglia olimpica (7) PDF Stampa E-mail
Mercoledì 11 Novembre 2020 10:22

Siamo arrivati alla fine del «romanzo» della carriera di Donato Pavesi, come l'ha ricostruita, con ricchezza di informazioni, Alberto Zanetti Lorenzetti. Ne abbiamo pubblicate sei puntate, questa è la settima e ultima. Forse. Non si sa mai: magari il nostro ricercatore potrebbe scovare qualche altro sconosciuto risultato e darci degli aggiornamenti. Noi siam qui per questo. Come diceva Marco Martini: «pala, piccone e microscopio». Alberto può essere elencato fra i non molti che fanno buon uso di questi strumenti. Ma non vincerà mai il Premio Pulitzer, l'Alberto da Corvione di Gambara, non vogliamo esagerare dicendo il Nobel, per il settore «Biografie» (esiste veramente, non è una battuta), in Italia c'è troppa concorrenza, tutti eredi di Hemingway, perlomeno...A noi spiace congedarci dal Donato di San Donato Milanese, un bel personaggio, che meriterebbe una biografia non solo sportiva. Era un incantatore di folle, le sue epiche cavalcate della «Cento Chilometri» erano seguite da vicino da schiere di ciclisti che volevano stargli vicino e avere un po' di luce riflessa nelle fotografie che ritraevano il campione; pedalatori che si svegliavano nel cuore della notte per essere presenti alla partenza dei temerari della «Cento». Adesso invece, i grandi progressi dell'atletica, hanno portato ad una riduzione della 50 chilometri a 35, schiavi, succubi, servi, della televisione.

Ringraziamo Alberto per questo ricco contributo da ascriversi a pieno titolo alla storia dell'atletica italiana. E aspettiamo il prossimo personaggio...

Le immagini: Donato era il protagonista delle copertine delle riviste sportive dell'epoca. Queste due sono del 1927 e fermano il momento dell'arrivo dopo 20 chilometri per il tentativo di primato mondiale. È il 23 ottobre, Campo dello Sport Club Italia, e Donato indossa la canottiera del club. La pista misurava 350 metri. Pavesi tolse il primato ad Attilio Callegari; lo perderà tre anni dopo ad opera di Armando Valente. Nessun altro italiano sarà primatista su questa distanza: attuale recordman il messicano Segura (1994)

 

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Il lungo soggiorno inglese

Dopo aver vinto una gara sui 9 chilometri a Monza il 13 maggio 1926, battendo Gariboldi e Giani, si recò nuovamente a Londra, inserito nella lista degli atleti italiani che comprendeva anche Pietro Pastorino, Angelo Davoli, Giovanni Garaventa, Luigi Facelli,  Attilio Callegari e Mauro Mangiante. Dopo due anni di sospensione, il 24 maggio riprendeva la manifestazione allo stadio di Stamford Bridge con l’assegnazione della Coppa del Re d’Italia. Garaventa vinse il miglio e nella gara di marcia disputata sulle 14 miglia prevalse Poynton su Pavesi e Callegari. Donato dimorò a Londra da metà maggio fino a metà settembre. In quel lungo periodo fece numerose gare sulle più disparate distanze. Il 19 giugno fu terzo nella Londra-Brighton e ritorno, 167 chilometri, vinta da Baker e con E.C. Horton al secondo posto. Sabato 11 settembre si allineò al via della “classica” Londra-Brighton. In testa per 2 ore, fu però preceduto sul traguardo da Baker, ma lasciandosi Horton alle spalle.

La «Cento Chilometri», in programma il 26 novembre, diede il secondo successo consecutivo a Giani, autore di una gara molto ben impostata nella distribuzione dello sforzo; Umek raggiunse la seconda piazza con una bella progressione e resistendo all’attacco finale di Pavesi. Quarto l’inglese Horton.

Sulla pista dello S.C. Italia, il 3 aprile 1927, mentre Ettore Rivolta gli soffiava i primati dei 25, 30 e 35 chilometri, ma falliva le 20 miglia, Pavesi prevaleva su Gariboldi in una 10 chilometri. Gli atleti italiani tornarono a Londra per una trasferta che non fu particolarmente positiva per il folto gruppo dei nostri atleti. Il 6 giugno anche Donato non brillò, solo terzo nella 25 chilometri, battuto da Green e Clark. Al Campionato Italiano di maratona di marcia, disputato il 2 ottobre a Como, si aggiudicò il titolo Giusto Umek e Pavesi fu secondo a 4 minuti. I marciatori all’anagrafe risultanti nati nel XIX secolo, avevano messo in fila quelli del Novecento: Mario Brignoli, Carlo Giani, e Romano Poggiolini.

Il campo dello S.C. Italia, impianto usato in precedenza dal Milan e spesso preferito all’Arena nei tentativi di primato, il 23 ottobre si presentava con una pista ancora impregnata d’acqua per le abbondanti piogge del mattino. “L’anziano e pur sempre valoroso” Pavesi diede un dispiacere al padovano Attilio Callegari, togliendogli il record mondiale dei 20 chilometri, migliorato di oltre un minuto. Una ciliegia tira l’altra, e il 26 ottobre fu preso di mira il primato delle 2 ore, percorrendo 23.800 metri. Frantumò, abbassandolo di oltre quattro minuti, il suo primato nazionale della 15 miglia, si impossessò del limite mondiale dei 25 chilometri, mancando il mondiale delle 25 miglia, ma togliendo a Rivolta il primato nazionale dei 30 chilometri.

I marciatori della vecchia guardia furono protagonisti anche del finale di stagione. Donato superò Umek il 30 ottobre nella Vicenza-Padova, e il triestino si prese la rivincita nella «Cento Chilometri», che si era già aggiudicato nel 1923. Nella “classica” della «Gazzetta dello Sport», disputata il 6 novembre, Umek, Pavesi e Giani relegarono al ruolo di comparsa il tedesco Börn.

 

Posta per il Duce

 

Con l’arrivo del 1928 per Donato scoccarono i 40 anni. Ormai aveva dato il meglio di sé e i recenti primati erano stati il suo canto del cigno. Non si sottrasse al confronto, sempre generoso e combattivo. Già a gennaio le colonne dei giornali milanesi parlavano di lui: “L’anziano Pavesi, veterano di 15 marcie di 100 chilometri e animato sempre da una inestinguibile passione e da una coraggiosa volontà vorrebbe intervenire, ed è in trattative per ottenere gli appoggi finanziari che gli permettano di portarsi oltre oceano e affrontare la lunga marcia”. La questione riguardava la “transcontinentale” da New York a Los Angeles in programma a marzo. Per Pavesi rimase un desiderio non esaudito, mentre trasse fama dalla partecipazione all’evento Giusto Umek. A Bologna nella riunione del Direttorio e della Commissione tecnica della FIDAL del 23 febbraio venne deciso che da quel momento sarebbero stati omologati soltanto i primati ottenuti su distanze olimpiche. Ma i tentativi di record sulle distanze spurie proseguirono.

È ben noto quanto il regime fascista fosse capace di organizzare eventi di grande teatralità. Uno di questi fu il “pellegrinaggio” degli operai milanesi a Roma il 30 aprile per rendere omaggio al Duce. In tale occasione Donato fu protagonista di un raid di marcia Milano-Roma, con partenza il 21 aprile, giorno del Natale di Roma, e arrivo al Colosseo il 30 aprile. Scrisse il quotidiano torinese «La Stampa»: “Un’altra entusiastica dimostrazione ha dato l’arrivo al Colosseo, verso le 11.45, del corridore Pavesi, il quale, partito da Milano, ha percorso a piedi, con una media giornaliera di 100 chilometri, il lungo percorso fino alla Capitale per portare al Duce due messaggi, uno affidatogli dal Gerarca del Fascismo milanese Giampaoli, e l’altro dal Direttorio della Sezione combattenti di Milano”. L’incontro con Mussolini al Colosseo fu descritto dal «Corriere della Sera»: “Prima di salire il Duce riceve il messaggio dalle mani di Pavesi, che complimenta per la bella marcia compiuta”.

A seguire venne la trasferta in terra elvetica il 13 maggio con doppietta italiana nella Oerlikon-Winterthur e ritorno, per un totale di 50 chilometri: primo Giani e secondo Pavesi. Poi la prestazione opaca, con conseguente ritiro, il 21 ottobre a Padova, quando il giovane triestino Romano Vecchiett vinse la maratona di marcia, che a partire da questa edizione si disputò sulla distanza di 50 chilometri. La manifestazione merita di essere ricordata perchè al termine della prova il padovano Callegari offri una medaglia d’oro al dott. Nai. Universalmente ricordato per essere stato l’allenatore di Luigi Beccali, Dino Nai spese una vita con i colori della Pro Patria come atleta, tecnico e dirigente. In quest’ultimo ruolo ebbe modo di rappresentare l’Italia a livello internazionale e conquistare la gratitudine dei marciatori italiani. Scrisse nella sua autobiografia «Marciando nel nome d’Italia» Ugo Frigerio:“ Chiusa l’Olimpiade di Amsterdam, si riunì il Convegno Olimpionico. L’Italia è presente nella persona del dott. Dino Nai. Esaurite le lunghe discussioni riguardanti i vari generi di sport, vien rimessa in discussione la questione della Marcia a piedi. Subito il dottor Nai, con la forza del diritto che lo sostiene e anima, impegna una forte diatriba coi delegati di quel gruppo di Nazioni che, capitanate dalla nostra consorella latina di confine, avevano decretato al Congresso di Praga il rigetto della sacrosante aspirazioni dei marciatori. (…) Finalmente, dopo aver difeso a oltranza il buon diritto dei marciatori, il dottor Nai riesce a far riammettere la marcia fra i Ludi Olimpici 1932, sul percorso di 50 chilometri”.

Ma la prospettiva olimpica per Pavesi non poteva che essere un miraggio, anche se nonostante il peso degli anni Donato non poteva rinunciare alla “sua” «Cento Chilometri», pur potendo aspirare solo a dignitosi piazzamenti. L’11 novembre, in una edizione che vide il monologo di Mario Brignoli, fu nono.

Nel 1929 arrivò al secondo posto nella Padova-Venezia vinta da Rivolta  (23 giugno), precedendo Francesco Pretti. Il 1° settembre lo Sport Club Italia organizzò una gara sui 3 chilometri che assunse importanza non solo per la vittoria di Pavesi, ma anche perché segnò il rientro dopo un lungo periodo di inattività di Frigerio. Il servizio del «Corriere della Sera» informò che questo ritorno era avvenuto dopo quattro anni di assenza dalle competizioni e concluse con un profetico auspicio: “non è fuor di luogo pensare ch’egli potrà avere dallo sport che ha sempre servito con lealtà nuove soddisfazioni”. Il milanese era destinato a vincere la medaglia di bronzo alle Olimpiadi del 1932. Seguirono i Campionati Italiani, con Donato quinto nella 10 chilometri il 22 settembre e ritirato dopo esser stato al comando per 30 chilometri nella maratona di marcia disputata a Trieste il 27 ottobre. Il 3 novembre tornò al successo nella 15 chilometri che assegnava la Coppa Binda a Castellanza, battendo Brignoli, Bosatra e Rivolta e Giani.

A vent’anni dalla prima edizione, la «Cento Chilometri» presentava al via Thomas W. Green, un altro prestigioso esponente della scuola inglese al quale la vita sembrava avesse fatto di tutto per impedirgli di diventare un campione: nell’infanzia il rachitismo fece sì che cominciasse a camminare a cinque anni; poi arrivò la Grande guerra che lo ebbe combattente con la divisa da ussaro e gli procurò diverse ferite e lesioni causate dai gas asfissianti. Morale della favola, ebbe la possibilità di iniziare a fare seriamente sport nel 1926, quando aveva 32 anni, diventando campione olimpico ai Giochi del 1932 e sfiorando la qualificazione per le Olimpiadi di Berlino. All’esordio nella “classica” italiana trovò uno strepitoso Brignoli che, in testa per tutta la gara, lo relegò alla piazza d’onore. Se Brignoli fu grande, altrettanto lo fu Pavesi: dopo due decenni riusciva ancora a salire sul terzo gradino del podio.

Il declino finale

Le prove di marcia che assegnavano la maglia tricolore del 1930 ebbero il protagonista in Pretti; con la partecipazione alla 25 chilometri organizzata il 3 agosto a Sulmona, Pavesi, che aveva condotto la gara per 18 chilometri, ottenne il bronzo, ultima medaglia conquistata in una lunga ed irripetibile carriera. Tre settimane dopo a Salsomaggiore si classificò al quarto posto nella 50 chilometri. Il 14 settembre fu secondo nella Gorizia-Udine dietro ad Attilio Callegari, poi quarto nella Milano-Como del 12 ottobre, vinta da Umberto Olivoni, l’unico italiano che impensierì nella «Centro Chilometri» del 9 novembre il campione britannico Green. Per Donato, ormai quarantaduenne, la gara decretò la decima posizione.

Le ultime competizioni di rilievo non potevano che essere disputate nella gara più legata al suo nome, la «Cento Chilometri». Nel 1931 Ettore Rivolta si era dimostrato nettamente il migliore sulle lunghe distanze, vincendo anche la “classica” della «Gazzetta dello Sport», conclusa da Donato all’ottavo posto. L’edizione del 1932 vide prevalere Umberto Olivoni sul tedesco Franz Reichel, valido atleta, però senza esperienza sulla distanza. Ma il beniamino del pubblico, ovunque incitato e applaudito, era sempre Pavesi, anche quando la sua partecipazione significò un quattordicesimo posto che concludeva una carriera che lo ebbe per 5 volte campione italiano della maratona di marcia (1912, 1914, 1921, 1924, 1925), vincitore di 6 edizioni della «Cento Chilometri» (1910, 1914, 1919, 1920, 1921, 1922); 2 volte si aggiudicò la Londra-Brighton (1921, 1923) e s’impose anche nella Manchester-Blackpool (1922).

Si era sposato due volte ed aveva avuto cinque figli. Faceva il magazziniere in un negozio di rubinetterie quando, il 30 giugno 1946, all’età di 58 anni, in una gara per veterani – presenti anche Valente, Brignoli e un caldo canicolare – a sette chilometri dal via ebbe un malore. Fu ricoverato all’ospedale Niguarda, dove dopo mezz’ora spirò. Il grande campione era caduto sulla breccia.

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Ultimo aggiornamento Domenica 15 Novembre 2020 18:15
 
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