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A.S.A.I. rende omaggio a una signora novantenne: il cross dei «Cinque Mulini» PDF Stampa E-mail
Venerdì 28 Gennaio 2022 00:00

I soci dell'Archivio Storico dell'Atletica Italiana "Bruno Bonomelli" hanno deciso di rendere omaggio ai novant'anni del cross dei «Cinque Mulini», che si corre ininterrottamente dal 1933 dentro fuori e attorno alla cittadina di San Vittore Olona. Ininterrottamente? Sì, non è mai stata «saltata» neppure una edizione nei tragici anni della barbarie della Seconda Guerra Mondiale, con in più l'oppressione nazi-fascista di queste operose terre lombarde. Dentro, fuori e attorno? Sì, nove decenni hanno prodotto i loro effetti, spesso devastanti, sul territorio: il cemento ha sfregiato campi, cascinali, cortili di campagna, mulini, residui che si ammirano nelle oleografie dei tempi che furono. I tracciati son cambiati per adeguarsi alle mutate situazioni urbanistiche. Una specie di braccio di ferro. Fortunatamente, correre si corre ancora, anche se con molto meno fascino di un tempo. Ma la «Cinque Mulini» è sempre lì, come la torre del Sommo Poeta, ricordate?

"Vien dietro a me, e lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti; ché sempre l'omo in cui pensier rampolla sovra pensier, da sé dilunga il segno, perché la foga l'un de l'altro insolla". (Purgatorio, Canto V)

Son soffiati venti di guerra, son soffiate crisi economiche, sono esondate le acque dell'Olona, ma la «Cinque Mulini» arriverà domenica alla 90esima edizione. Come rendere omaggio, ci siam detti, a questa bellissima corsa campestre, che per tanti anni fu simbolo unico di questa affascinante disciplina, poi la concorrenza è cresciuta forse proprio per merito loro, quelli della «Sportiva» (1906 la nascita). Abbiamo trovato la risposta nel nostro DNA: noi ci occupiamo dell'atletica d'una volta (e non tutti lo capiscono), come certe osterie un tempo di campagna adesso anche di città, e allora diamo spazio alla «Cinque Mulini» d'una volta. Visto che possiamo permettercelo, grazie al materiale di cui alcuni nostri soci dispongono.

Questa prima puntata la dedichiamo ad un collage di foto delle edizioni degli Anni '40-50. Queste foto hanno una storia. Appartennero alla collezione personale di Giuseppe Italia, cremonese, gran corridore di cross e su strada, una carriera interminabile come atleta e poi bravo allenatore senza tirasela tanto ma andando al concreto. Giuseppe aveva un sodale bresciano, che è stato l'unico, vero, inimitabile cantore della corsa campestre alle nostre latitudini: Bruno Bonomelli, il nostro Maestro. Il raccoglitore (rosso, non è un caso...) delle fotografie di Italia finì nella ricca, vasta, unica raccolta di documenti del maestro di Rovato. Oggi, grazie a fortunato passaggio, fan parte della biblioteca-museo di un nostro socio, che ha deciso di metterle in mostra in occasione del compleanno del cross sanvittorese. Ma non è l'unico materiale che potrete ammirare da qui a domenica. Seguiteci, se volete.

Anni Quaranta: la «Cinque Mulini» sfida anche le bombe

La prima foto qui sotto ci offre i volti dei primi tre classificati della edizione 1943: da sinistra, il cremonese Giuseppe Italia (terzo); al centro Salvatore Costantino, maratoneta napoletano; quindi Osvaldo Marconi, romano, anche lui spesso impegnato nella maratona. Si noti una curiosità: tutti e tre gli atleti son tesserati per lo stesso gruppo sportivo di tre città diverse: Costantino, Vigili del Fuoco Napoli; Osvaldo Marconi, Vigili del Fuoco Roma; Giuseppe Italia, Vigili del Fuoco Cremona.

La foto centrale è, a nostro giudizio, di una bellezza unica. Edizione del 1950, la gara è terminata, ha vinto Giuseppe Italia su Luigi Pellicioli. I due corridori si stringono attorno all'uomo che, con altri, nel 1933 inventò questo cross: Giovanni Malerba.  Alla sua destra Italia, a sinistra Pellicioli, bergamasco nato a Seriate. Attorno l'entusiasmo della gente di San Vittore Olona, giovani e meno giovani. La corsa, il cross era -  dovrebbe essere - la festa della gente, sempre.

Ultine due foto in basso. In quella a sinistra, 19 marzo 1944: Giuseppe Italia tampina Giuseppe Beviaqua all'entrata di un mulino, su cui spicca un dipinto religioso. Se guardate attentamente la foto, potrete notare la differenza di struttura fisica fra l'esile ligure e in nerboruto cremonese: osservate le dimensione delle loro gambe.

A destra, edizione del 1950: Luigi Pellicioli (di fronte) e Giuseppe Italia si scambiano un bacio alla maniera dei compagni comunisti sovietici.

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Ultimo aggiornamento Venerdì 28 Gennaio 2022 20:19
 
Trekkenfild 102: fra tante cose importanti anche i 50 anni del GS Montegargnano PDF Stampa E-mail
Lunedì 24 Gennaio 2022 09:26

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Se dovessimo usare il linguaggio forense, dovremmo dire «un atto dovuto». Se invece vogliamo essere sinceri fino in fondo, dobbiamo dire le cose come stanno: abbiamo fatto leva sulla cordiale amicizia che ci lega a Walter Brambilla e Daniele Perboni, vale a dire la redazione completa di «Trekkenfild», per fare un regalo a degli amici. In buona sostanza, utilizzare degli amici per fare un piacere ad altri amici. Una roba da «cosa nostra», insomma. Di cosa si tratta, potete leggerlo, se ne avete voglia, nella riproduzione del testo qui sopra, pubblicato a pagina 9 del numero 102 della pubblicazione telematica che ormai a preso piede da nove anni, e andiamo verso il decimo. Una voce indipendente, in un panorama desolante di disattenzioni, assenze, gente che sta con un piede dentro (il palazzo) e un altro fuori. A noi non riguarda.

Abbiamo chiesto di ricordare questi cinquanta anni di vita di una società sportiva in una località lillipuzziana della montagna gardesana. Sicuramente si alzeranno voci stizzite: anche noi abbiamo la stessa anzianetà, anzi molti di più! Chi sono 'sti peones del GS Montegargnano? Sì, son proprio dei peones, poveretti. Vivono in una frazione che conta 205 abitanti. Ci trovate un altro posto con le stesse caratteristiche? Son lì da 50 anni, cinque decenni di operosità, di corse, di iniziative, di lavori realizzati. Pensate che qualcuno se li fili? Ma neppure di striscio! Queste sono le realtà che tengono in piedi, da sempre, l'atletica italiana, nella indifferenza totale. Per una volta - una sola, non montatevi la testa, Elio Forti e soci - onore al GS Montegargnano. E la chiudiamo qui.

Il numero 102 di «Trekkenfild» contiene altre belle otto pagine di attualità, purtroppo non sempre piacevole, ma i tempi son quello che sono. Fuori da beghe, beghette e beghine, ci piace ricordare lo spazio dedicato al «Cross del Campaccio» di San Giorgio su Legnano, che ha messo in archivio la 65esima edizione: queste son realtà. E domenica prossima la «Cinque Mulini» farà novanta, 90 edizioni consecutive, neppure le bombe della seconda guerra mondiale riuscirono a fermarla. E poi ci sarà il «Cross della Vallagarina», altre 40 e passa edizioni. Va ascritto a merito degli amici Walter e Daniele di aver sempre avuto un rispetto mistico per tutto quanto è corsa campestre. Noi apprendemmo la lezione da Bruno Bonomelli, che ai tempi della indifferenza, perfino della ostilità verso il cross, si batteva come un leone ferito a favore di questa partica invernale che definiva «scuola di campioni»  Sarebbe il caso che gli organizzatori lombardi - in particolare - una volta si ricordassero di lui, dei sui libri sulla corsa campestre, sulle sue immancabili presenze sui prati della Lombardia per poi cantare, il giorno dopo, questa fangosa fatica degli atleti sulle pagine dei giornali.

Ultimo aggiornamento Lunedì 24 Gennaio 2022 16:37
 
Altimani prim'attore, poi tutte le altre comparse di una commedia sportiva (3) PDF Stampa E-mail
Sabato 22 Gennaio 2022 00:00

Brevi note sui personaggi citati: questo il titolino dato da Alberto Zanetti Lorenzetti all'ultima parte della sua narrazione dei due tentativi di primato nell'ora di marcia, realizzati ma mai riconosciuti validi, che Fernando Altimani si sobbarcò in dieci giorni nel luglio del 1913. Con questa puntata concludiamo dunque la ricerca del nostro socio. Trattasi delle elencazione, in ordine alfabetico, delle persone che ebbero un ruolo in quella vicenda e anche dopo. In aggiunta una serie di note stilate da un altro socio ad arricchire la conoscenza di eventi e persone.

Le foto sono tratte dalla rara edizione «DEN FEMTE OLYMPIADEN i BILD och ORD», un volume di circa 400 pagine che è una vera e propria miniera di immagini dei Giochi Olimpici di Stoccolma 1912. Il libro (che fa parte della collezione di un nostro socio) fu redatto e stampato nella capitale svedese subito dopo i Giochi e include fotografie di tutti gli sport. Le due  che qui pubblichiamo ci rimandano alla gara di marcia, sui 10 chilometri. In quella a destra, il canadese (di nascita inglese) George Goulding conduce, con un perfetto «tacco-punta», sul britannico Ernest Webb,  oro e argento. A poco più di un minuto concluse Altimani (a sinistra). Goulding (1885-1966) aveva già partecipato ai Giochi a Londra quattro anni prima, come pure Webb, che fu due volte argento nelle gare di marcia. Singolare la partecipazione del canadese: fu quarto sui 3500 metri di marcia e ventiduesimo nella maratona, si ritirò invece sulle 10 miglia di marcia. Uomo di poche parole: dopo la vittoria inviò un telegramma alla moglie che diceva «Vinsi - George». Dieci giorni dopo la coppia ebbe un figlio cui impose il nome di George Beverly Olympic Goulding

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Altimani Fernando, protagonista e “vittima” della vicenda dei primati centrati ma non riconosciuti (*), dalla quale uscì da vero campione. È stato il primo marciatore italiano a salire sul podio olimpico, avendo vinto la medaglia di bronzo nella 10 chilometri dei Giochi disputati a Stoccolma nel 1912. (**)

Ambrosini Giuseppe, avvocato di natali genovesi, si dedicò al giornalismo sportivo con particolare attenzione per il ciclismo. Nel suo periodo torinese scrisse per «La Gazzetta del Popolo» e «Lo Sport del Popolo» e fu tra i fondatori del «Guerin Sportivo». Dal 1950 al 1961 fu direttore della «Gazzetta dello Sport».

Balestrieri Arturo, romano, negli anni a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si dedicò a vari sport e divenne uno dei migliori mezzofondisti e marciatori italiani (fra i suoi primati nazionali c’è anche quello dell’ora di marcia, di cui abbiamo parlato nella ricerca su Altimani). Aveva una cultura sportiva di notevole spessore che lo portò a scrivere di varie discipline sulla «Gazzetta dello Sport» ; diede alle stampe anche diversi libri. Fu fra i fondatori della Società Podistica Lazio (***).

Bongiorno Mike, storico presentatore, protagonista degli esordi della televisione pubblica e privata. Divenne il principale conduttore di quiz, il più famoso dei quali fu «Lascia o raddoppia?», avendo spesso campioni dello sport come ospiti. Altimani fu fra questi.

Casalbore Renato, giornalista di testate torinesi quali «La Stampa Sportiva», il «Guerin Sportivo», «Lo Sport del Popolo» e «La Gazzetta del Popolo», alla quale collaborò fino alla nascita di «Tuttosport» (testata che lo ebbe fra i fondatori e direttore dal 1945). Morì nel 1949 assieme ai calciatori del Grande Torino nella sciagura aerea di Superga.

Costamagna Eugenio Camillo, fondatore nel 1895 del giornale «La Tripletta» e subito dopo della «Gazzetta dello Sport», della quale fu direttore fino al 1912. Fu promotore di molte prestigiose gare sportive, prima fra tutte il Giro d’Italia. Abbandonato il foglio milanese, ebbe un ruolo fondamentale nella nascita dello «Sport del Popolo».

Della Guardia Ermete, frequentemente si firmava con lo pseudonimo “Hermes”. Iniziò l’attività giornalistica collaborando con «La Stampa Sportiva» e fu tra i fondatori del «Guerin Sportivo». All’epoca dei primati dell’ora di marcia di Altimani era il corrispondente da Milano de «Lo Sport del Popolo». Alla fine del 1913 assunse la direzione del settimanale «La Domenica Sportiva», ruolo che mantenne per più di vent’anni.

Ferrario Luigi, punto di riferimento nella redazione della «Gazzetta dello Sport» per l’atletica leggera, diresse il giornale milanese dal 1944 fino all’aprile 1945.

Larner George Edward,  poliziotto a Brighton, campione britannico di marcia, vinse due ori olimpici del 1908 sulla distanza dei 3.500 metri e delle 10 miglia. Fra i record da lui stabiliti c’è quello dell’ora di marcia, superato da Altimani nel luglio 1913, ma le prestazioni del marciatore italiano non furono mai riconosciute dalla Federazione mondiale per irregolarita formali delle quali l'atleta non aveva nessuna responsabilità.

Longoni Edgardo, esordì da giornalista collaborando con «La Bicicletta-Corriere dello Sport», per poi entrare nell’orbita della «Gazzetta dello Sport» e dell’editore Sonzogno («Gli Sports», «Il Secolo») rientrando alla “rosea” come direttore nel 1913. Fu per un breve periodo direttore della «Sera», quotidiano del pomeriggio di Milano, ma nel 1924 lasciò il giornalismo e gli incarichi pubblici (era segretario lombardo del Partito Radicale) per le vicende politiche del periodo. Nel 1945 fu fondatore dell’ANSA e del quotidiano «Ricostruzione». Ebbe anche importanti incarichi dirigenziali sportivi, assumendo la presidenza della Federazione Italiana Sport Atletici dal 1912 al 1922 e la vicepresidenza del Comitato olimpico italiano dal 1919 al 1921.

Macoratti Achille, cronometrista, direttore dell’Ufficio affissioni municipali. Fu più volte impegnato nella funzione di cronometraggio anche al Giro d’Italia con il vezzo di sparare un colpo di pistola in aria ogni volta che arrivava al traguardo precedendo i corridori. Talvolta il suo cognome compare nelle cronache come Maccoratti.

Nicola Mario, avvocato con un anonimo passato sportivo di portiere nell’Audace Torino compensato da validissime prestazioni da mezzofondista (vinse nel 1900 e 1901 il titolo nazionale del miglio, nel 1902 quello dei 1500 metri e stabilì il record italiano di entrambe le distanze). Scrisse per «La Stampa Sportiva», «La Gazzetta dello Sport»,  «Lo Sport del Popolo» e «La Gazzetta del Popolo». Fu fra i fondatori del «Guerin Sportivo».

Pavesi Donato, una delle più prestigiose figure della marcia italiana, autore di una lunghissima carriera agonistica approfondita dal sito internet dell’A.S.A.I. con una serie di puntate iniziate il 31 agosto 2020.

Salinelli Mario, agente pubblicitario cinematografico che partecipò il 29 novembre 1956 (****) alla trasmissione «Lascia o raddoppia?» come esperto di atletica ai Giochi Olimpici. Dopo la puntata in cui Altimani fu ospite, riuscì a cogliere in fallo gli esperti che avevano chiesto quali erano i tre atleti che nel 1904 vinsero tre ori olimpici, dimenticando il quarto, la “rana umana” Ewry. La domanda della settimana seguente, quando fu eliminato, sa un po’ di vendetta: che misura fece il discobolo statunitense John Anderson nel 1928 ad Amsterdam? Per la cronaca il lanciatore americano si classificò quinto con 44,87 metri. (*****)

Varale Vittorio, fu caporedattore a «La Gazzetta dello Sport»,  dal 1914, divenendo condirettore l’anno dopo e direttore dal 1917 al 1922, per poi passare allo «Sport», stampato a Milano su carta gialla, al «Corriere dello Sport » (ribattezzato «Il Littoriale» nel 1927), alla «Stampa» di Torino e alla «Gazzetta d’Italia». Collaborò con numerose altre testate, fra le quali «Il Campione» e, su queste pagine, nel 1959, scrisse un interessante articolo che rievocava le due imprese di Altimani.

Note aggiuntive

(*) Nell'ultima edizione (2020) del libro ufficiale della Federazione mondiale di atletica sui primati mondiali, «Progression of World Athletics Records», a pagina 440 è riportata la progressione del primato ottenuto nei sessanta minuti marciando. Questa elencazione si apre con la prestazione del britannico George E. Larner: 13.275 metri. coperti il 30 settembre 1905. I due primati di Altimani figurano pure ma come mai ratificati. Per quello del 13 luglio 1913 (13.284) si legge solamente:"Record attempt. Altimani reached 6.911 m at half hour point". Per quello del 23 luglio (13.403):"Record attempt. Altimani reached 6.793 m at the half hour point on this occasion. As with the earlier attempt , there were only 2 watches , and for this reason the mark went unratified. Marco Martini notes split times of 21:31 4/4 (5000m) and 44:34.2/5 (10000m)". Bisognerà attendere il 1932 per registrare una prestazione migliore di quella di Larner: 13.308 di un altro britannico, Alfred Pope. Solamente nel 1941 un marciatore fece meglio di Altimani: lo svedese John Mikaelsson (1913 - 1987) che percorse in 60 minuti 13.555 metri. Ci erano voluti 28 anni per far meglio di Altimani, prova dell'eccellenza tecnica del risultato del marciatore milanese. Mikaelsson, che era conosciuto con il soprannome di «Mix», fece ancora meglio nel 1945 con 13.812  metri, ma soprattutto divenne campione olimpico due volte sui diecimila metri: il 7 agosto 1948 a Londra (in gara c'erano anche Gianni Corsaro e Pino Dordoni, ottavo e nono)  e il 27 luglio 1952 a Helsinki . Da anni la Federazione mondiale ha rimosso dall'elenco delle discipline sulle quali si può stabilire un primato del mondo la gara dell'ora di marcia. Palese contraddizione, secondo noi: perchè l'ora di corsa sì e l'ora di marcia no? Valli a capire...

(**) Altimani fu anche il primo marciatore italiano a partecipare ai Giochi Olimpici. Nelle prime tre edizioni  (1896-1900-1904) non furono inserite gare di marcia nel programma olimpico; solo nel 1906, nei cosiddetti "Giochi Intermedi" per celebrare i dieci anni della rinascita della rassegna olimpica (questa manifestazione non viene computata fra le edizioni dei Giochi Olimpici), ad Atene, furono inserite due prove su distanze corte: 1500 e 3000 metri. Distanze strane anche per i Giochi di Londra 1908: 3500 metri e dieci miglia, e sempre nessun italiano. Quattro anni dopo, a Stoccolma, Altimani aprì la lunga serie dei marciatori italiani che hanno raccolto allori nei Giochi, e non son pochi. In quel momento era indubitabilmente uno dei migliori del mondo nella disciplina.

(***) Arturo Balestrieri "aveva il soprannome di «er piombo» perchè non sapeva nuotare. Glielo diedero gli amici fiumaroli e ancora negli anni Trenta dello scorso secolo si leggeva a caratteri cubitali sul niveo muraglione del porto fluviale, scritto dall'amico Roberto Basilici, lui sì un superbo nuotatore, "Cacciatori, non più padelle, adoperate piombo Balestrieri". Ma bisogna dire che poi divenne esperto nel nuoto, almeno stando ai ricordi di Vittorio Spositi, e nel 1899 ebbe una medaglia d'argento al valore civile per il salvataggio di una persona nel Tevere in piena. Nato a Roma il primo marzo 1874, il padre, reduce dalle campagne risorgimentali, gli impartì una salda educazione patriottica e civile. Diplomatosi in ragioneria, a 21 anni, al momento in cui fondò con Luigi Bigiarelli la Podistica Lazio, era sottotenente dei Cavalleggeri di Monferrato al Macao di Castro Pretorio. Balestrieri era un ottimo podista e canottiere, socio dei Circolo Aniene, e fu il primo direttore sportivo della Società Podistica Lazio. Abitava in via Panisperna al civico 86, ed era quindi monticiano. Segaligno di fisico, estroso, s'impegnava a solfeggiare con la sua ocarina di coccio, tipico strumento fiumarolo, al momento in cui un nuovo adepto entrava nella famiglia biancoceleste: era l'inno sociale! Come atleta di successo, si trasformò da corridore in marciatore. Tra il dicembre del 1905 e il marzo del 1906 strappò ai torinesi la palma di numero uno nazionale nella marcia, aggiudicandosi con la maglia della Virtus le selezioni per le Olimpiade Straordinarie di Atene. Si ritirò dalle competizioni nel 1910, dopo essere arrivato secondo nel 1908 ai campionati italiani dei 10 km. Nel 1909 Tullio Morgagni l'aveva chiamato alla redazione de «La Gazzetta dello Sport», dove rimase a lavorare fino al febbraio del 1934. Divenne un bravo giornalista, autore di alcuni libri di tecnica podistica, di nuoto, e traduttore di un regolamento di basket-ball, sport che lo vide tra i fondatori della Federazione. Fu anche arbitro di boxe e grande esperto di atletica pesante (a lui nel 1957 venne dedicato un trofeo di propaganda) nonchè vice presidente della Federazione di atletica leggera. Corrispondente ai Giochi Olimpici di Stoccolma, Anversa, Parigi e Amsterdam, svolse un ruolo di «dinamometrista» a Parigi nel 1924. Da giovane fu atleta universale, giacchè praticò il podismo, il calcio (ala destra e portiere), il nuoto, la pallanuoto, il canottaggio, l'equitazione, la ginnastica, la lotta e la scherma. Morì nel periodo più cruciale della seconda guerra mondiale, in una clinica di Cremona il 31 gennaio 1945". Questo testo è ripreso integralmente dal libro di Emilia Corelli, con note storiografiche di Marco Impiglia, «Nel nido dell'aquila - I fratelli Corelli e la Podistica Lazio». Una nota extra atletica: nel testo che precede si nomina l'indirizzo di via Panisperna 86. Per i cultori di scienza vorremmo ricordare che al civico numero 90 esisteva il Regio Istituto di fisica dell'Università di Roma che negli anni Trenta del Novecento riuniva quel gruppo di giovani scienziati che fu conosciuto poi come «i ragazzi di via Panisperna» che comprendeva Enrico Fermi, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, Oscar D'Agostino, Ettore Majorana. Si deve ad alcuni di loro la scoperta delle proprietà dei neutroni lenti in fisica nucleare (1934). Oggi, al civico numero 89, è posta una lapide che ricorda quei «ragazzi».

(***) 29 novembre 1956: mentre alla TV italiana il signor Salinelli rispondeva alle domande di Mike Bongiorno a «Lascia o raddoppia?», dall'altra parte del mondo , a Melbourne, era in corso la XVI Olimpiade e si disputava la sesta giornata del programma di atletica. In programma la finale dei 400 metri, vinta dallo statunitense Charles Jenkins. Nella seconda semifinale, quello stesso giorno, corse l'australiano Kevan Gosper che fu escluso dalla finale per soli sedici centesimi. Poi vinse l'argento con il quartetto australiano 4x400, ultimo frazionista. Fu eminente personaggio nel Comitato olimpico internazione di cui fu, tra il molto altro, per due periodi vicepresidente. Un italiano in gara nella terza batteria dei 1500 metri: Gianfranco Baraldi, sesto. Nella prima, all'ultimo posto, troviamo il nome di Mamo Wolde, l'etiope che sarà campione olimpico nella maratona e secondo nei diecimila metri nel 1968 a Città del Messico. Finale dei 3000 metri siepi: vinse il britannico Chris Brasher, sesto il suo connazionale John Disley, che aveva vinto il bronzo quattro anni prima. Insieme molti anni dopo idearono la London Marathon, prima edizione 1981, oggi un colosso partecipativo ed economico della maratona mondiale. Secondo fu il magiaro Sándor Rozsnyói, all'epoca primatista mondiale. La vittoria di Brasher fu contestata e i giudici lo tolsero dal primo posto ritenendolo colpevole di ostruzionismo nei confronti del tedesco Laufer e dell'ungherese. Sentito dai giudici, Laufer definì insignificante il danneggiamento subito da Brasher, e Rozsnyói rincarò la dose e affermò che non era stato danneggiato. Brasher fu riammesso e fu campione olimpico. Dovette essere emozionante veder salire la bandiera ungherese sul pennone mentre in patria i connazionali di Rozsnyói subivano la dura repressione dei sovietici che poche settimane prima aveva invaso l'Ungheria. Egli, dopo i Giochi, rimase in Australia, divenne insegnante di educazione fisica e allenatore; è morto nel 2014 a Sydney.

(***) Giochi Olimpici 1904, siamo a Saint Louis, Missouri. Scelta infelice per i terzi Giochi Olimpici, solo dodici Nazioni furono presenti. Ovviamente i padroni di casa ebbero gioco facile a far incetta di medaglie. Quattro atleti, tutti statunitensi, furono plurimedagliati. Il velocista Archibald «Archie» Hahn, soprannominato «The Milwaukee Meteor», vinse 60, 100 e 200 metri. James Lightbody, un corridore di Chicago, s'impose sugli 800, 1500 e 2500 metri siepi, pur non avendo mai corso in vita sua una gara con siepi. Un curioso e balzano personaggio, Harry Hillman, pure fece una tripletta aurea: 400 piani, 200 e 400 con ostacoli. E infine il quarto che mancava agli esperti di «Lascia o raddoppia?»: Raymond Ewry (nato a Lafayette, nell'Indiana, nel 1873). Da ragazzo aveva contratto la poliomielite, a quei tempi significava rimanere su una sedia a rotelle tutta la vita. Con una forza di volontà enorme si esercitò da solo e recuperò l'uso delle gambe, e fortificò il suo fisico gracilino. Divenne il più bravo nei salti da fermo, e si guadagnò il nomignolo di «The human frog», la rana umana. Conquistò otto medaglie olimpiche, tre a Parigi 1900, tre a Saint Louis 1904, due a Londra 1908, più altre due nei Giochi Intermedi del 1906.

Ultimo aggiornamento Sabato 22 Gennaio 2022 18:19
 
Fernando Altimani costretto a una duplice fatica causa le beghe fra giornali (2) PDF Stampa E-mail
Lunedì 17 Gennaio 2022 11:06

Pubblichiamo la seconda parte della ricerca di Alberto Zanetti Lorenzetti sui due tentativi di primato sull'ora di marcia effettuati da Fernando Altimani nel luglio del 1913. Primati che, come ci spiega il nostro ricercatore, non andarono a buon fine per impicci burocratici, per altro reali secondo le regole della Federazione internazionale di allora. Impicci dei quali l'atleta non era minimamente colpevole. Ci sarà infine una terza parte che pubblicheremo nei prossimi giorni con il «cartellone» dei protagonisti di questa non esaltante vicenda di oltre cento anni fa.

Le foto: un primo piano di Altimani con la divisa di granatiere, siamo in piena Grande Guerra, 1915; accanto: lo specchietto in ottone che gli salvò la vita fermando la pallottola all'altezza del cuore, oggetto che teneva nella tasca sinistra della giubba militare

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Secondo atto. Nello stesso impianto (il campo dell’Unione Sportiva Milanese, situato in via Stelvio, alla Bovisa) e stavolta alla presenza di circa cinquecento persone, il 29 luglio, la prova venne ripetuta alla presenza della giuria, di un giudice di marcia e di ben quattro cronometristi (nel verbale della giuria ne vennero indicati solo due, ma Vittorio Varale – presente alla manifestazione – cita i nomi di tutti e quattro). Per evitare ritardi non si procedette alla rituale misurazione del percorso, rimandando alle precedenti omologazioni eseguite. Dopo la partenza Altimani, che poteva contare sull’aiuto di alcuni marciatori che allora venivano definiti “allenatori” e che oggi chiamiamo “lepri”, apparve più rigido rispetto a dieci giorni prima. Ciò nonostante, e malgrado dolori muscolari sopraggiunti verso il 45esimo minuto, il marciatore milanese riuscì a fare ancora meglio, aggiungendo 118 metri alla precedente impresa, avendo percorso 13.403 metri e 7 centimetri. Venne annunciato che secondo i tempi di passaggio rilevati, erano caduti i precedenti primati dal primo al decimo chilometro e dalle 5 alle 8 miglia. Un trionfo totale che nei festeggiamenti coinvolse tutti, giornalisti rivali fra loro compresi. Il giornale torinese lo «Sport del Popolo»  decise di regalare ad Altimani una medaglia d’oro “segno d’ammirazione, indipendentemente dalla campagna che all’infuori della sua persona stiamo sostenendo”.

Ripercussioni. Stando ai dettagli del racconto di Varale tutto pareva in regola, ma la IAAF non omologò mai il risultato, inserendolo solo tra le “performances notevoli”. Evidentemente l’aver rispettato il numero dei cronometristi presenti non era stato sufficiente per soddisfare tutte le regole internazionali, anche perché alla fine il verbale venne firmato solo da due degli addetti al cronometraggio. L’astio e il risentimento fra i giornali rivali proseguì per lungo tempo. Già all’indomani del conseguimento del secondo primato la «Gazzetta dello Sport» annunciò il record di Altimani in prima pagina con un titolo a tre colonne: “Come Altimani ha risposto ad una subdola campagna denigratrice”. Le tabelle e l’articolo di Arturo Balestrieri occupavano più di metà foglio. Poi fu la volta dello «Sport Illustrato » (quindicinale della «Gazzetta») che dedicò un’intera pagina, sempre a firma di Arturo Balestrieri, con un significativo commento presente nella didascalia delle fotografie: “Contro il frastuono pettegolo di una campagna diffamatrice ha protestato Fernando Altimani battendo dopo dieci giorni appena il suo stesso record del mondo dell’ora di marcia di 118 metri”. Evidente il messaggio lanciato dai milanesi: è tutta una persecuzione contro Altimani; responsabilità di altri non ve ne sono. La medesima testata e lo stesso autore sette anni dopo tornarono sulla vicenda del primo record: “Da un giornale sportivo torinese – ora cessato – che non riuscì ad avere l’importante notizia fu suscitata una fiera discussione che tendeva ad impugnare la validità della prova dell’Altimani perché compiuta senza preavvisi e senza annunci ufficiali. Si volle vestire di argomentazioni da azzeccagarbugli il disappunto per uno scacco giornalistico”. Solo nel 1927 la “rosea” attraverso il suo settimanale «La Domenica Sportiva» ammise, in modo più o meno esplicito, che i torinesi non avevano poi tutti i torti. Nell’articolo siglato da Luigi Ferrario si legge: “Occorre sapere che per attaccarsi ai records del mondo, bisogna attenersi a talune prescrizioni (…). Occorre inoltre che al tentativo assistano tre cronometristi (…). Per la marcia occorre ad esempio che si trovino presenti tre giudici di marcia ed uno starter ufficiale, tutte persone che devono naturalmente essere riconosciute dalla Federazione ed il tentativo stesso deve inoltre venire prima autorizzato dalla Federazione”, ammettendo quindi che il 19 luglio 1913 il numero dei cronometristi presenti non era adeguato, così come l’autorizzazione, che sicuramente la Federazione aveva concesso, non era stata resa pubblica.

L’impresa di Altimani resta comunque uno dei più importanti episodi dell’atletica italiana. Durante la Grande Guerra il marciatore nei combattimenti presso Oslavia venne colpito da alcune schegge di un proiettile shrapnel che lo raggiunsero alle gambe, ma soprattutto fu salvato da uno specchietto di ottone presente nella tasca sinistra della divisa che fermò una frammento di proiettile all’altezza del cuore. Riprese a marciare alla cessazione delle ostilità, ottenendo risultati che gli permisero di candidarsi alla partecipazione dei Giochi di Anversa; ma la concorrenza di Donato Pavesi e Ugo Frigerio e il ritiro nell’ultima gara delle selezioni portarono alla sua esclusione e alla fine di una luminosa carriera agonistica. Appese la scarpe al chiodo, Altimani fu imprenditore di successo dedicandosi alla fotoincisione di immagini per libri e giornali.

Il 29 novembre 1956 era uno dei tanti giovedì in cui gli italiani si radunavano davanti al televisore per vedere la trasmissione «Lascia o raddoppia?». Per la seconda volta si presentava l’esperto di atletica leggera alle Olimpiadi, il 35enne Mario Sanarelli, agente pubblicitario cinematografico. Mike Bongiorno gli chiese il tempo impiegato da Altimani per vincere il bronzo a Stoccolma, e la risposta fu corretta: 47’37”6. La settimana seguente Altimani fu invitato alla trasmissione dove partecipò ad un siparietto con il concorrente e il presentatore. Questa volta gli spettatori non erano i cinquecento del campo dell’Unione Sportiva Milanese, ma qualche milione. Scelse per conto di Sanarelli la busta che aveva al suo interno il quesito sul tempo che diede la vittoria a Sheppard nei 1500 metri disputati a Londra nel 1908. Rispondendo 4’03”4/5 il concorrente si mise in tasca 1 milione e 280mila lire. Non sappiamo se  esiste un legame diretto con questo passaggio televisivo del campione di marcia, ma qualche mese dopo Vittorio Varale scrisse per il settimanale «Il Campione» un lungo articolo su Altimani e il record ripetuto.

(fine seconda parte - segue)

Ultimo aggiornamento Lunedì 17 Gennaio 2022 17:40
 
Fernando Altimani costretto a una duplice fatica causa le beghe fra giornali (1) PDF Stampa E-mail
Venerdì 14 Gennaio 2022 10:11

Alberto Zanetti Lorenzetti ci racconta una storia di...altri tempi. Stavolta siamo nel 1913, a Milano, parliamo di tentativi di primato e di uno degli antenati della marcia italiana: Fernando Atimani. Ma non solo: l'autore ci porta anche nel mondo dei giornali e dei giornalisti di quell'epoca che, per le loro beghe e gelosie, han mandato in fumo un primato mondiale, costringendo l'atleta a un duplice sforzo. Comunque, s'ha da riconoscere che, beghe o non beghe, la stampa fece il suo mestiere, rilevando irregolarità che in effetti c'erano state. Oggi lo chiamerebbero «giornalismo d'investigazione».

Le foto, da sinistra in senso orario: copertina interna de «Lo Sport Illustrato» del 31 luglio 1913 con un bel primo piano di Altimani; l'atleta in azione assistito dall'allora redattore della «Gazzetta dello Sport» Emilio Colombo (a sinistra) e dal trainer Tagliabue (al centro); infine, l'atleta alla partenza del tentativo di primato del 29 luglio 1913. Stavolta, a giudicare dall'affollamento, si dovrebbe arguire che non manvacano giudici, cronometristi, organizzatori...o magari erano in gran parte gente semplicemente inutile come spesso capita di vedere in campo nelle gare di atletica anche oggi

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I fatti in sintesi. Il marciatore Fernando Altimani  (che, tra l'altro, ha il merito di aver conquistato la prima medaglia olimpica italiana nella marcia, bronzo sui 10 mila metri ai Giochi di Stoccolma 1912) scese in pista, a Milano, il 19 luglio 1913 per un tentativo di primato dell’ora di marcia, cercando di incrementare, a due anni di distanza, la miglior prestazione nazionale stabilita da Donato Pavesi. L’impresa riuscì con un risultato, seppur per pochi metri, da record del mondo non solo da primato nazionale, ma accese una polemica sulla carta stampata con oggetto l’impossibilità di omologare il primato per carenze organizzative. Ciò costrinse il marciatore a effettuare dieci giorni dopo un secondo tentativo che ebbe ancor più successo.

I maggiori protagonisti. Anzitutto Fernando Altimani, l’incolpevole marciatore, quindi «La Gazzetta dello Sport», la Federazione Italiana Sport Atletici, lo «Sport del Popolo», trisettimanale sportivo della «Gazzetta del Popolo» di Torino, i giudici di gara e i cronometristi, Mike Bongiorno e Mario Salinelli. I nomi di altri direttamente o indirettamente coinvolti, riconducono a persone che hanno fatto la storia dello sport e soprattutto del giornalismo sportivo.

Antefatti. «La Gazzetta dello Sport» si trovava in cattive acque e cercava un rilancio: la crisi dell’industria della bicicletta era stata causa di una diminuzione degli introiti della pubblicità, il bilancio era in sofferenza e si facevano sentire anche le conseguenze per la pessima esperienza del Giro d’Italia del 1912, il quarto organizzato dalla “rosea”, disputato con la fallimentare formula della classifica a squadre. Arrivò in soccorso il quotidiano milanese «Il Secolo», che per una cicca di tabacco rilevò la testata sportiva costringendo Eugenio Camillo Costamagna a lasciare la direzione. Fu sostituito da Edgardo Longoni che faceva parte della squadra di giornalisti del «Secolo», ma che rivestiva anche il ruolo di presidente della Federazione Italiana Sport Atletici. (F.I.S.A.). Da poco tempo a Torino il giornale «La Gazzetta del Popolo» aveva dato vita allo «Sport del Popolo», foglio che usciva tre volte alla settimana, dando non poco fastidio al concorrente milanese potendo contare su penne di valore come l'atleta, mezzofondista, Mario Nicola, Giuseppe Ambrosini, Renato Casalbore, Ermete Della Guardia e l’ex direttore della «Gazzetta dello Sport» Costamagna che, con il dente avvelenato per l’abbandono della “rosea”, ebbe un ruolo determinante per la nascita della nuova testata. Furono subito scintille che finirono in carta bollata, a cominciare dalla battaglia per il colore della carta: entrambi i giornali stampavano gli articoli su fondo rosa. La questione finì in tribunale dove la pretesa dei milanesi di avere l’esclusiva cromatica non ebbe fortuna.

Ai primi di luglio, Altimani chiese aiuto per poter mettere in piedi un tentativo di primato ottenendo l’appoggio della «Gazzetta dello Sport», che si diede da fare per organizzare l’evento, ma ponendo l’obbligo che il tutto avvenisse all’oscuro dei concorrenti della carta stampata. E così fu.

Primo atto. Il 13 luglio il campo dell’Unione Sportiva Milanese, situato in via Stelvio, alla Bovisa, aveva le tribune completamente vuote e gli unici presenti erano gli addetti ai lavori strettamente necessari per una gara di marcia. Pur senza l’incitamento del pubblico, Altimani riuscì a produrre un’impresa maiuscola, percorrendo in sessanta minuti 13 chilometri 284 metri e 22 centimetri. Non solo era riuscito a superare di gran lunga Donato Pavesi, che il 16 aprile 1911 aveva fatto registrare la misura di 12.406 metri, ma addirittura fece meglio anche del George E. Larner (*), autore del primato mondiale in vigore, grazie ai 13.275 metri percorsi il 30 settembre 1905, nell’impianto londinese di Stamford Bridge, come ratificato in seguito anche dalla Federazione internazionale (I.A.A.F.), in un primo momento infatti apparve la località di Brighton ma poi fu rettificata.

Tutto questo permise alla «Gazzetta dello Sport» uno scoop al quale dette il massimo rilievo ma, come insegna la legge della dinamica “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Ai torinesi l’esclusiva avuta dal giornale sportivo milanese bruciò parecchio e si misero a cercare il pelo nell’uovo, e di peli ne trovarono più di uno. Vennero a sapere che il presidente della giuria aveva dovuto assentarsi durante la gara per urgenti problemi di lavoro rientrando in tempo per firmare i verbali della manifestazione. Non solo. I cronometristi presenti non erano tre, come previsto per poter procedere all’omologazione, ma come riportato dalla stessa «Gazzetta dello Sport», c’era solo il signor Achille Macoratti. Anche il «Corriere della Sera» fece le sue considerazioni ed esternò i propri dubbi: “Secondo il verbale della giuria che ha controllato il tentativo di Altimani, sarebbe stato battuto il record assoluto mondiale, perché l’Altimani nell’ora avrebbe coperto la distanza di km 13.284,22. (…) Il verbale però dichiara che il nuovo record mondiale è stato stabilito calcolando lo sviluppo della pista in m. 375; invece una misurazione di questa fatta prima del tentativo stesso avrebbe accusato uno sviluppo di soli m. 374. Ora, per sapere se realmente il record è stato battuto, occorre che la Federazione proceda ad una esatta ed ufficiale misurazione della pista. Il tentativo avvenne al crepuscolo, alla presenza di pochi intimi. E’ da augurarsi che, in altra occasione, anche la stampa sia chiamata ad assistere e a dar valore a tali avvenimenti”. Tutte queste irregolarità portavano a invalidare il primato dell’ora e tutti i numerosi record intermedi stabiliti da Altimani che, ormai vittima di una polemica senza esclusione di colpi fra i giornali italiani, alla quale si aggiunse lo scetticismo della stampa d’oltralpe, decise di procedere ad un nuovo tentativo, nonostante che la Federazione italiana avesse immediatamente convalidato il primato. Ne derivò la notizia pubblicata sul «Corriere della Sera»: “Si annunzia che in seguito alle polemiche sorte intorno alla clandestina effettuazione del predetto record, l’Altimani ritenterà pubblicamente la prova martedì prossimo, dalle 19 alle 20”.

(*) - Nota - George Edward Larner (7.3.1875 - 4.3.1949) vinse due titoli olimpici ai Giochi di Londra 1908. Per quella edizione furono adottate distanze strane, una in miglia e non in metri, gli inglesi non mancano mai di un tocco di sciovinismo. Le due gare, entrambe da disputarsi in pista, eravamo al White City Stadium, lunghezza della pista metri 536, 45, furono una bizzarra 3500 metri e una dieci miglia (1609 metri virgola qualcosa). Le date: 13, 14, 15 e 17 luglio, con batterie e finali, prima la gara più corta. Larner era un poliziotto trentatrenne, un «bobby», di Brighton, il quale si era messo in pensione per prepararsi ai Giochi Olimpici nella sua Londra. E riportò a casa due medaglie d'oro. Da quello che abbiamo letto era un tipo un po' singolare. Parlando del suo allenamento disse che "quando le circostanze lo permettevano", andava in un parco isolato, si toglieva tutti gli indumenti e faceva il suo training. "Meglio ancora se stava piovendo". Sicuramente un po' inusuale. Larner detenne un bel numero di primati, anche perchè all'epoca venivano riconosciuti come tali anche i tempi di passaggio sulle distanze intermedie. Nella gara sui 3500 metri secondo fu un altro inglese, Ernest Webb, e quarto il canadese George Goulding, i quali, quattro anni dopo a Stoccolma, occuperanno il primo (Goulding) e il secondo (Webb) grandino del podio, lascinado il terzo ad Altimani. La gara fu sui dieci chilometri, il tempo di Goulding (46:28.4) fu riconosciuto dalla I.A.A.F. come primo primato mondiale sulla distanza. Si noti che anche Goulding era inglese per nascita, poi emigrato in Canadà. E si noti pure che Ernest Webb in due edizioni olimpiche collezionò tre medaglie d'argento!

(segue)

Ultimo aggiornamento Lunedì 17 Gennaio 2022 11:15
 
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