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Trekkenfild: quei birbaccioni di atleti che parlano solo con la bocca degli altri PDF Stampa E-mail
Mercoledì 16 Febbraio 2022 00:00

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Sul nuovo numero di «Trekkenfild» appena atterrato dall'etere nel PC della nostra redazione, Daniele Perboni e Walter Brambilla si son divisi i tasti del loro PC per scrivere a quattro mani le lamentazioni di due poveri scriba alle prese con le bizze di atleti, ma anche atletini e atleculi, infettati dal morbo della megalomania: tutti hanno bisogno del portavoce, del comunicatore, insomma di quello che gli fa da filtro con quei cattivoni dei giornalisti. Anche perchè il malvezzo di questi ultimi è, ormai da anni, quello di non potere fare a meno della cosiddetta «intervista». Quella che qualcuno di noi chiama «virgolette aperte, virgolette chiuse». E provare a spegnere l'interruttore? Vale a dire: non alzate più il telefono per cercarli, per pietire pochi minuti per ascoltare...ascoltare che poi? Lasciateli bollire nel loro brodino, commentate le loro gare, non avete bisogno d'altro, a ben vedere. Quando li incontrate al massimo dite loro: buongiorno e buonasera. Ignorateli, ignorate quelli che si comportano da granduomini, e invece stanno giocando. Ragazzi, lo sport è un gioco, e tale deve restare. Son già fortunati che questo gioco gli dà di che vivere nella bambagia, mentre tanti altri devono pedalare, magari di notte, per portare la pizza a una signora incinta che ha voglia di una quattro stagioni. Ridimensioniamo il contesto, per favore. Ci chiediamo inoltre se sia morale nel caso degli atleti che sono nei gruppi militari comportarsi in questo modo, visto che ricevono uno stipendio pagato con denaro pubblico. Non sarebbe degno di un intervento deciso da parte degli alti mandi dei vari carabinieri, poliziotti, guardie di finanza, ecc.? Oltre ad un elementarissimo problema di educazione, ma questo è pretendere troppo. E proprio sul tasto dell'educazione, un nostro amico che ha fatto il giornalista sul serio - adesso si occupa di piante, verdure e fiori - ci raccontava mesi fa di essere stato incaricato di scrivere di un atleta e si è trovato difronte all' attuale malcostume: "Se vuoi parlare con mia figlia/mio figlio devi telefonare alla signora, al signor...". Reazione composta? "Grazie, prendo nota". Mai chiamato nessuno, nè l'atleta, nè il suo mediatore di comunicazione. L'articolo però lo ha scritto lo stesso, e la resa non ne ha risentito. Daniele, Walter, provate a fare lo stesso, è tutta la vita che state in atletica, non avete bisogno delle quattro minchiate che vi possono raccontare svogliatamente dei ragazzotti/ragazzotte troppo montati. Non son tutti così, quelli educati, modesti, che san stare al mondo con garbo, ecco, dedicatevi maggiormente a quelli che lo meritano non solo per i risultati. E lasciate perdere i portaborse, saranno sempre solo portaborse.

Noi, nel senso di chi ha scelto la via dello studio, della ricerca, della valorizzazione dei principi fondanti dello sport, siamo molto contenti di non aver niente a che fare con questa malsana «modernità» che non ci appartiene, anzi che decisamente rifiutiamo. Il resto di «Trekkenfild» numero 103 è lì da leggere.

Ultimo aggiornamento Giovedì 17 Febbraio 2022 23:19
 
Do you speak English? No, ma vinciamo lo stesso anche se parliamo italiano (1) PDF Stampa E-mail
Sabato 12 Febbraio 2022 00:00

Stavolta, amici del nostro sito e della nostra lillipuziana struttura, vi accompagnamo al di là della Manica, sapete? quel braccio di mare (560 chilometri di lunghezza, 34 chilometri la distanza minima fra le bianche scogliere di Dover e la costa francese del Pas de Calais), acque che Sir Winston (vedasi il film «L'ora più buia», uscito nel 2017) riuscì, con l'aiuto dei suoi connazionali, fossero pescatori o appassionati di barca a vela, a mettere in acqua migliaia di piccole, medie, grandi imbarcazioni per cercare di portare in salvo i militi inglesi, e anche belgi e francesi, inchiodati su una spiaggia francese dai nazisti invasati dalle urla di un imbianchino. Era la fine di maggio e l'inizio di giugno del 1940. È conosciuta come Operazione Dynamo, durò otto-nove giorni, sotto il fuoco rabbioso dell'artiglieria tedesca e dei bombardamenti incessanti della Luftwaffe, per la gioia dei costruttori d'armi e di bombe amici del suddetto imbianchino. Furono sottratti alle grinfie naziste circa 340 mila uomini fra britannici e francesi. Lo definirono «il miracolo di Dunkerque».

Bene, dopo la lezioncina di storia degna di un bigino pre-esame per quelli che non hanno studiato molto durante l'anno, vi facciamo attraversare l' English Channel in tutta sicurezza. La barca che ci porterà sul suolo di Albione (come scrisse Ugo Frigerio nel suo libro, ligio alla definizione mussoliniana in voga allora di Inghilterra come «perfida Albione», espressione peraltro scopiazzata dal Cav. - ma allora è una mania degli italiani 'sto Cav. ricorrente? - da un marchese francese di origine spagnola che la coniò nel Settecento) avrà al timone Augusto Frasca, socio fondatore e attualmente vicepresidente dell'A.S.A.I. Non conosciamo la sua perizia nel governare una barca, ma siamo certi della sua abilità nel mettere in bella fila le parole. Frasca ci guiderà alla scoperta (o riscoperta, per quelli che hanno nozioni di atletica un tantino più raffinate) degli atleti italiani che hanno iscritto il loro nome nell'albo d'oro dei Campionati inglesi, quelli sotto l'egida della Amateur Athletic Association, fondata nel 1880. Accanto a Frasca si è subito schierato un altro socio fondatore, Alberto Zanetti Lorenzetti, che ha provveduto a fornirci un eccellente supporto documentale e iconografico a corredo dei testi.

Di seguito potete leggere la parte iniziale di questa interessante ricerca, che ci racconta la prima partecipazione italiana ai Campionati inglesi, quella del marciatore Ugo Frigerio, nel 1922.

Qui sotto: riproduzione dell' articolo che «La Gazzetta dello Sport» di lunedì 3 luglio 1922 dedicò all'evento. La corrispondenza da Londra era «di apertura» della prima pagina (nel linguaggio giornalistico della impaginazione degli articoli) 

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"Mi si aspetta a Londra per i Campionati Inglesi: andiamo un po' a vedere la terra d'Albione. Per poco non ci siamo arrivati ammanettati assieme a Brusotti. A Copenaghen avevamo incaricato un connazionale di procurarci il biglietto supplementare da unire ai due che già tenevamo; ma, o che il connazionale non trovò più noi, oppure noi perdemmo lui. Sul piroscafo nessuno parla l'italiano e noi non conosciamo altre lingue all'infuori della nostra. La mancanza del famoso biglietto supplementare fa andare in bestia il Capitano e il Commissario di bordo. Alle domande che ci rivolgono un po' con le buone e un po' con le cattive rispondiamo sempre che non comprendiamo… Conclusione: ci fanno piantonare in cabina. Dopo un po' siamo nuovamente chiamati alla presenza di quei due Signori, che ora ci sembrano un po' più calmi. Finalmente, a forza di segni da spiritati, riusciamo a capire che vogliono proprio quel biglietto che non possediamo, in mancanza di quello ci fanno intendere che accettano anche l'equivalente in contanti. Meno male! Paghiamo subito ed evitiamo l'arresto.

"Sbarco a Londra accolto con una cordialità fraterna da parte dei gentilissimi sportivi inglesi, e da tutti coloro cui vengo presentato. Ecco il giorno fissato per la grande gara dei Campionati. Dopo l'Olimpiade non ricordo d'aver visto uno stadio così gremito di spettatori come quello di Londra. Decisamente l'Inghilterra è il paese degli sport per eccellenza. Una folla impressionante, disciplinata e così compostamente vivace e allegra che, a mirarla, c'era da compiacersi per il grandioso e armonico spettacolo che dava di sé. Entrano in campo i marciatori. Non siamo in molti, ma è risaputo che quando si ha a che fare con una squadra, come quella capeggiata dal terribile e prodissimo Larner*, recordman mondiale, c'è da pensarci due volte e da mettercela tutta. Si corre su due miglia. La giornata non è cattiva, in complesso, e io sono in ottima forma. La gara si svolge corretta e animatissima, seguita dall'ansia evidente del pubblico che adora il suo imbattuto campione. Larner è già anzianotto d'età e anzianissimo di competizioni e di fulgide vittorie internazionali, e la sua celebrità è tutt'altro che una montatura, come il suo indiscusso valore è tutt'altro che trascurabile per chiunque: la sua tenacia e la sua forza sono sorprendenti. Quando riesco a sorpassarlo, lo vedo serrare i pugni sorridente, quasi volesse dirmi: "non è ancora finita"; e mi insegue risoluto e con maestria, tanto che mi sta sempre alle calcagna col fermo proposito di sopravanzarmi, e riunendo tutte le sue vecchie e gloriose energie piantarmi in asso. Allungo di scatto e subito accentuo il vantaggio sul mio inseguitore che non s'aspettava la repentina sferzata. Un primo scroscio di applausi saluta la mia decisa presa di posizione, tanto più che Larner in quel momento deve aver lasciato sfuggire un gesto di sorpresa; proseguo quindi più coraggioso, stimolato dalla schietta dimostrazione di simpatia del pubblico, il quale vorrebbe ugualmente ridare nuova forza al suo campione prediletto. A un tratto, quasi senza avvedermene, rompo veemente il filo del traguardo, mentre una poderosa e prolungata ovazione accoglie il mio impetuoso arrivo. Giunge intanto anche Larner.  Il vinto campione del mondo vuol dimostrarmi pubblicamente la sua incondizionata stima e ammirazione indossandomi personalmente il pijama. L'atto cavalleresco elettrizza d'un colpo la folla spettatrice, che scoppia in un uragano d'applausi all'indirizzo di entrambi. E poi venite a contarmi che la freddezza degli inglesi è proverbiale. Se davo retta a loro, ai loro inviti e alla loro benevolenza, ancora sarei là, e avrei messo su casa tra le brume di Albione".

Troppo sapida la ricostruzione del primo successo di un italiano ai Campionati inglesi dell'Amateur Athletic Association per privare i lettori della generosa scrittura del marciatore che due anni prima, diciannovenne, sorprendendo il mondo dell'atletica, si era affermato sul traguardo dei 3 e dei 10 chilometri ai Giochi di Anversa, lasciando successivamente traccia viva della sua carriera in un libro biografico dal titolo, rivelatore dello spirito del tempo, Marciando nel nome dell'Italia. Quel viaggio vincente oltre Manica – in una manifestazione che prima dell'esordio torinese nel 1934 dei Campionati europei costituì un'autentica rassegna continentale, mantenendone successivamente, e a lungo, più d'una peculiarità – non fu l'unico di Ugo Frigerio. Il fanciullo di Anversa, ancora dominatore sulla distanza più lunga, ventitreenne, ai Giochi di Parigi, e prima del terzo posto sulla cinquanta chilometri di Los Angeles, tornò a Londra nel 1931, trionfando sulle 7 miglia e chiudendo in pratica un fenomenale cursus honorum.

Nota dell'autore - George Edward Larner (7.3.1875) firmò, tra il 1904 e il 1908, i primati mondiali dell'ora e sulle distanze dalle 2 alle 10 miglia. All'epoca di Londra 1922, Larner aveva dunque 47 anni.

Note aggiuntive, a cura della redazione - Si rileva qualche discrepanza fra il racconto di Frigerio e la cronaca riportata da «La Gazzetta dello Sport», che non cita mai Larner fra i protagonisti della gara. Teniamo per buona la versione dell'atleta italiano, desumendo che l'inglese chiuse la gara nelle retrovie. Secondo fu Charles Dowson, che aveva vinto i titoli AAA delle 2 e delle 7 miglia nel 1920. Anno in cui fu selezionato per i Giochi Olimpici di Anversa; prese parte alla prova sui tre chilometri, e chiuse al sesto posto, quasi insieme a Donato Pavesi che però dopo la gara fu squalificato. Dopo Dowson, Bobby Bridge (1883-1953), protagonista negli anni 1912-13-14, nonostante una menomazione grave: il suo braccio sinistro aveva dovuto essere amputato al gomito. E nonostante questo, finita l'attività sportiva, esercitò la professione di dentista. Nella cronaca del quotidiano milanese viene citato anche Ross: si tratta di Harold Ross, vincitore anche di due edizioni della «Cento Chilometri».

(segue)

Ultimo aggiornamento Giovedì 24 Febbraio 2022 17:49
 
Liste italiane di ogni tempo, uomini e donne: versione definitiva a fine 2021 PDF Stampa E-mail
Lunedì 07 Febbraio 2022 00:00

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Enzo Rivis ed Enzo Sabbadin, nostri soci che dedicano tempo e attenzione alla compilazione statistica, hanno lavorato, in queste prime settimane dell'anno, a rifinire le liste italiane di ogni tempo, tanto per gli uomini quanto per le donne, specialmente con i risultati delle gare su strada, corsa e marcia, che tengono banco nei mesi autunnali, anche se parecchie competizioni sono state annullate a causa della situazione sanitaria generale. Le liste che trovate qui - uomini e donne - sono la fotografia della situazione dell'atletica italiana dopo l'anno divenuto olimpico per cause di forza maggiore. Le stesse liste sono sempre disponibili nella apposita sezione dedicata alle compilazioni, sezione che trovate sulla sinistra della copertina di questo sito. Eventuali correzioni, segnalazioni, aggiunte vanno inviate direttamente ai compilatori:  Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .

Nelle due foto (per gentile concessione della FIDAL): Antonella Palmisano e Corrado Stano, campioni olimpici 2021 a Tokyo

Ultimo aggiornamento Lunedì 07 Febbraio 2022 18:20
 
La «Cinque Mulini» rivisitata attraverso le copertine dei primi anni '60 (3) PDF Stampa E-mail
Sabato 05 Febbraio 2022 00:00

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Dopo il collage di foto degli anni '40 e una selezione degli scritti di Bruno Bonomelli sul cross dei «Cinque Mulini», oggi offriamo ai nostri fruitori una insolita, pochissimo conosciuta - crediamo -  rassegna di copertine dei programmi del cross sanvittorese nei primi anni '60, esattamente 1960, 1961, 1962 e 1964. Anche queste, come il materiale precedente, fanno parte della collezione privata di un nostro socio. Erano programmi semplici, di poche pagine, con una grafica minimale e una impaginazione senza design sofisticato. Però erano l'espressione di una realtà paesana che aveva saputo inventare nel pieno degli anni '30 una manifestazione sportiva che affondava le proprie radici nella tradizione popolare e contadina. Ci sono altri esempi di corse campestri per così dire «paesane», dimenticate purtroppo, delle quali un giorno - forse - vi parleremo, per toglierle dall'oblio e affidarle alla memoria dei quattro gatti che ancora si occupano di conoscere il passato del nostro sport. Non sapendo, peraltro, neppure valorizzare il presente...

1960, anno olimpico speciale, siamo noi italiani ad ospitare la diciassettesima figlia del Barone Pierre de Coubertin. A San Vittore Olona si corse il 20 marzo. Alzi la mano chi sa che cosa era il Neadol? Crema, non unge, non macchia...Era un medicinale per lenire strappi muscolari, reumatismi, nevralgie, lo produceva la Medici Domus, laboratorio chimico biologico farmaceutico con sede a Legnano.  E il Redocin? Antisettico, balsamico «in un lampo risana»! La Medici Domus, nelle ultime edizioni degli anni '50 e almeno fino al 1964, affiancò numismaticamente gli organizzatori sanvittoresi; sulla copertina del programma e sullo striscione di arrivo faceva bella mostra il nome di questa azienda che apparteneva alla famiglia Mocchetti. Questa azienda pubblicò anche una rivista col titolo «Sport in Medici Domo». Torniamo al programma cartaceo del cross. Una pagina è dedicata al patrocinio del presidente della Repubblica, che a quel tempo era il toscano di Pontedera, Giovanni Gronchi, che ebbe un grande merito nel suo settennato: essere ricordato per...un francobollo sbagliato! Il famoso, e costoso, «Gronchi Rosa». Presidente invece del Comitato Esecutivo del cross Paolo Cozzi, quel gentleman di Alfredo Turri era uno dei vicepresidenti, il direttore di gara, ovvio, Giovanni Malerba. Tutti brava gente, davvero. Nell'elenco dei premi di rappresentanza figurava «una riproduzione in bronzo del Guerriero di Legnano»: vuoi vedere che questa corsa campestre è stata l'antesignana della Lega che una volta si chiamava Lombarda e che piaceva tanto al senatur Umberto Bossi? Siamo seri, e vediamo invece la prossima notizia annunciata nell'ultima pagina del programma: nacque quell'anno la «Cinque Mulini dei giovani». Si legge che la società organizzatrice «per la prima volta richiamerà anche i giovani Allievi e Juniores a gareggiare sul caretteristico percorso...". Questa prima edizione (circa tre chilometri da percorrere)  fu riservata agli atleti tesserati della Lombardia: vinse Massimo Begnis, che diventerà campione nazionale sui 3000 metri siepi nel 1965 e '66, oltre che detenere il primato italiano di questa specialità che tolse ad Alfredo Rizzo.

1961, 19 marzo, stavolta il presidente Gronchi fu più generoso, oltre all'Alto Appoggio - come è scritto - offrì una medaglia d'oro da assegnarsi al vincitore. Intanto era cambiato il sindaco, primo cittadino era Alberto Lazzati, fratello maggiore di Augusta, che è stata il punto di riferimento degli organizzatori ma, soprattutto, degli atleti stranieri per tre o quattro decenni, lei che dominava la lingua inglese, e anche qualche altra. Pochi i cambiamenti nelle pagine interne, fra cui una bella foto di Gianfranco Baraldi, vincitore l'anno prima, su Francesco Perrone e Franco Volpi. Massimo Begnis rivinse la gara dei giovani, nella quale, al terzo posto, si classificò il bresciano Giulio Salamina, che vestiva i colori della FO.MA.PLA, società di creazione bonomelliana. Giulio, fin dalla fondazione, è socio A.S.A.I. Ci fu un fatto nuovo: dopo 28 edizioni il podio della «Cinque Mulini» per la prima volta fu occupato da tre corridori stranieri: lo jugoslavo di origine croata Franjo Mihalic (al terzo successo dopo quelli del '57 e del '58), il marocchino Moha Saïd, e l'altro jugoslavo Istvan Ivanovic.

1962, 18 marzo. Proprio una foto di Mihalic che stringe la mano al rag. Pino Mocchetti fa bella mostra sulle pagine del programma. Ragioniere? Sì, ma anche imprenditore farmaceutico e allenatore di calcio. Fu presidente del Legnano fino a portarlo (campionato 51-52) in Serie A. Fu anche chiamato a far parte, per circa un anno, della Commissione tecnica della Nazionale di calcio, insieme a Gipo Viani e a Giovanni Ferrari, era l'anno 1958, Commissario straordinario della F.I.G.C. era Bruno Zauli. Abitò sempre a San Vittore Olona, in Palazzo Mocchetti, dove morì, nel 1994, all'età di 89 anni. L'anno 1962 vide alla ribalta della «Cinque Mulini» uno dei grandissimi della storia della corsa di mezzofondo: il francese Michel Jazy. E ci fa piacere qui ricordare un eccellente corridore per campi e per montagne, il bresciano Enzo, detto Franco, Volpi, che quel giorno fu il più tenace avversario del leggero transalpino e chiuse secondo a meno di 35 secondi. Volpi fu protagonista di tante edizioni di questo cross: terzo nel 1957 - 1959 -1960 - 1963, oltre ad altri piazzamenti minori. Avrebbe meritato di iscrivere il suo nome nell'albo dei vincitori.

1963, 24 marzo. Tornò Jazy, e tornò per vincere ancora. Si affacciò per la prima volta dalla terra che ha inventato il cross country, il britannico Derek Turner, che insidiò fino alla fine il transalpino. Con Volpi, furono gli indiscussi protagonisti della corsa. Dal programma peschiamo un paio di segnalazioni. Fra gli incarichi organizzativi due nomi indelebili: quello di Peppino Galli addetto, insieme a Nicola Canziani, al Servizio Stampa e Informazioni; in anni futuri sarà presidente della società sportiva. E quello «della signorina Augusta Lazzati», alla voce «interprete». Segnali di ammodernamento dello staff con l'innesto di due ruoli fondamentali per lo sviluppo internazionale della manifestazione che da lì in poi decollò verso una fama mondiale. Quelli veramente bravi hanno già scritto, riscritto, cantato, messo in versi, in endecasillabi, la storia della «Cinque Mulini». Eh che? Ci mettiamo a fare concorrenza?

(fine)

Ultimo aggiornamento Sabato 05 Febbraio 2022 21:06
 
Omaggio alla «Cinque Mulini» e a Bruno Bonomelli che ne cantò l'epopea (2) PDF Stampa E-mail
Sabato 29 Gennaio 2022 00:00

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Non serve eccessiva memoria - servirebbe almeno aver letto - per ricordare che ieri abbiamo dedicato la prima puntata dell'omaggio «a modo nostro» alla «Cinque Mulini». Si trattava della pubblicazione di una selezione di foto della corsa campestre ambientata a San Vittore Olona negli anni dal 1943 al 1950. In quel contesto abbiamo citato il nome di Bruno Bonomelli, storico, statistico, giornalista, e molto altro, che di questo cross oggi novantenne ha scritto per moltissimi anni su vai «fogli», in particolare il quotidiano «L'Unità». Dello scrittore bresciano un nostro socio conserva molti ritagli dei suoi articoli e li ha messi a disposizione per la pubblicazione. Qui sopra trovate (e potete pure leggere, click sull'articolo e avrà una dimensione adatta alla lettura) quattro articoli presi dal quotidiano comunista fondato da Antonio Gramsci. Alcuni di noi hanno sempre apprezzato il taglio dei suoi scritti, la sua verve, l'uso appropriato della lingua italiana, la varietà dell'aggettivazione, l'ironia, e perchè no? la tagliente polemica. Ci asteniamo dal fare confronti con la pochezza della scrittura dei giorni nostri, nonostante la affollata moltitudine di pretendenti al meno al Premio Pulitzer se non perfino il Nobel della letteratura (sia ridotta almeno a sportiva).

Piccola guida alla lettura, caso mai...Il «pezzo» titolato "Peppicelli ecc ecc" si riferisce alla edizione del 1957, che ebbe valore come Campionato italiano di cross. Il fondista nato a Città della Pieve, provincia di Perugia, fece gara da solo, ci racconta Bonomelli. Ma mise l'occhio anche sul giovane Gianfranco Baraldi, bergamasco di adozione essendo nato a Littoria, che noi conosciamo come Latina (il cambio fu ratificato il 9 aprile 1945), e di lui scrisse che il suo finale fu «travolgente».

 "Ancora una volta siamo tornati a S. Vittore Olona, nella capitale italiana delle corse campestri", scrisse il 2 marzo 1959, edizione tutta autarchico-nazionale. Piccola selezione di aggettivi: "il cocciuto vincitore Francesco Perrone" (purtroppo questo bravo fondista nato a Cellino San Marco, in provincia di Brindisi, è morto circa un anno fa di COVID-19, che come tutti sanno è una malattia che si è inventata mia sorella...), la sua "inesausta andatura". Sentite che disse di Giovanni Scavo:"il maestoso atleta", "si è assistito allo straordinario finale".

Il 27 marzo 1965 Bonomelli verga il pezzo di presentazione della «Cinque Mulini» per le pagine del giornale allora diretto da Mario Alicata. Tutti aspettano di vedere sui prati e fra i mulini dell'Olona lo statunitense campione olimpico dei diecimila metri  qualche mese prima a Tokyo. E con l'aggiunta della curiosità per questo corridore che ha nelle vene sangue indiano e che di cognome faceva Mills, in inglese mulini al plurale. Bonomelli ne predisse la vittoria. Facile profeta? Ci sta. Scrisse, (Mills) "non ha riposato un istante, si è allenato, ha corso in cross, ha corso in pista coperta. Questa ci sembra la più sonora smentita a coloro che in Italia si ostinano a ordinare ai loro atleti riposo per ricaricare le batterie".

Da ultimo, la celebrazione dell'arrivo di quelli che tutti, pedissequamente, definivano «le gazzelle degli altipiani», i corridori del Kenya e quelli dell'Etiopia che aveva fatto meraviglie ai Giochi Olimpici di Mexico l'anno prima. Il più corteggiato Kip Keino, di cui inseguivano avidamente i segreti della preparazione. E per anni, anzi per decenni, in Italia - e non solo - si è andati avanti con la favoletta che i keniani erano così forti perchè fin da bambini andavano a scuola correndo. Solenne minchiata. Nel 1968 la verità, non tanto misteriosa, era che ebbero dei bravi allenatori britannici. Una annotazione sul «niente di nuovo sotto il sole». Qualche mese fa, non sapendo di che altro parlare (secondo noi), è risaltata fuori la storia delle scarpette con i chiodi disposti in un certo modo per favorire la corsa, i risultati, e altre fantasticherie. Novità? Macchè. Déjà vu nel 1968. Sentite Bonomelli:"...Kipchoge Keino che corre con scarpette fitte di chiodi a pettine...Mamo Woldeche correva con scarpette lisce...".

Ultimo aggiornamento Domenica 30 Gennaio 2022 20:34
 
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