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Pino Dordoni partì dal Sud e dalla Sicilia per la sua lunga marcia come allenatore PDF Stampa E-mail
Giovedì 10 Novembre 2022 00:00

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Foto a sinistra: Domenico Ferrito, Pino Dordoni e Nino Davì allo stadio delle Palme a Palermo nel gennaio 1962. A destra, il podio della finale dei Campionati siculi di società, 23 maggio 1954: primo Nino Davì, noto giornalista al Telegiornale RAI regionale, fratello maggiore di Pino; secondo in questa gara Casimiro Alongi, stroncato ancora in giovane età da malattia inesorabile

«Paternoster e Dordoni si ritirano». Questo titolo spiccava sulla prima pagina del numero 2, 15 gennaio 1962, del quindicinale della Federazione «Atletica». A pagina 2 titolo analogo per un articolo in carattere neretto incorniciato, doppio risalto secondo le abitudini grafiche dei giornali: «Paternoster e Dordoni abbandonano». “Paola Paternoster e Pino Dordoni lasciano l’atletica. Le notizie degli abbandoni, decisi dai due atleti da qualche tempo, sono state dichiarate ufficiali in questi giorni”. L’articolo era firmato da una giovane collaboratrice del foglio fidalino, Fiammetta Scimonelli, ventiquattrenne, milanese di nascita, laureata in filosofia, approdata a Roma dopo non facili vicende familiari. I suoi esordi la videro impegnata nell’atletica, e lì venne notata da Donato Martucci, onnipotente Capo ufficio stampa del Comitato olimpico italiano a fianco dell’ancor più imperante presidente Giulio Onesti, il quale Martucci porterà Fiammetta nelle stanze del Palazzo H (sede del C.O.N.I. per i millennials) e ne farà la sua «erede» nell’incarico. Quel Donato Martucci che, dettaglio conosciuto solo da pochi bi-millennials, firmò alcuni articoli sui Giochi 1952 e sulla vittoria di Dordoni a Helsinki sul giornale «Gazzetta Sera» e sulle pagine del settimanale «Oggi».

Paola Paternoster, romana di robusta complessione, fu lanciatrice poliedrica, pentatleta, pluriprimatista nazionale. Classe 1935 (deceduta nel 2018), dopo i Giochi Olimpici romani e un decennio di attività, considerò giunto il momento di chiudere il capitolo atletica. Seppure nel 1961 i suoi risultati fossero al vertice nazionale del peso e del giavellotto, al secondo posto nel disco dopo la ascendente Elivia Ricci, e al quarto nel pentathlon. Di Pino Dordoni serve aggiungere qualcosa dopo tutto quello che siamo andati facendo e scrivendo (in un silenzio da deserto dei Tartari) in questo anno 2022 per celebrare i settant’anni del suo successo olimpico? Lasciamo dire qualcosa alla Fiammetta, che scrisse sessant’anni fa: “Pino Dordoni ha 36 anni e da più di 15 lavora nel settore specifico della marcia che in lui ha trovato se non il suo fondatore, il suo più grande campione. Una classe eccezionale, una forza di volontà quasi disumana, un amore allo sport più che unico fanno da cornice alla figura dell’atleta di Piacenza, che esigenze di lavoro e di salute costringono al ritiro”. Entrambi gli atleti (che accomuniamo non solo perché il caso vuole che abbandonino lo sport nello stesso periodo, ma perché di pari valore) seguono la legge umana che prevede il termine di un’età spensierata per la conquista di altri valori. Ma anche se non avremo più la ventura di vederli nei campi sportivi, sappiamo che la loro opera sarà sempre a disposizione dell’Atletica Leggera, Paola Paternoster infatti fa l’istruttrice ai Centri Addestramento mentre Pino Dordoni lavorerà come Allenatore federale”. Un poco azzardata, ci pare, l’affermazione del «pari valore» dei due atleti. Rispetto per tutti, ma l’atletica ci insegna una scala precisa di valori. Altrimenti facciamo della retorica. Quello stesso anno, il 15 settembre, Paola si unì in matrimonio all’ingegnere Pompeo Carotenuto.

In quella stessa pagina 2 che abbiamo citato, in alto a destra un titolo a due colonne attira la nostra attenzione, «Commissione per la marcia», che fa seguito alla decisione del Consiglio Direttivo che si era riunito alla Scuola Nazionale di Atletica Leggera a Formia, l’8 e 9 dicembre 1961. In quella occasione fu ufficializzata la creazione della “Commissione Nazionale per l’Attività della Marcia, composta da un Presidente, di due esperti della marcia, di un giudice di marcia designato dal G.G.G., da un tecnico designato dal Settore Tecnico Federale, e da un segretario designato dalla Segreteria Generale della F.I.D.A.L…Il consiglio ha nominato Presidente il rag. Ferruccio Porta”.

La prima riunione della Commissione. “La Presidenza della FIDAL, in ottemperanza a quanto deliberato dal Consiglio Direttivo Federale, ha di recente provveduto alla costituzione della Commissione nazionale per l’attività della marcia. A far parte di detta Commissione in rappresentanza del Settore Tecnico è stato chiamato il Campione Olimpionico Giuseppe Dordoni il quale cessa in tal modo dallo svolgere attività agonistica ed inizia quella di tecnico della marcia. La personalità di Dordoni e il prestigio da lui acquisito in tanti anni di valorosa attività sono garanzia che in questa nuova sede egli si renderà particolarmente utile all’atletica leggera italiana. (…) Dordoni ha già preso contatto con il Commissario Tecnico Nazionale Bononcini ed ha formulato con lui un primo programma di lavoro che egli si accinge ad attuare. Oltre a dare assistenza ai marciatori già noti Dordoni si preoccuperà principalmente di reperire nuovi giovani elementi avviandoli ad una corretta pratica della marcia. Difatti due primi raduni di giovani marciatori saranno tenuti il 3 ed il 4 febbraio a Formia ed il 10 e 11 febbraio a Bologna. Nel mese di marzo i migliori elementi emersi da tali raduni saranno nuovamente convocati per un breve periodo di allenamento collegiale. Oltre a queste convocazioni Dordoni si recherà nei prossimi giorni a visitare vari centri e in particolare Reggio Calabria, Messina, Palermo, Bari, Napoli, Modena, Este e Roma”.

Intanto, con comunicato numero 3 dell’11 gennaio 1962, la Presidenza federale aveva ratificato la composizione della Commissione Marcia: presidente rag. Ferruccio Porta, cav. Attilio Callegari, Mattia Garzone, cav. Giuseppe Dordoni, dott. Attilio Bollini, segretario cav. Andrea Sandonnini.

Vedi, caro amico Carmine Bonomo, da Catania, quanti intrecci ha sollecitato l’invio della prima fotografia che ci hai inviato! Siamo allo Stadio delle Palme, a Palermo, 28 gennaio 1962. Quindi, come abbiamo appena letto, una delle prime visite del tecnico Pino Dordoni.

Brevi profili dei due che affiancano il piacentino campione olimpico. Il prof. Domenico Ferrito fu eletto presidente del Comitato siculo nel 1962, l’Assemblea si celebrò sette giorni prima, il 21 gennaio, della visita di Dordoni. Forse questa foto è una primizia con Ferrito neopresidente. Con l’andar del tempo, fedelissimo pretoriano di Primo Nebiolo, entrò in Consiglio federale e vi rimase fino alla conclusiva parabola nel gennaio 1989. In quella Assemblea del 1962 fu anche eletto delegato al Congresso nazionale, che si tenne a Reggio Calabria. Insieme a lui, pure delegato, una delle figure di riferimento dell’atletica siciliana: Ugo Politti, marciatore, giudice di partenza «dal sacerdotale gesto», abbiamo letto, infaticabile compilatore di liste e primati della sua regione, collaboratore del giornale “La Sicilia”. Ferrito aveva sposato una sua atleta, Irene Giusino, esuberante lanciatrice di disco (nelle liste italiane 1961 fu terza dopo Elivia Ricci e Paola Paternoster). Lui è mancato nel marzo 2004, lei, dopo una vita non sempre lineare, nel dicembre 2017, ma si è saputo del suo decesso solo alcuni mesi dopo, altra stranezza.

Antonio Davì, per tutti «Nino», Giuseppe «Pino» Davì. Due fratelli, due marciatori, giornalista il primo, ingegnere il secondo. Hanno fatto parte della vicenda agonistica sicula per un paio di decenni, forse più. Nino fu un volto notissimo in Trinacria, grazie al Telegiornale Rai regionale, dove egli entrò negli anni Settanta, dopo aver lavorato alla redazione del “Giornale di Sicilia”. Di lui si conoscono gli inizi come marciatore nel 1953. Noi lo abbiamo trovato in diverse liste (pubblicate sulla rivista federale oppure nei preziosi libricini di Bruno Bonomelli): a fine 1955, 50’39”4 (Milano, 30 settembre, ottavo ai Campionati nazionali assoluti, numero 14 in Italia) nel 1956 con il tempo di 50’47”, ottenuto ad Ancona il 15 settembre, sempre accasato al C.U.S. Palermo.

Pino Davì. Il suo nome compare nell’elenco dei corrispondenti regionali del foglio federale (numero 27, 16 settembre 1961, pagina 2). Altri che abbiamo trovato in un elenco posteriore: da Rovereto l’indimenticabile Ezio Tomasi; da Livorno, Renato Carnevali, poi per molti anni tecnico dei lanci; da Pescara un nome incancellabile, quello di Gianfranco Colasante. Sul numero successivo a quello segnalato, troviamo la firma di Pino sul resoconto dei Campionati siciliani, al «Cibali» di Catania. Ma il colpaccio lo mette a segno quando, il 7 e 8 ottobre, Giovanni Guabello, direttore di «Atletica», gli affida il servizio sull’incontro Italia-Polonia a Palermo. Titolo in prima su tutte e cinque le colonne, e ugual trattamento in quarta. Una vera e propria articolessa, scritta bene e molto circostanziata per ogni prova, cosa che spesso mancava. Poca gloria per gli azzurri, strapazzati per 127 a 80. Altro «pezzo» sul numero del 1° novembre, da Foggia, per riferire del Gran Premio del Sud; poi qualche giorno dopo, da Reggio Calabria, è costretto ad autocitarsi in quanto secondo dietro al celerino Dante D’Ascola nel Gran Premio dell’Ora di marcia. Per alcuni chilometri si tenne gomito a gomito con Gianni Corsaro, altro catanese, che aveva iniziato la carriera a Catania nel primo Campionato italiano di maratonina di marcia nel 1946. Marcia anche lui e piuttosto bene: a fine 1961 fu 20esimo in Italia con il tempo di 49’34”2. Collezionerà dieci titoli di campione siciliano, fu nazionale juniores nel 1960, chiuse la carriera con un buon 48’34”. Il giorno della visita di Dordoni a Palermo, Nino a fare gli onori di casa con il presidenre regionale, e Pino fra i giovani atleti da visionare. Noterelle senza nessuna pretesa di completezza.

Ultimo aggiornamento Giovedì 17 Novembre 2022 09:48
 
Trekkenfild numero 112, quasi monografico: la parola ai tecnici della corsa lunga PDF Stampa E-mail
Lunedì 07 Novembre 2022 09:14

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Massimo Magnani, Giorgio Rondelli, Renato Canova, Stefano Baldini parlano di maratona e di fondo. Sicuramente hanno da dire qualcosa di nuovo...Poi c'è un ritratto di Fabio Pasqualato, un trentino proveniente dalle file della Quercia Rovereto...Era atletica Carlo Giordani che scavalcava ostacoli, il quale, Fabio, da più di vent'anni vive a Kampala, in Uganda, e si dedica a «scoprire» talenti per la corsa, operazione difficilissima e mai tentata prima da nessuno in Italia, dove abbiamo avuto, e abbiamo, tantissimi emuli di Lanzarotto Malocello navigatore, i nostri hanno navigato alla scoperta della capacità aerobica dei popoli africani. Postilla personalissima: speriamo che in Uganda (dove operano anche altri «talent scout» italiani oltre a Fabio, tutti bravissimi, per carità) non facciano la fine che sta facendo il Kenya...ormai siamo a più di sessanta beccati positivi al doping solo negli ultimi due-tre anni, e tutti ovviamente maratoneti, men and women, mezzimaratoneti, montagnini, arrampicatori di trail, ecc ecc, secondo l'affollato mondo della corsa di ogni tipo e ad ogni costo. Ci permettiamo di suggerire un bel servizione su 'sta storia dei keniani, perchè ci è venuto il dubbio che la strapotenza dei Nandi e altra decina di tribù nella corsa non sia dovuta esclusivamente all'aria salubre dei 2400 metri della incantevole Rift Valley. Come ci fece riflettere una considerazione di un giornalista (preparato e intelligente) almeno una quindicina di anni fa: ma tu sei sicuro - disse al suo interlocutore - che quella keniota è proprio tutta farina genuina?

Un po' di cross, qualche notizia extra, e il numero 112 è fatto. Come concludono ormai tutti, la parola d'ordine è «buona lettura».

Ultimo aggiornamento Lunedì 07 Novembre 2022 12:43
 
Mondiali Militari 1951: storia di un corazziere che amava molto la pastasciutta PDF Stampa E-mail
Mercoledì 02 Novembre 2022 00:00

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Questa fotografia fu scattata a Brescia il 1° novembre del 1949. In quella data si disputò una riunione internazionale organizzata da Sandro Calvesi. Beppone Tosi svetta su tutti con la sua stazza, sotto di lui Consolini, il quale vinse con un bel tiro di 53,70 (ventitreesima gara della stagione), Tosi fu secondo con 51,78 (ventiquattresima gara dell'anno per lui). Venivano da una competizione a Valdagno e, il 4 novembre, avrebbero gareggiato a Bergamo: sempre primo Dolfo e secondo Beppone. Si riconoscono anche la campionessa olimpica (quattro ori l'anno prima a Londra) Fanny Blankers-Koen (sulla sinistra, un po' piegata) e, davanti a lei, Gabre Gabric, con un nastro bianco nei capelli. La ragazza con folta capigliatura, ultima dietro al gruppo è la bresciana Marisa Rossi, che quel giorno stabilì il primato personale e provinciale con 12"1 sugli 80 metri ad ostacoli


Ritroviamo attraverso le tante storie che vorremmo raccontarvi il sentiero che era partito dai Campionati Internazionali Militari dell'anno 1951, rassegna degli atleti che, a diverso titolo, erano considerati «stellati», i quali avevano esibito la loro bravura allo stadio romano delle Terme, l'unico che allora funzionava nella Capitale. Ci siamo occupati nelle settimane passate di due vincitori italiani in quella occasione: il velocista calabrese Gesualdo Penna e il martellista reggiano Ruggero Castagnetti, con l'aggiunta del modenese Silvano Giovanetti, secondo nella gara inventata dai forzuti fabbri irlandesi. Ce ne restano due: il discobolo Giuseppe Tosi e l'astista Giulio Chiesa, che pure vinsero il titolo mondiale militare. Iniziamo con «Beppone», l'omone formato Obelix che resta sempre una delle più belle figure della storia dell'atletica italiana, per carriera sportiva ma soprattutto per umanità e simpatia. Un giornalista che lo intervistò per la rivista «Corriere Militare» raccontò, dopo averlo visto mangiare, che "mangiava razioni di pasta inverosimili". Fra poco ci, e vi, affideremo a quanto scrisse il nostro socio fondatore Marco Martini, in un libro dedicato alle figure dei due Dioscuri del lancio del disco, Consolini e Tosi: «I campioni della simpatia», mai titolo fu più azzeccato. Il più estroverso dei due sicuramente il novarese di Borgo Ticino dove nacque il 25 maggio 1916. Un gran pezzo d'uomo Beppone: 120 chilogrammi distribuiti su 1,92 d'alterzza, un torace da 120 centimetri, scarpe numero 48. La storia cha andiamo a raccontarvi è una parte sicuramente meno conosciuta di Tosi: atleta negli stadi di atletica, corazziere nella vita. Detto questo lasciamo scivolare fluenti le parole di Martini.

L’aspirante corazziere

"Estroverso, aveva bisogno di comunicare, e in una delle tante sere trascorse all'osteria con gli amici davanti a un buon bicchiere di Grignolino, esternò i suoi sogni di lasciare il borgo natio; udì tutto un conoscente «particolare». Questi era un corazziere in pensione, tornato a Borgo Ticino a coltivare la terra. Il pensionato gli consigliò di fare domanda per svolgere il servizio militare nei Carabinieri, e che da quel trampolino di lancio poi, grazie al suo fisicaccio, sarebbe potuto passare nello squadrone dei Carabinieri a cavallo deputati a fare speciale guardia al Re: i Corazzieri. Seguì il consiglio e dopo un po’ fu chiamato a Torino per la visita medica che superò, venendo poi chiamato a iniziare la sua vita di allievo carabiniere esattamente il 1° aprile 1935. Svolto l’apprendistato da recluta, Giuseppe venne poi trasferito a Roma allo squadrone dei Carabinieri a cavallo, sito in via Legnano. Non trascorse molto tempo che, nel maggio del 1936, riuscì a coronare il suo sogno con il trasferimento nella caserma dei Corazzieri, in via XX Settembre; qui pensò inizialmente solo a fare il suo dovere, e nel 1937, terminato il periodo da allievo, divenne ufficialmente un corazziere.

“(…) sulle prime Giuseppe si dedicò a scherma e pallacanestro…fu notato dal maresciallo Angelo Bovi, fratello di quel Carlo che avviò al disco Consolini…Bovi chiese di poter reclutare Tosi nella squadra di basket della S.S. Parioli…e così il futuro grande discobolo vestì la maglia azzurra di quella società nel team di pallacanestro.

L’allenatore della squadra di atletica della Parioli, Renato Magini, si accorse delle potenzialità di lanciatore di quel ragazzone…e insistette per poterlo avere a disposizione sui campi di atletica. Lo avviò al getto del peso. Tosi fece il suo esordio agonistico il 29 aprile 1939…Magini lo avviò anche al lancio del martello (prima gara l’11 giugno) ma non al disco, specialità in cui Tosi scese in pedana solo per esigenze di squadra…”. Tirò due volte: il 30 luglio a Roma (38.42) e il 20 agosto a Pisa (38.12), sempre per il Campionato a squadre della Gioventù Italiana del Littorio. Magini rimarrà la guida di Giuseppe per tutta la carriera, con le «incursioni tecniche» di Oberweger, ovviamente. “Sui due grandi campioni (Consolini e Tosi, n.d.r.) ha aleggiato sempre, sia da rivale quando ancora gareggiava, sia da commissario tecnico della Nazionale, sempre disponibile a sostenerli e aiutarli, la figura poliedrica di Giorgio Oberweger…”, scrisse Martini.

 

Il corazziere

Il quale Martini titolò proprio così l’ultima parte della biografia di Tosi sul libro «I campioni della simpatia».

C’è un capitolo della carriera agonistica di Tosi che è completamente separato dalla vicenda comune vissuta insieme al discobolo di Costermano, ed è quello che riguarda le competizioni militari. Due furono le facce di questa esperienza vissuta da Peppone. Una riguarda l’aspetto interno al Corpo dei Corazzieri, con le partite di basket, pallavolo, le gare a squadre di palla a sfratto, gli inizi e gli allenamenti da lanciatore condivisi con altri atleti-corazzieri…L’altra faccia riguarda le competizioni militari internazionali, che fiorirono come mai prima nel dopo-guerra, svolgendo un ruolo assai importante nell’ambito della ripresa di pacifiche relazioni internazionali dopo il conflitto mondiale. Tutto ebbe inizio grazie alle autorità militari statunitensi che nel 1944, sia per concedere un po’ di svago a ragazzi rimasti per lunghi mesi sotto pressione, sia per amalgamare meglio truppe assai eterogenee quali quelle alleate, organizzarono tornei sportivi interni ai vari contingenti che si concludevano poi con campionati interforze. Nel 1944 i Giochi Interalleati, per quanto riguarda l’atletica si disputarono il 15 e 16 luglio a Roma, e nel 1945 il 26 agosto a Francoforte sul Meno. Mentre la manifestazione del 1944 si svolse a livello puramente individuale, quella del 1945 fu trasformata in scontro tra due blocchi dell’intera presenza alleata in Africa ed Europa, che furano denominati European Theater of Operations (ETO) e Mediterranean Theater of Operations (MTO). Come sempre quando si prova a sconfiggere un avversario, si tentano tutte le vie. L’orgoglio di squadra del gruppo meridionale (MTO) dell’intero scacchiere, per rinforzarsi reclutò il miglior milite italiano, Tosi. I due schieramenti si fronteggiarono con tre atleti contro tre per ogni singola gara, e Tosi vinse con 48,51 sconfiggendo i cinque avversari. Beppone fu prelevato a Roma da un aereo militare e accompagnato a Francoforte dall’allenatore in capo della squadra di atletica MTO, Richard Bahme. In una intervista rilasciata in età avanzata, il velocista-ostacolista Harrison Dillard, che prese anche lui parte ai Giochi Interalleati del 1945 si ricordava ancora chec’era pure un discobolo italiano, grande e grosso, che credo fosse il primatista del mondo”. Non lo era, ma fa lo stesso: era grande e grosso.

Il successo dell’esperienza sportiva interalleata post-bellica fornì l’idea per il varo di un organismo sportivo militare duraturo, e non solo temporaneo. Sotto l’egida del Consiglio Sportivo delle Forze Alleate, sorto nel maggio del 1946, nel 1946-47 furono organizzate alcune manifestazioni internazionali militari con la partecipazione anche di rappresentanti di nazioni dell’Europa comunista, ma poi i nascenti problemi politici li indussero a farsi da parte, e il CSFA cessò di vivere. Più tardi però, cogliendo l’opportunità giunta durante gare di schermidori con le stellette, cinque sole nazione europee (Belgio, Danimarca, Francia, Lussemburgo, Olanda) presero il coraggio a quattro mani e fondarono a Nizza il Conseil International du Sport Militaire (CISM). Era il 18 febbraio 1948, e il 4 settembre dello stesso anno, a Bruxelles, si disputò la prima edizione dei Campionati CISM di atletica leggera.

La prima intenzione delle alte sfere di questo organismo, con il fine di estendere quanto più possibile pacifiche relazioni nell’intero pianeta, fu quella di coinvolgere altre nazioni. A questo scopo ai Campionati CISM di atletica leggera, pur non essendo l’Italia ancora membro del CISM, fu invitato un atleta italiano (accompagnato da dirigenti con cui iniziarono trattative). La scelta cadde ancora una volta su Tosi. Nel 1950 i Paesi membri erano già dieci (Belgio, Danimarca, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Italia, Lussemburgo, Olanda, Svezia, Turchia), e nel 1951 fecero il loro ingresso, tra gli altri, anche gli Stati Uniti. Peppone fu un fedelissimo di questa manifestazione, a cui teneva moltissimo, e fino a quando gareggiò non mancò mai all’appuntamento (dal 1949 al 1954), vincendo sempre con margini di vantaggio vistosi, come mostra lo specchietto riassuntivo:

1949 Bordeaux, FRA primo 51,97
1950 Pau, FRA primo 51,21
1951 Roma, ITA primo 49,83
1952 Copenhagen, DEN primo 49,82
1953 Bruxelles, BEL primo 49,76
1954 Tilburg, NED primo 51,17

Lasciamo il testo di Martini e aggiungiamo qualche nota relativa all'anno 1951. La gara dei mondiali militari ebbe questo risultato: Tosi 49,83 (altra fonte 49,88), Savidge (Inghilterra) 43,36, Burton (Stati Uniti) 43,14, Fikkert (Paesi Bassi) 42,32, Kitziger (Belgio) 41,56, Turan 40,90. Nettissima la supremazia del nostro, come si vede. Pochissimi giorni dopo il successo militare, egli si aggiudicò, a Milano, il quinto (e ultimo) titolo nazionale: 50,27 per lui, 50,08 per Consolini. A questi due successi vanno aggiunti il titolo di campione inglese, in luglio a Londra con il suo miglior risultato dell'anno, 53,58, e la vittoria, ad Alessandria d'Egitto, il 9 agosto, nella prima edizione (ufficiale) dei Giochi del Mediterraneo, che dominò con un normale 48,49, davanti al greco Nykolaos Syllas. Una nota su questo greco (1.76 di statura!): sesto ai Giochi Olimpici 1936, settimo a quelli di Londra 1948, nono a quelli di Helsinki 1952, subito dietro Tosi, ottavo, per quattro centimetri.

Ultimo aggiornamento Lunedì 07 Novembre 2022 18:00
 
Gesualdo Penna, poderoso centista, futuro medico: uno scritto di Bruno Bonomelli PDF Stampa E-mail
Lunedì 24 Ottobre 2022 08:19

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Giurin-giurello, sappiate che non abbiamo copiato il titolo da un articolo di Bruno Bonomelli del 1949 sul velocista calabrese Gesualdo Penna, di cui abbiamo scritto qualcosa recentemente, titolando «Mastro Don Gesualdo…ecc ecc». Confessiamo però che, peccando di scarsa fantasia, ci è venuto di riflesso chiamare l’atleta con riferimento al suo nome di battesimo come il protagonista del famoso romanzo di Giovanni Verga. Il suo Gesualdo di cognome faceva Motta. Noi siamo stati un po’ banali, lo ammettiamo. Pazienza, non vinceremo il Nobel della letteratura, d’altra parte neppure lo scrittore siciliano lo vinse. Facciamocene una ragione.

La invalsa abitudine di sfogliare vecchie carte per cercare di dare un senso a questo sito ci ha fatto inciampare in un ritaglio di giornale con questo titolo «Don Gesualdo laureando in medicina poderoso centista in continuo progresso». Soggetto dell’articolo il velocista di Reggio Calabria, autore quel tal Bruno Bonomelli cui noi ci ispiriamo, giornale «Sport Italia» numero 28 del 12 luglio 1949. Lo riproduciamo tal quale, apprezzando la verve dell’autore che scriveva chiaro, lineare e con un tocco di ironia. Aggiungiamo solo a proposito della misurazione del vento cui fa cenno Bonomelli che di nefandezze su questo tema, in atletica, ne sono state commesse tante, troppe, in tutte le epoche. Anche oggi che pare tutto supertecnologico.

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Con la facile vittoria conquistata dagli azzurri a Zurigo (non dimenticando che la Svizzera ha una popolazione inferiore alla Lombardia) possiamo considerare chiuso il primo periodo di attività atletica in Italia. Logico quindi che si esaminino ora i risultati che ne sono scaturiti per trarre qualche prima conclusione.

“Nella velocità è apparso quest’anno sull’orizzonte atletico il calabrese Gesualdo Penna, laureando in medicina. Già in aprile egli era stato accreditato di un 10”9, che però aveva lasciato molto scettici. Non che egli fosse uno sconosciuto, ché nel 1948 il futuro medico aveva già corso la distanza nello stesso tempo; ma gli è che nel settore delle corse di scatto le meteore sono assai frequenti. Si sapeva poi che Don Gesualdo, come viene scherzosamente chiamato dagli amici, non era costante nella preparazione, tanto è vero che avendo iniziato a correre nel 1942, aveva poi abbandonato lo sport, facendo una timida riapparizione nel 1947 (11”4). Si attendeva dunque una conferma: essa venne e a Firenze lo studente reggino si fregiava non solo del titolo universitario, ma altresì faceva fermare le lancette del cronometro sul 10”7. I tecnici tentennarono, e pretesero una nuova prova e questa volta in quella Milano che ha fama di avere mossieri e cronometristi cattivissimi. E sull’Arena il 12 giugno si appuntarono gli occhi di tutti.

“Nuovo sbalordimento generale: gli inesorabili sentenziarono 10”5. Ma c’era il vento, si disse, e non si tennero in gran conto le sette partenze false ed il fatto he fra i battuti, ed al terzo posto per giunta, c’era quel Perucconi che dopotutto ha un primato personale di 10”6 ed è più giovane di un anno (Penna è nato a Reggio Calabria il 2-5-1924).

“A proposito poi del vento, ci sia dato osservare che non riusciamo a capire il perché in Italia i tempi delle corse in rettilineo non siano suffragati dal bollettino sulla velocità vento, così come prescrive il regolamento internazionale. Se putacaso Penna avesse corso la distanza in 10”4, come si sarebbe potuto non omologare l’uguagliamento del primato di Mariani senza dimostrare che il vento aveva una velocità superiore ai km 7,200 orari? Bagnando forse l’indice colla saliva?

“Ma Penna non ascolta queste disquisizioni e a Bologna vince le prove veloci del campionato di II Serie (22”0-10”9). La via della nazionale gli si spalanca. Fa una corsettina a Messina, sostiene un paio di esami, ed una settimana dopo a Zurigo non si impressiona, lui laureando, di essere ridiventato matricola internazionale e si digerisce anche Montanari. Il nuovo asso ha una costituzione fisica poderosa (altezza m.1,77, peso kg 68, torace medio cm. 96) ed una potenza veramente esplosiva. Ma le sue attuali partenze non sono che un vorticoso mulinello di braccia e di gambe slanciate in tutte le direzioni, condite da zaffate di terra e di polvere rossa. Occorre quindi che la sua partenza venga disciplinata da precise norme stilistiche e questo è il compito che si assunto Oberweger e che verrà certamente portato a termine negli allenamenti collegiali a Perugia. Vedrete che a fine agosto ed ai primi di settembre, quando egli incontrerà gli americani a Torino, il primato di Mariani subirà un rude assalto. Anche se i maligni dicono che Gesualdo ha le gambe storte”.

Ultimo aggiornamento Lunedì 24 Ottobre 2022 19:42
 
Ai tempi del Brambilla e del Poggioli, quando cominciavano a volare i primi martelli PDF Stampa E-mail
Venerdì 21 Ottobre 2022 00:00

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A destra: siamo ai Giochi Olimpici di Amsterdam 1928; posano il vincitore del lancio del martello, l'irlandese emigrato negli Stati Uniti Pat O'Callaghan, giocatore di rugby che aveva scoperto l'atletica da pochi mesi, e il tarchiato modenese Armando Poggioli, quarto a meno di settanta centimetri dal terzo. A fianco, un disegno scozzese di epoca vittoriana, che riproduce probabilmente un eroe della saga dei Fenians che lancia il martello da fabbro durante una festa popolare. Si noti la testa dell'attrezzo di forma sferica

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Qualche giorno fa abbiamo cercato di intrattenervi sulle storie personali di due atleti che hanno avuto un ruolo nella narrazione del lancio del martello nel nostro Paese. Bella specialità fatta di forza, agilità, equilibrio, esercizio per uomini forti ma non solo forti, ma di grande coordinazione muscolare. Una delle prove dell’atletica leggera che affonda le sue origini in terre come l’Irlanda, le varie Nazioni inglesi, i Paesi nordici, dove si praticava con altri esercizi di forza (il lancio della pietra o del tronco d’albero) durante le feste popolari. Chiunque abbia sfogliato qualche libro di storia non può aver scordato il frequente dipinto che ritrae il barbuto e forzuto re Enrico VIII d’Inghilterra nell’atto di gettare uno strano artefatto formato da un manico sormontato da una palla di ferro. Era un antenato del martello che si sarebbe poi lanciato sui campi sportivi ed è arrivato, rivisto ed aggiornato, fino ai giorni nostri. Un cammino non facile, perché è un esercizio che non è andato mai a genio ai padroni del vapore sportivo. Spesso si è cercato di farlo fuori, con la scusa, non del tutto infondata, che è pericoloso, altre volte lo si è relegato fuori dallo stadio principale per salvaguardare il sacro manto erboso; ultimamente questo manto tende sempre più ad essere sintetico, e così, secondo noi, il lancio del martello verrà bandito per sempre dagli stadi principali. Noi proponiamo di far lanciare il martello all’interno degli edifici degli assessorati allo Sport, e anche all’interno degli eleganti uffici che ospitano tante inutili strutture sportive. Terroristi? Forse. Dimenticavamo: con la scusa della protezione, c’è anche chi ha fatto dei begli affari costruendo delle vere e proprie cattedrali attorno alla pedana del lancio, imponendole in tutti gli stadi per poter concedere l’omologazione.

Torniamo a casa nostra. Mentre ci occupavamo di Silvano Giovanetti (sì, amici premurosi che volevate farci le pulci: Giovanetti, una sola «enne» non due) ci siamo imbattuti in uno scritto di tal Bruno Bonomelli, maestro elementare bresciano (che è il titolo cui teneva di più), nel quale ci raccontava una bella favola, del tipo «c’erano una volta in un Paese chiamato Italia degli uomini grandi e grossi che lanciavano una strana cosa chiamata martello…». Su una pubblicazione di quei tempi – 1958 – si chiamava «Sport Italia» e veniva stampata dalla società SISAL, quella del Totocalcio, l’orco Bonomelli si era conquistato un grande spazio per parlare di atletica. Incredibile ma vero: sulla rivista del calcio che attraverso il concorso Totocalcio sosteneva tutto lo sport italiano e dava anche una bella fetta di quattrini al nostro vorace Stato. Alla fine di ogni stagione atletica, Bonomelli stendeva i bilanci dell’atletica leggera italiana, disciplina per disciplina, corredando la parte scritta con grafici, analisi statistiche, ecco, appunto, queste erano statistiche non compilazioni.

Il 24 giugno 1958 su «Sport Italia» apparve il bilancio del lancio del martello. In questa occasione, oltre alle liste e ai grafici, Bonomelli raccontò aneddoti e personaggi. Riproduciamo il testo.

«Quei pochi che in Italia si occupavano anteguerra (n.d.r. della Prima guerra mondiale) di atletismo, conoscevano il lancio del martello dai risultati ottenuti all’estero che ogni tanto si leggevano sulle gazzette sportive, e fra quei pochi ve n’era qualcuno che lo conosceva per averlo visto alle Olimpiadi di Londra e di Stoccolma. Nessuno però credette che fosse un esercizio che potesse appassionare i nostri atleti; anzi sembrò ai più una branca dell’atletismo di un esotismo tale che non avrebbe mai trovato fra noi i cultori».

Così scrive Emilio Brambilla in quel volume edito da Corticelli e pubblicato a Milano nel 1929 e che noi abbiamo già citato varie volte. Quando però il lettore avrà dato uno sguardo alla cronologia ufficiosa del primato del mondo non potrà non accorgersi che invece il lancio del martello è il padre di tutti i lanci moderni. Nel 1860 si disputavano infatti competizioni e con un regolamento che non si discosta di molto da quello odierno.

Nel 1891 il lanciatore venne fatto prigioniero di un circolo del diametro di 7 piedi; fermo restando i due principi: a) peso dell’attrezzo non minore di 16 libbre; b) lunghezza totale dell’attrezzo (palla più filo) non superiore a 4 piedi.

Ed eccoci al 1920. Emilio Brambilla, allora membro della F.I.S.A., pensò di inserire nei campionati nazionali il lancio del martello. Non trovò però nei colleghi né entusiasmo né consensi. Cosicché egli, per poter realizzare la propria idea, dovette non solo pensare a trovare l’attrezzo – il che era allora assai difficile – ma dovette provvedere anche alla dotazione dei premi. La gara ebbe luogo sul campo dello Sport Club Italia, alla Baggina, e venne vinta da Berardi, vecchio e noto ginnasta della Fortitudo di Bologna, che lanciò l’attrezzo come Dio volle, precedendo altri tre atleti. Fu quella di Berardi la prima misura che si iscrive nell’albo d’oro dei primati italiani. Oggi il Berardi è Presidente dell’Automobile Club di Bologna”.

Nella graduatoria di fine anno 1920 oltre ai cinque del Campionato italiano della Federazione Sport Atletici compare il nome di Armando Poggioli, di cui vi abbiamo già detto qualcosa, il quale, congedato, riprese l’attività sportiva e si impegnò soprattutto nel martello. Forse avremo occasione di riparlarne.

Ultimo aggiornamento Venerdì 21 Ottobre 2022 19:57
 
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