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Albano e Ferruccio Albanese, “eredi” del ginnasiarca Gregorio Draghicchio (1) PDF Print E-mail
Saturday, 05 December 2020 12:26

Se pensavate di esservi liberati di Alberto Zanetti Lorenzetti, allora vi siete sbagliati. Dopo le belle storie personali della famiglia Legat, di Augusto, o Auguste alla francese, Maccario e dell'estroverso marciatore Donato Pavesi, eccolo scavare le vite di padre e figlio, Ferruccio e Albano Albanese, prodotti di quello sport giuliano-dalmata in cui l'amico Alberto è ormai solidamente ferrato dopo ricerche oltre che ventennali e la pubblicazione di due fondamentali lavori storici sullo sport di quelle terre. Liberarci di lui? Il cielo ci fulmini, ne avessimo, non tanti, altri cinque o sei come lui mangeremmo gli gnocchi in testa a tutte le paludate e professorali congreghe cultural-sportive. Noi abbiamo Alberto, teniamocelo stretto. E intanto leggiamo la prima parte (saranno due in tutto) di questo suo nuovo scritto sulla famigliola Albanese, di Parenzo, che ha lasciato orme pesanti nello sport italico.

Rassegna fotografica. Nelle prime due immagini Albano impegnato nelle sue specialità preferite:110 ostacoli e salto in alto. In basso a sinistra, con la maglia nella Nazionale in occasione dell'incontro Italia-Svizzera a Firenze il 4 luglio 1948. Nell'ultima a colori, Albano e Marcella Skabar nel 2003 a Trieste durante un convegno organizzato nella sede della Associazione Atleti Azzurri d'Italia: in primo piano la piccola maglia confezionata dalla madre di Albano in onore del ginnasiarca Gregorio Draghicchio

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Albano Albanese è stato uno dei principali personaggi dell’atletica giuliano-dalmata che visse il dramma dell’esodo. Era nato a Parenzo il 20 dicembre 1921 e rivelò le sue doti atletiche fra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta proponendosi come un’ottima promessa del vivaio istriano (assieme a Egidio Pribetti di Pola, Ovidio Bernes di Visignano e ai gemelli Pellarini di Capodistria) approdando a guerra finita alla «Giovinezza» di Trieste dove ebbe modo di affinarsi nelle gare in pista e nei concorsi. Eccelleva nei 110 ostacoli e nell’alto, specialità che gli portarono 11 titoli italiani (nove nelle barriere alte e due nel salto in alto), 14 maglie azzurre fra il 1947 e il 1954 e un quarto posto agli Europei di Bruxelles dove, nella gara ad ostacoli, mancò per un solo decimo il bronzo. Vinse ai Giochi internazionali universitari disputati a Parigi nel 1947, edizione che fu caratterizzata da violente polemiche che portarono ad un incidente diplomatico per l’annunciata presenza di atleti della Federazione universitaria triestina, una organizzazione facente capo all’UCEF, allora definito il “CONI jugoslavo di Trieste”. Il tutto si risolse grazie all’intervento dell’ambasciata italiana che ottenne il ritiro della delegazione filo-titina.

Ho conosciuto Albano in una giornata di caldo da record nel giugno 2003 a un convegno organizzato a Trieste dalla locale Associazione nazionale atleti azzurri d’Italia, diretta per 32 anni dalla giavellottista Marcella Skabar (sei presenze in Nazionale fra il 1957 e il 1962), ed al quale erano presenti anche la “penna” storica del canottaggio italiano Ferruccio Calegari ed esponenti del mondo sportivo e giornalistico giuliano. Non potevamo non parlare di Brescia, dove aveva vissuto – provenendo dalla «Giovinezza Sportiva» di Trieste – una breve ma intensa stagione, quella del 1950, ricordando che con Armando Filiput  la neonata società di Sandro Calvesi (Atletica Brescia1950, di cui abbiamo ricordato i settant'anni di vita proprio pochi giorni fa) presentava il meglio dell’ostacolismo nazionale, accennando poi alla doppietta ai Campionati nazionali – dove si era aggiudicato il titolo dei 110 ostacoli e del salto in alto – e l’amarezza della «medaglia di legno» (chiamano così il quarto posto) ai Campionati d’Europa, disputati nello stadio Heysel di Bruxelles, dove erano presenti due storici e statistici che hanno ispirato il nostro coinvolgimento in atletica, Roberto Quercetani e Bruno Bonomelli. A fine stagione Albano avrebbe ceduto al richiamo delle sirene di Gallarate, che già avevano ammaliato Tonino Siddi e che avrebbero accalappiato poco dopo anche Filiput, creando un club di enorme capacità agonistica.

Di carattere molto estroverso, con una abbronzatura che metteva ancora più in evidenza la vitiligine della pelle, spesso era protagonista di vicende che davano sfogo alla sua esuberanza. Soffriva di reumatismi che curava uscendo in mare con l’imbarcazione dell’amico fraterno Ottavio Missoni (che nella pesca – a detta di Albano – era meno bravo della moglie Rosita), indossando una muta per fare immersioni che definiva di gran beneficio. Ci hanno raccontato di sue incursioni a seriose riunioni con alla mano razioni di fritto misto di mare.

Ma torniamo al nostro convegno. In quell’occasione non arrivò con materiale commestibile, ma con un cimelio che Marcella avrebbe più che volentieri esposto nella sua mostra permanente allestita nello stadio Nereo Rocco: una microscopica maglietta confezionata per lui dalla mamma con ricamata la scritta “G. Draghicchio – Parenzo”. Il nome fa riferimento al parentino Gregorio Draghicchio, il ginnasiarca, cioè uno dei padri della ginnastica non solo triestina, ma addirittura italiana che fu eccellente istruttore, divulgatore di tecnica, risultati e statistiche attraverso pubblicazioni, e colonna della ginnastica dai sentimenti irredentistici che lo portarono ad assaggiare le imperial-regie galere. Il prof. Gregorio aveva lasciato anche un gran bel ricordo a Milano dove era andato a insegnare ai ragazzi dalla canotta blu della Pro Patria, quelli che si presentavano al grido di “zan zan le belle rane”, motto di battaglia ripreso anche da Enzo Jannacci in una delle sue inconfondibili canzoni comico-surreali.

Draghicchio lasciò Milano poco tempo dopo l’attentato a Umberto I al Concorso ginnastico di Monza (aveva avuto un colloquio con il sovrano qualche attimo prima che Bresci riuscisse nell’intento regicida), tornando nella sua Parenzo dove trasformò il sodalizio di canottaggio “Adriaco” nella “Forza e Valore”, vera e propria società di ginnastica. Morì improvvisamente a soli 51 anni. Atleti e dirigenti vollero che il suo nome fosse aggiunto a quello del sodalizio che divenne “S.G. Forza e Valore Draghicchio”, evento che ci riporta alla piccola maglietta.

Sono passati ormai dieci anni da quando, il 5 dicembre 2010, Albano ci ha lasciato.

(segue)

Last Updated on Wednesday, 16 December 2020 20:32
 
I 1000 della «Sinfonia dei 1000» di Enzo Rossi: un ricordo di Gianfranco Carabelli PDF Print E-mail
Wednesday, 02 December 2020 14:46

Ci fa davvero piacere pubblicare un contributo del Maestro dello Sport Gianfranco Carabelli, con il quale si ricorda Enzo Rossi scomparso qualche giorno fa. Gianfranco, che è nostro socio, ha speso tutta la sua vita professionale nell'ambito del C.O.N.I. e di varie Federazioni; soprattutto è stato tenace assertore della ricerca applicata allo sport, tanto all'interno dell'atletica quanto in ambito del Comitato olimpico nazionale. Ricordiamo che fu anche Segretario Generale della Federatletica. Il titolo che accompagna questo scritto può sembrare sibillino, ma trova una chiara spiegazione nell'articolo di Gianfranco. Cui va il nostro ringraziamento.

Nella foto: un sorridente Enzo Rossi, che sfoggia la sua tipica zazzera capelluta, insieme a Pietro Mennea. Desideriamo ringraziare l' archivio fotografico della rivista «Atletica Leggera» (1959 - 2001) che ci ha messo a disposizione questa ed altre foto, e l'amico Daniele Perboni che ha fatto da tramite a Vigevano

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Con larga approssimazione, per difetto, questi (quelli citati nel titolo, n.d.r.) erani i numeri su cui lavorava Enzo Rossi prima di assumere l'incarico di Direttore tecnico della Federazione di atletica leggera e per il quale viene, giustamente, ricordato dagli atleti e dai tecnici con i quali ha avuto rapporti diretti.
Ma c’è stato anche un "altro" Enzo Rossi, meno “diretto”, capace di ideare e gestire programmi oggi quasi impensabili e che, a mio avviso, dovrebbe essere ricordato e, se ancora possibile, preso in seria considerazione. Non mi riferisco né ai progetti né ai programmi (quelli sono già nei cassetti) ma alla capacità di gestione e di realizzazione degli stessi. E qui dobbiamo rendere merito a Enzo Rossi, quando era responsabile dell’Attività giovanile e dell’Attività tecnica dei Comitati Regionali - fino ad allora pressoché negletta - di avere dato il meglio di se stesso come «dirigente a tavolino», che per lui, comunque, significava stare continuamente con il telefono in mano oppure girare in lungo e in largo per l’Italia a contatto con tecnici, atleti, dirigenti periferici e di club, Comitati, etc.
In breve: prima di tutto ha imposto che ogni Comitato regionale, con il contributo del Settore tecnico nazionale, organizzasse annualmente un corso per Assistenti Tecnici, articolato su nove fine settimana, uno per ogni gruppo di specialità, preceduto da lezioni di base di fisiologia e di psicopedagogia applicate all’ atletica leggera. Significava ben 21 corsi all’anno da svolgersi nel cosiddetto periodo invernale, corsi per 10/12 docenti con una media di circa 30 partecipanti. Fatti i conti, siamo al primo numero 1000 dedicato alla formazione o, più in generale, alla cultura sportiva che ha anche prodotto le prime dispense, curate per la prima volta dai Capi settori nazionali corredate dei primi supporti audiovisivi. Siamo agli inizi degli anni ‘70, con i limiti di allora in termini di risorse umane, finanziarie e tecnologiche.
Il secondo numero 1000, ma più verso i 1200, è costituito dagli atleti partecipanti ai Centri estivi, che duravano 15 giorni, sparsi in tutta Italia, ai quali bisogna aggiungere decine di tecnici, oltre agli organizzatori e i medici coinvolti. In questa iniziativa Enzo avvalse del contributo competente e decisivo dell'indimenticabile ‘’rettore‘’ dei Centri estivi del ministero della Pubblica Istruzione, prof. Fernando Ponzoni, della Fratellanza Modena (*). 
Il terzo numero 1000 riguarda il numero di atleti seguiti attraverso i Centri Regionali di Specializzazione, affidati alla direzione dei Fiduciari tecnici regionali -- Carlo Venini, allora Fiduciario tecnico della Lombardia, ne era il più convinto sostenitore -- ciascuno dei quali per l’ attività sul campo e in aula poteva contare sulla collaborazione di una decina di tecnici specialisti. I Centri venivano organizzati nelle varie località delle regioni ritenute più idonee per la preparazione del momento. Si svolgevano nel corso di due fine settimana al mese, uno allargato agli atleti e ai loro allenatori e uno riservato ai soli tecnici di società, nel corso dei quali venivano concordati e verificati i programmi di allenamento per tutta la fase della preparazione invernale, fino all’inizio della stagione agonistica.
Da questo complesso sistema organizzativo regionale strettamente collegato, sotto l’aspetto programmatico, con il Settore tecnico nazionale, sono cresciute le giovani ‘’seconde schiere’’ di quel momento, diventate, dopo pochi anni, il nucleo centrale della grande squadra nazionale di atletica leggera che tutti ricordano, completa in tutti i settori, i cui i numeri tre, quattro e oltre spesso non avevano nulla da invidiare agli atleti di vertice, ai titolari di squadra.
A chi ha competenza in materia di organizzazione di sistemi complessi, basati sulla massima prestazione, sui rapporti umani, sui rapporti tra tecnici, atleti e dirigenti, fra livelli orizzontali e livelli verticali, credo servano poche parole per comprendere che cosa volesse dire la gestione di tutto questo movimento. Questo complesso sistema organizzativo per un certo numero di anni è stato pensato, programmato e gestito, appunto, dall’ ‘’altro’’ Enzo Rossi. Il quale, per fare tutto ciò, ha saputo avvalersi - valorizzandoli - di molti collaboratori scelti fra gli Insegnanti di educazione fisica, i funzionari e gli impiegati federali e le nuove figure professionali appena immesse nei ruoli del C.O.N.I. e da lui subito investite di incarichi di responsabilità, mettendole alla prova in modo quasi spregiudicato. Mi riferisco ai Maestri di Sport dell’ atletica che ancora oggi gli sono grati per la fiducia da lui riposta in loro nel momento più difficile e più incerto della loro attività professionale, sovente indirizzandoli, o comunque sostenendoli, senza indugio verso frontiere innovative, successivamente divenute anche molto promettenti come, per esempio, il Centro Studi & Ricerche Fidal, assunto come modello di riferimento da parte di tutte le Federazioni.
 
(*) N.d.r. -  Fernando "Nando" Ponzoni, modenese, insegnante di educazione fisica e allenatore di atletica. Fra i tanti che furono da lui «plasmati» Antonio Brandoli il quale, nel 1962, stabilì il primato italiano con 2.04. Brandoli non raggiungeva il metro e 70 di statura. Ponzoni produsse anche alcune belle pubblicazioni, la più nota nel mondo degli insegnanti di educazione fisica «L'atletica leggera nella scuola italiana» (1968, se ne stamparono varie successive edizioni). Un'altra sua grande passione era il lancio del martello, Modena e Carpi furono fucine di lanciatori per decenni, fin dagli inizi del secolo XX. Ponzoni diede alle stampe un primo libro nel 1975, «Appunti per una storia del lancio del martello a Modena», con prefazione di Luciano Fracchia, socio fondatore dell'A.S.A.I. Un seconda edizione, ampliata, vide la luce nel 1985: «Sessant'anni di lancio del martello a Modena». Chi ha conosciuto Ponzoni racconta di un gentleman, educato, gentile, con la scuola e l'atletica nel DNA.
Last Updated on Wednesday, 02 December 2020 18:44
 
Due milioni. Di euro? No, tranquilli soci ASAI, son solo i contatti al nostro sito PDF Print E-mail
Monday, 30 November 2020 18:31

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Quando le lancette dell'orologio, silenziosamente, era scivolate nelle prime ore notturne di questo lunedì 30 novembre 2020, il contatore che registra il numero dei contatti su questo nostro spazio online ha superato la boa dei due milioni. Pochi? Tanti? Ognuno avrà la sua opinione. Ci occupiamo di uno sport che già non fa impazzire le folle (siamo realisti), in più la nostra mission (piace tanto agli americani, all'entrata di ogni Università fa bella mostra una targa che ricorda la sua mission) ha come obiettivo la storia di questo nostro sport, e in più, tanto per non farci mancare niente, storia dell'atletica italiana. Almeno in questo siamo in sintonia con i tempi: ormai la bandierina tricolore svetta su ogni prodotto, dalle mutande al cibo per cani. Atletica italiana, tanto che a volte siamo costretti a ricordarlo a chi ci propone di dedicare spazio...agli extraindigeni. Non siamo, e non vogliamo essere, uno zibaldone onnicomprensivo, ne esistono già. Stiamo nel nostro brodino ristretto e siamo soddisfatti così. Due milioni, ci chiedevamo: pochi, tanti? Ai posteriori (come sarcasticamente diceva un nostro amico) l'ardua sentenza. Noi sappiamo solo che nel novembre del 2011 i contatti erano 33 mila. E chi vuol tirare le sue conclusioni, libero di farlo. Ma tanto non frega nulla a nessuno. Per essere precisi: la «quota 1 milione» era stata raggiunta i primi giorni d'agosto del 2018. La tabellina che vedete è la fotografia del contatore dei contatti del nostro sito: il nostro socio Elio Forti ha fatto i suoi calcoli e, per approssimazione, aveva valutato l'ora in cui il contatore sarebbe scattato sui due milioni. Si è svegliato, ma per pochi minuti il traguardo era stato superato di 75 contatti. Ce ne fossero come Elio! Grazie, caro amico dell'A.S.A.I.

Last Updated on Tuesday, 01 December 2020 11:24
 
L'atletica con la «Leonessa» sul petto onora ancora il fondatore Sandro Calvesi PDF Print E-mail
Monday, 30 November 2020 10:30

Non più tardi di una decina di giorni fa, abbiamo ricordato che quarant'anni fa un terremoto cardiaco fermò la vita del prof. Sandro Calvesi. Tecnico apprezzato in tutto iil mondo, ma non solo tecnico: figura poliedrica in una atletica allora straordinariamente vitale. Parliamo degli anni del Dopoguerra, anni difficili, da viaggi sui carri bestiame o su vecchi camion residuati bellici. Eppur...eppur si muove, verrebbe da dire. A Brescia, Calvesi (e non solo lui) era il motore delle iniziative societarie. Quello che leggerete qui sotto vi riporterà a quei tempi, e alla nascita dell'Atletica Brescia 1950. Non serve gran conoscenza aritmetica per rendersi conto che la società bresciana compie ora settant'anni. In breve, ve li raccontiamo.

Nelle foto: in quella verticale svetta in tutta la sua eleganza e potenza l'ostacolista bresciano Giampiero Massardi, originario di Rezzato, alle porte della città; a fianco, Armando Filiput (a sinistra) e Tonino Siddi, con la tuta nella Nazionale (la produceva Ottavio Missoni agli inizi della sua straordinaria carriera di imprenditore) intervistati ai microfoni della Radio Audizioni Italiane, la futura RAI; nella immagine a colori, le ragazze dell'Atletica Brescia che hanno conquistato lo scudetto a squadre nel 2019, poi confermato nel 2020

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Perché nacque l’Atletica Brescia? Per tatticismi di politica sportiva o per vicende economiche? Risposta: tutt’e due. La storia si svolse in due tempi avendo come attore principale il CSI Brescia, che nel 1948 poteva contare sulle floridissime sezioni di atletica maschile e femminile. Ma avere sezioni floridissime (parliamo di due maschi e due atlete presenti alle Olimpiadi di Londra di quell'anno) significava grande impegno di risorse economiche, ovvero casse vuote a fine stagione. Cosa fare in prospettiva del 1949? Semplice: mandiamo a casa le ragazze. Era l’antipasto del secondo tempo, cioè di quanto sarebbe successo l’anno dopo all’attività maschile, anche se stavolta la causa non era il bilancio in rosso, ma una netta virata della politica sportiva del CSI, che decise di spostare le risorse dall’attività di vertice a quella periferica.

Quindi nel giro di pochi mesi il dirigente Nino Verzura e Sandro Calvesi dovettero rimediare alla situazione per due volte, dapprima fondando la società femminile Atala Club e poi l’Atletica Brescia. Rimettere insieme i cocci non fu cosa facile, ma l’impresa riuscì grazie alla solidarietà del mondo sportivo – con il Brescia Calcio in prima linea, l'avreste detto? La societa calcistica bresciana aveva già avuto una sezione atletica negli anni '20 – e alcuni imprenditori locali. Aiuti disinteressati che al giorno d’oggi possiamo tranquillamente scordarci, nonostante il gran cicaleggio sui tanto reclamizzati «sponsor». Una volta si chiamavano «mecenati», termine molto più elegante e, soprattutto, ricco di significato sportivo.

La società, nella quale erano confluite anche le ragazze, in quel 1950 nacque grande, potendo contare su azzurri quali Armando Filiput (in quell’anno vincitore del Campionato d’Europa nei 400 ostacoli), Albano Albanese, Gino Paterlini (argento agli Europei assieme a Filiput nella 4x400 metri), Sandro Sioli, Renato Colosio, Mirella Avalle, Marisa Rossi e Gabre Gabric.

Seguirono periodi che ebbero momenti di stanca alternati a brillanti riprese. Se negli anni '50, terminato il periodo della presenza del sodalizio ai vertici del Campionato di società, crebbero comunque validi atleti come l’ostacolista Giampiero Massardi, il mezzofondista Giorgio Gandini, l’astista Angelo Baronchelli, il velocista Enore Sandrini, e, ancor più avanti, anni '70, Adriana Carli, altra velocista. Il “risveglio” registrato alla fine degli anni ’60 portò ad una dolorosa frattura che fece perdere all’Atletica Brescia il ruolo di principale società della provincia. Poi, nel 1973 giunse la sponsorizzazione dell’Associazione Industriale Bresciana, che inserì sulle maglie bianco-azzurre il nome di Assindustria. L'organizzazione territoriale bresciana sposava così la «nuova filosofia» della Confindustria nazionale che si affacciava nel mondo dello sport con un suo ente di promozione, lo C.S.A.In.

I tempi portano ulteriori cambiamenti. L’uscita di scena dell’Associazione Industriale alla fine della stagione 1985 causò una rifondazione della società, che fu protagonista di un progressivo rilancio, maggiormente incisivo nel settore femminile. La forzata riduzione dell’attività locale dovuta alla chiusura per inquinamento del Campo Scuole intitolato a Calvesi, l’unico impianto di atletica presente in città, non pregiudicò il potenziamento della squadra femminile, e le disponibilità economiche dovute alla sponsorizzazione di Ispa Group e più recentemente della Metallurgica San Marco, aiuti economici che hanno consentito di raggiungere i successi nel Campionato nazionale a squadre del cross, della corsa in montagna, della marcia, nelle indoor, di tre edizioni della Supercoppa fino alla vittoria nel Campionato di società under 23 nel 2018 e la conquista del titolo italiano assoluto nel 2019, successo ripetuto anche nel 2020, stagione coronata anche dalle maglie tricolori indossate da Alice Mangione nei 400 metri e dalle staffettiste della 4x100 metri composta da Melon, Pedreschi, Niotta e Pavese.

L’attività di Sandro Calvesi per 30 anni si sovrappose a quella dell’Atletica Brescia, essendone il leader indiscusso: era stato elemento trainante fin dai tempi della Forza e Costanza, del CSI e, a maggior ragione, nel primo periodo di vita della ”sua” società bianco-azzurra. La stessa Atletica Brescia che, con il sempre maggiore coinvolgimento del professore nel settore tecnico federale, contemporaneamente ne veniva a sentire la mancanza perché, come scrisse sulla «Gazzetta dello Sport» Alfredo Berra, Calvesi “ha fatto della nazionale il suo «club», ottenendo i risultati cospicui che tutti conoscono". Che portano i nomi di Salvatore Morale, Roberto Frinolli, Eddy Ottoz, Nereo Svara, Giorgio Mazza, Giovanni Cornacchia, Franco Sar. Allenatore di fama internazionale giunto ai vertici del settore tecnico italiano della velocità, degli ostacoli e delle prove multiple, Calvesi si dimise nel 1968 alla vigilia delle Olimpiadi messicane tornando alla ribalta l’anno dopo come consigliere federale (iniziava l'era Primo Nebiolo), vivendo un’esperienza di breve durata a causa di contrasti con la politica sportiva proprio del presidente. Nell’ultimo decennio di vita fu impegnato soprattutto ad allenare e a dare preziosi consigli ad atleti di grande valore, tutti stranieri, fra i quali i più famosi furono Guy Drut, Alan Pascoe, Jean-Claude Nallet, Arto Bryggare e Harry Schulting. Morì il 20 novembre 1980, pochi giorni dopo la pubblicazione della notizia di un iniziale riavvicinamento alla Federatletica. 

Last Updated on Monday, 30 November 2020 12:50
 
Li mortacci tua, 'a Enzo, ma proprio ora te ne dovevi anna? Solo, senza de' noantri PDF Print E-mail
Friday, 27 November 2020 10:27

Abbiamo affidato il ricordo di Enzo Rossi, scomparso tre giorni fa, a una persona che lo ha conosciuto fin da giovinetto aspirante velocista e campione nazionale UISP (longa manus sportiva del Partito Comunista, lui che comunista proprio non era). Abbiamo chiesto a Giorgio Lo Giudice, romano de' Campo de' Fiori, giornalista-manovale nel senso di disponibile sempre e per qualsiasi sport, dall'hockey prato femminile giocato nelle Marche al campionato di bocce di Primavalle, atleta mezzofondista, corse, tra gli altri con Mario Pescante, grandissimo fondista del CONI e del CIO, organizzatore, tecnico giovanile, il Giorgio nostro. Sempre sorridente, pronto a sdrammatizzare con una battuta de roma de' Roma verace, un uomo di sentimenti solidi e immutabili. Questo serviva a noi, e glielo abbiamo chiesto, e lui ha risposto prontamente.

Glielo abbiamo chiesto soprattutto dopo aver letto i miseri commenti apparsi qua e là, non diciamo i giornali che quelli ormai non esistono quasi più, e poi erano tutti impegnati a costruire la imminente ascesa al cielo dei beati di San Diego, ma i siti che si fregiano di indirizzi tipo atletica punto questo e atletica punto quell'altro. Ci ha stupito l'assenza dei grandi editorialisti, abbondano ormai. Tutti invece a ricopiare quelle quattro striminzite note del sito della Federatletica, tirate via in fretta e furia.

Enzo Rossi personaggio facile non fu, la sua carriera come Commissario Tecnico sotto il dominio di Primo Nebiolo ha zone di ombra nivura (sicilianismo). Ma ancora una volta ci è parso di cogliere una frettolosa testa girata all'indietro. Proprio come ai tempi dell'Enzo cittì, quando giornalisti, dirigenti, tecnici, portaborse, autisti e magazzinieri, facevano finta di non vedere che si metteva la polvere sotto il tappeto. Poi son diventati tutti nipotini di Marco Porzio Catone, Cato Censor (andate a vedere il busto, dicono sia lui, a Villa Torlonia). E nessuno si è avventurato a ricordare che Enzo Rossi, estromesso nel 1988, fu ripescato in F.I.D.A.L. dopo le elezioni dell'inverno 1994, quelle che videro Pietro Paolo Mennea ritirare la sua candidature alla presidenza in apertura di Assemblea, nel Salone d'onore del C.O.N.I., e la conferma dell'allora presidente. Ma nessuno voleva Mennea fra le palle allora...allora... adesso invece è stato collocato (giustamente) sugli altari. Adesso ha perfino un francobollo tutto suo, emesso da Poste Italiane. A proposito, domandina: Sara Simeoni no? Maurizio Damilano no? Figli di un dio olimpico minore.

Primo Nebiolo e Enzo Rossi, un bob a due in cui mancava il frenatore, perchè spingevano tutti e due. E qualche volta son usciti di pista. Ci ha detto qualcuno del «cerchio magico» romano che Enzo Rossi si avventurava ancora, recentemente, nelle vicende arraffapoltrone federali. Malato di un virus, l'atletica, che non ha vaccino curativo. Enzo Rossi ha vissuto anche lui, come parecchi di noi, un periodo di grande entusiasmo che non rinneghiamo. Ricordiamolo con umanità, come fa Giorgio Lo Giudice, che di umanità ne ha respirata tanta a Campo de' Fiori, dove stava un altro grande romano che di questo sentimento ha dato lezione a tutto il mondo: Aldo Fabrizi.

Brerianamente, recitiamo un «la terra ti sia lieve, Enzo», rifiutando quell'incivile RIP che va di moda in questa era di barbari che fan fatica perfino a scrivere «riposa in pace».

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Caro Enzo,

hai scelto il momento più brutto per lasciarci, tu che organizzavi sempre tutto ed eri pronto ad assegnare compiti presenti e futuri, seguitando a guardare con inguaribile ottimismo alla rinascita dell’atletica. Te ne vai insalutato ospite, non ci permetti neppure di poterti salutare con un «arrivederci» venato di tristezza. Tu che eri sempre allegro pronto a batterti anche contro i mulini a vento.

Ti ho conosciuto calciatore del Volsinio nel lontano 1953 e buon velocista tanto da essere selezionato con la squadra romana per partecipare ad Imola al Palio Nazionale Amici dell’Unità, ovverosia i campionati italiani UISP, tu piuttosto snob, vincendo anche il titolo della staffetta 4x100 con Di Biagio e Filippini, non ricordo il quarto, forse Belleggia o Vercesi, poi ritrovato al CUS Roma qualche tempo dopo.

Eri bravissimo ad inserirti nelle situazioni dove c’era da lavorare per l’atletica. Qualcuno dirà che sei stato un ottimo tecnico-dirigente, altri l’esatto contrario, ma poco importa. Certo che il tuo attivismo non potrà mai disconoscerlo nessuno, amico o nemico che sia stato in vita, nei tuoi confronti. Ti do atto di una intuizione da mago: un freddo febbraio di non so quale anno, mentre eravamo a Latina ad un cross, vinse Gelindo Bordin, e tu, facendoti prendere in giro da tutti i presenti, dicesti che quel giovanotto sarebbe stato un futuro campione olimpico. Hai avuto ragione e sarebbe sufficiente questo per assegnarti la palma di veggente. Lo eri un po’ meno quando facevi le tue statistiche e trovavi troppi italiani nei primi posti della classifica mondiale, dimenticandoti stranieri importanti. Del resto le statistiche sono un fatto opinabile, ognuno se le aggiusta come crede. Lo fanno giornalmente tutti i politici possiamo farlo anche noi, ogni tanto, quando parliamo di atletica.

Di sicuro non ho mai visto nessuno, né prima né dopo, impegnato quanto te nel seguire gli atleti, nel parlare con gli allenatori, nell’essere il giusto raccordo tra vertice e periferia. E poiché conoscevo l’ammontare del tuo contratto in lire, ero ben certo che ti guidava solo la passione, non certo l’idea del guadagno o del potere che non hai mai avuto né preteso, a dispetto di tante malelingue. Molti non l’hanno capito, ma poco importa. Anche quando eri fuori dall’atletica, negli ultimi anni, eri pronto ad ogni discussione, a presentare nuovi scenari, ad assegnare a ciascuno di noi che ti eravamo vicini, un ipotetico compito gratificante, nel futuro atletico perché, questo lo dicevi a giusta ragione: è importante saper ragionare, lavorare ed avere l’approccio intelligente, sui campi con gli atleti. Non ci sarai a questa futura assemblea elettiva, quindi non potremo fare previsioni o dire chi è giusto che raccolga il bastone del comando, ma sono sicuro che da dove ti trovi un consiglio su come comportarsi troverai modo di mandarlo e magari di sorridere perché le cose sono andate come pensavi, oppure arrabbiarti. Ma questo è un altro discorso.

Nel mio essere giornalista, non già dirigente o tecnico, stavo facendo mente locale e non ricordo di averti mai fatto una intervista ufficiale, al di là di richieste di veloci pareri. Ma forse è meglio così, sarebbe finito tutto con un cazzeggio senza fine, non degno di trovare la luce.

Ti saluto, e posso affermare che, pur mettendo nella somma gli errori che hai commesso, il tuo saldo resta comunque positivo per quanto hai fatto in tanti anni di lavoro nell’atletica. Questo dovrebbe essere più che sufficiente a lasciare soddisfatto questo mondo così pieno di sentimenti contrastanti, dove troppe volte a prevalere è l’odio e l’invidia, con un sorriso.

Giorgio Lo Giudice

Last Updated on Friday, 27 November 2020 17:58
 
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