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Franco Giongo: classico bolognese ciarliero e mattacchione, e un po' esibizionista PDF Print E-mail
Wednesday, 04 August 2021 17:00

Bentornato sulle nostre pagine Alberto Zanetti Lorenzetti, già autore di ricerche interessanti sull'atletica italiana degli esordi, parliamo di fine secolo XiX e primi venti anni del XX. Chiariamo: non era sparito lui, siamo stati noi di questa affollata redazione a tenere in freezer alcune sue ricerche. Che, statene certi, pubblicheremo. A seguire trovate la prima parte di una documentata ricostruzione dell sfide che Franco Giongo, miglior velocista nei primi due decenni del Novecento, affrontò con altri sia italiani sia stranieri. Sarebbe inutile dirlo, ma lo diciamo lo stesso: coloro che vogliono sapere quello che è successo agli albori del nostro sport, da un articolo così hanno solo da imparare.

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Campionati italiani 1914: Franco Giongo, a sinistra, e Emilio Lunghi, in un accanito testa a testa

 

Una carriera piena di sfide

di Alberto Zanetti Lorenzetti

Nella lunga storia dell’atletica leggera spesso l’attenzione è richiamata dalle sfide fra i campioni più rappresentativi. D’altronde, da sempre, la rivalità agonistica non solo ha una positiva funzione di stimolo al miglioramento delle prestazioni, ma è anche un ottimo veicolo di propaganda. Negli anni precedenti alla Grande Guerra l’atletica italiana aveva in Franco Giongo l’elemento migliore nel settore della velocità, mentre Emilio Lunghi era l’indiscusso dominatore del mezzofondo: si trattava di due dei pochi personaggi di valore internazionale espressi fino a quel momento dall’Italia. I due non esitarono a confrontarsi con avversari al di fuori dei confini nazionali, ma anche fra di loro. Giongo si esibì in mezza Europa ottenendo lusinghieri risultati sulle brevi distanze, mentre Lunghi, all’indomani dei Giochi di Londra, attraversò l’Atlantico per affinare le doti di mezzofondista. Date le caratteristiche dei personaggi, il terreno di confronto fra i due non poteva che avvenire principalmente sui 400 metri. Il genovese Lunghi ebbe fra il 1908 e il 1909 l’apice della carriera grazie alla medaglia d’argento olimpica degli 800 metri conquistata a Londra e ai brillanti risultati ottenuti l’anno seguente in Nord America, culminati con i primati mondiali degli 800 metri (uguagliato) e delle 880 yarde. Nelle stagioni successive perse un po’ di smalto, restando comunque uno dei nostri atleti di punta, tanto da poter partecipare all’Olimpiade di Stoccolma.

Scrivendo della poco brillante spedizione calcistica capeggiata da Vittorio Pozzo in terra di Svezia, Gianni Brera ebbe occasione di inquadrare il personaggio-Lunghi:“Pozzo spiegherà questa iattura con i dati logistici, come usa da sempre. Lamenterà anche le frequenti apparizioni fra i suoi bravi ragazzi di Emilio Lunghi, il più classico e sciagurato dei mezzofondisti azzurri. Il biondo Lunghi è un genovese di VillanterioÈ già stato secondo a Londra sugli 800 metri. I cronisti nordici lo hanno battezzato l’uomo-cavallo. Correva benissimo, si allenava male. Andava molto volentieri a donne, dalle quali era ricercatissimo, e incitava gli azzurri del calcio a imitarlo. Vittorio Pozzo ne era molto sdegnato. Emilio Lunghi vantava clamorosi successi sulle vichinghe e turbava, secondo Pozzo, i prodi azzurri, malamente deconcentrati da quel gaglioffo. Verrebbe da dirgli: cùntela giusta”.

Franco Giongo, classe 1891, è stato definito “classico bolognese ciarliero e mattacchione”, ma era anche personaggio che non si tirava indietro quando c’era da far polemica. Sugli avversari aveva un grosso vantaggio: gli studi in medicina gli permisero di far tesoro delle tecniche più avanzate dell’allenamento. Raggiunse i vertici della velocità italiana in brevissimo tempo. Nel 1909 era a Milano, dove frequentava il Liceo Manzoni. Iniziò la stagione vincendo i 100 metri del Campionato studentesco meneghino con un modesto 12”2/5, ma ben presto i riscontri del cronometro cambiarono. Dopo essere arrivato al secondo posto ai Campionati regionali lombardi in maggio, preceduto da Giovanni Gama, il 4 luglio a Valenza venne nuovamente battuto sui 100 metri, ma dal novarese Guido Brignone, campione nazionale della distanza. Il 25 luglio a Brescia in Campo Fiera – area non lontana dall’impianto dedicato a Sandro Calvesi, luogo dove Sara Simeoni divenne primatista mondiale di salto in alto, e ancora oggi impraticabile dopo anni di attesa d’esser bonificato dai veleni riversati da una vicina industria – era in programma una gara sui 100 metri che furono ridotti a 95 per le pessime condizioni del terreno negli ultimi metri del rettilineo. Giongo corse in 10”4/5, lasciando Brignone a mezzo metro. Il risultato era tanto clamoroso che venne organizzata la rivincita a fine agosto in una riunione internazionale all’Arena, ma il piemontese marcò visita e Giongo dovette confrontarsi con il campione lombardo Gama, battendolo sui 100 metri in 11”2/5. La settimana successiva a Pallanza eguagliò il primato nazionale correndo in 11” netti ed entrò a pieno titolo nel ristretto numero dei migliori velocisti nazionali. Nelle gare d’attesa dell’arrivo della maratona tricolore all’Arena, il 19 settembre non solo vinse i 100 metri, ma dimostrò di essere anche un buon quattrocentista battendo il torinese Roberto Bacolla.

Il 1910 iniziò con una gara impegnativa: il 2 gennaio a Lido d’Albaro si presentò alla partenza dei 400 metri, indossando la casacca dell’Athletic Club di Torino. Giunse terzo, battuto da Emilio Lunghi e Massimo Cartesegna. Troppo presto per sfidare il genovese su quella distanza che però lo vide maturare rapidamente, tanto che all’inizio maggio a Genova, vinse i Campionati nazionali individuali della Federazione Ginnastica. Per la seconda volta, era il 19 maggio, Giongo e Lunghi si affrontarono, ma sui100 metri. Sulla breve distanza – palcoscenico Piazza d’Armi di Ferrara – fu il genovese a dover soccombere, rimediando un distacco di due metri al traguardo. Da quel momento Giongo iniziò a rivolgere le sue attenzioni all’estero andando a cogliere qualche successo in gare ad handicap in Inghilterra, ma soprattutto vincendo con il tempo di 23” netti il Prix Ravaut a Parigi. Nell’intervallo fra le due trasferte estere vinse ai Campionati italiani i 100 e 400 metri, oltre alla staffetta 4x400 yarde conclusa con tanto di primato nazionale, ma al Velodromo Milanese rimediò una sonora sconfitta nella sfida con l’anziano campione Umberto Barozzi sui 240 metri. Aveva concesso dieci metri di vantaggio al “vecchietto” eporediese. Troppi.

Il confronto fra i due campioni riprese il 12 marzo 1911, a Milano. Al campo dell’Unione Sportiva Milanese Giongo vinse i 100 metri in 11” netti e mise in discussione il predominio di Lunghi sui 400, correndo in 52”3/5. Si mise in testa fin dall’inizio e Lunghi, vistosi battuto, rallentò nel finale concludendo in 54”3/5, per poi andare a vincere la gara dei 400 ostacoli. Un nuovo confronto avvenne a Firenze, il 21 maggio, all’ippodromo della Mulina. Il genovese tagliò primo il traguardo in 54”1/5 distanziando Giongo di 6 metri, ma la sfida al rivale sul suo terreno, i 100 metri, lo portò a rimediare una sconfitta, venendo staccato di due metri. 11”2/5 per il vincitore. Giongo, sfoggiando la sua caratteristica tuta-pigiama, iniziò a gareggiare in mezza Europa: Dublino, Londra, Bruxelles e Marsiglia. Rientrato in Italia fu autore di una doppietta – 100 e 400 metri – ai tricolori di Roma, dove Lunghi saggiamente si impegnò su altre distanze, vincendo i 1000 metri e lasciando abbastanza platealmente la vittoria a Cartesegna nella gara delle siepi, allora lunga 1200 metri. Nei 400 Giongo fu protagonista di una controversa vicenda: dopo aver aderito alla energica polemica dei più forti atleti contro i giudici, culminata con la decisione di boicottare la finale, si presentò alla partenza tra mille discussioni e l’irritazione dei compagni di squadra, cosa che gli diede una facile vittoria, ma pregiudicò lo scontato successo nella staffetta del miglio.

(parte prima - segue)

Last Updated on Thursday, 05 August 2021 06:43
 
Una maratona dal social-comunismo al fascismo: il figliol prodigo Donato Zanesi PDF Print E-mail
Monday, 02 August 2021 10:01

In questa seconda puntata (abbiamo pubblicato la prima non molti giorni orsono) Sergio Giuntini ci racconta la trama della novella scritta da Nino Salvaneschi nel 1921, novella inserita in una raccolta, un libretto di 180 pagine, dal titolo “Il knock-out di Rirette. Novelle sportive”. Nino Salvaneschi, chi era costui? Nacque a Pavia nel 1886, morì a Torino nel 1968; partecipò alla Prima Guerra Mondiale in Marina, fu tra i primi a pilotare i tristemente famosi Mas, porigni pilotati che servivano per affondare le navi nemiche. Nel Dopoguerra divenne convinto pacifista. Una tragedia lo colpì nel pieno della vita: nel 1923, a 37 anni, perse completamente la vista a causa di una incurabile malattia agli occhi. Questa condanna lo condusse a una fede profonda e vissuta, che tradusse in molti scritti. Di Salvaneschi qualcuno ha detto che fu «scrittore insolito e originale». Ne è testimonianza la novella «Il vincitore della Maratona» che egli dedica a Gustavo Verona, uno dei giornalisti che hanno lasciato una orma profonda nella storia del giornalismo sportivo italiano, redattore capo (in effetti direttore) de «La Stampa Sportiva» dal 1905 al 1924. Il settimanale illustrato torinese, pubblicato a partire dal 1902 come supplemento a «La Stampa», era, in formato più piccolo il fratello gemello del francese «La vie au grand air», tanto che talvolta retortage e fotografie erano le stesse. Il settimanale sportivo torinese chiuse i battenti a metà degli anni '20, Gustavo Verona aveva già lasciato la sua gestione editoriale.

Adesso tocca a Sergio.

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Copertina del libro originale del 1921 che raccoglie le novelle sportive scritte da Nino Salvaneschi (Collezione privata)

All’interno di questa tesa cornice storica, nella sua novella Salvaneschi (peraltro un po’ approssimativo sull’esatta lunghezza della maratona) inscenava, come detto, il solenne pentimento del maratoneta Zanesi, così da elevarlo a metafora dell’irreversibile disfatta del “biennio rosso” social-comunista:

La Casa degli atleti era al completo. Da ogni parte d’Italia, corridori, saltatori, discoboli, sprinters, hurdlers, maratoneti, lanciatori di disco e di giavellotto, erano arrivati a ondate, riempiendo le sale di quella severa scuola fiamminga, colla loro giovinezza ardente. I dialetti d’Italia si incrociavano pittorescamente nelle notizie di allenamento più varie. Gli ultimi arrivati erano i più curiosi di sapere le migliori performances dei campioni e degli avversari più noti: gli svedesi e gli americani sopra tutto. - E Paddock, in quanto i cento metri? - 10”4/5. - E Thomsom, come fa i 110 ostacoli? - in 15”4/5. - E Hill? - È in forma? Forse nei 1500. Li copre in 4’ e qualcosa. - E il finlandese Lemminkainen? - Va bene. Ma c’è l’inglese Strebb. Zanesi si piazzerà decimo nella Maratona. Le domande e le risposte, si controbattevano fredde, rapide, incalzanti, come in un assalto di scherma. Stile sportivo: stile veloce. Nel cortiletto, intanto, vicino alle sale del massaggio, una ventina di atleti continuavano a cantare sino a sgolarsi l’inno dell’”Internazionale”: “Alla riscossa, bandiera rossa trionferà”. Erano gli stessi campioni che avevano fatta la loro solenne entrata nella Casa degli Atleti, al canto dell’inno rivoluzionario, e che alla vigilia della grande inaugurazione dell’Olimpiade, non avevano voluto sfilare insieme ai compagni, dietro la bandiera d’Italia, e per omaggio al Re del Belgio. - Ma che bandiera d’Italia e Re del Belgio! - Non ci sono bandiere, perché c’è quella rossa! - Non ci son più re, perché il popolo è sovrano! - Non ci sono più bandiere di altri paesi, perché c’è l’Internazionale! Qualcuno aveva tentato di reagire. Croci, il giovane sprinter gallaratese aveva detto infatti: - Ma infine siamo tutti qui a difendere il nome e la bandiera della Patria. Allora l’anarchico Zanesi, si era avanzato di un passo e aveva detto gravemente: - La Patria è dove si mangia! Donato Zanesi era stato un valoroso in fanteria, “Cinquantaduesimo”. Brigata Alpina “Peppino Garibaldi”. Mostrine verdi e fazzoletto rosso. Ferito e decorato, aveva fatto la guerra senza darle importanza. Come una Maratona in grande. Ritornato in patria, dalla Francia, era stato uno di quei tanti che le correnti socialistiche e bolsceviche, avevan travolto. - La guerra è stata tutto un trucco dei capitalisti -. La bandiera è buona per i mangiapane a tradimento. Questo il suo Vangelo come cittadino. Come uomo di sport, era un magnifico corridore di fondo. Aveva compiuto in allenamento i 42 chilometri e 750 metri della Maratona in 2 ore e 44’. Campione d’Italia, non voleva saperne d’indossare la maglia tricolore. Così il cittadino e il corridore erano in grave conflitto tra loro poiché il corridore doveva difendere alle Olimpiadi l’onore sportivo di una Patria e di una bandiera, che il cittadino non ammetteva. E forse per questo correva sempre con la maglia rossa. Ma l’anarchico non aveva ancora capito che una vittoria non può essere comunista”.

Con questa sua ultima affermazione: «Una vittoria non può essere comunista», Salvaneschi esternava apertamente la propria partigianeria politica. L’avversione per quelli che, allora, venivan definiti tentativi di fare in Italia come in Russia. Tant’è, sin lì anarchico e internazionalista tutto d’un pezzo, Zanesi si rimangerà tutto il suo sovversivismo una volta entrato da vincitore nello stadio. Il colpo di scena riparatore e a lieto fine riservatoci dalla novella:

Ecco lo stadio! La folla diventa marea. Ondate di pubblico  si erano rovesciate sulla strada, lasciando appena libero il piccolo sentiero per i due corridori. Ecco l’entrata allo stadio […], un applauso delirante accolse allora i due campioni. La musica intonò una fanfara di guerra. E gli applausi della folla si accordarono ritmicamente colle trombe e coi tamburi. - “Vive l’Italie” “Macaroni! Macaroni! Macaroni!” era per lui, dunque! Ah lo avrebbe preparato il piatto di macaroni per l’inglese! Il giorno prima, nessuno si era accorto dell’Italia! Diede un’occhiata al suo rivale. Vacillava. Pallidissimo, aveva un passo d’ubriaco. Guardò il traguardo lontano tre quarti di giro di pista. Allora, chiamando a raccolta le forze del suo cuore, l’italiano chiuse gli occhi e mordendosi le labbra, in uno sforzo poderoso staccò l’inglese, che vinto si afflosciò a terra, come un mucchio di stracci, rinunciando alla prova. Sentiva nelle orecchie il frastuono di tutta la folla, e le trombe acute di quella fanfara. Vide suo padre, sua madre a casa, che attendevano la notizia insperata, i suoi amici, il suo club, la sua Brescia […]. Pensò alla casa e all’amore; in una parola alla Patria… E tagliò il traguardo, velocissimo, le braccia alte, quasi a presentare la vittoria al cielo, gridando per la prima volta in vita sua: - Viva l’Italia! Due ore, 35’46”! Allora in una tempesta di applausi, al suono grave della Marcia Reale, la bandiera italiana si issò lentamente sull’alto pennone dello stadio, più alta di tutte quelle che la circondavano. L’anarchico, ancora tutto vibrante per la corsa magnifica, fissava la bandiera tricolore, che il suo sforzo poderoso di due ore 35’46” aveva fatto alzare lassù. E gli parve che il cielo fosse troppo piccolo per contenere tanta gioia. Si guardava intorno. Per l’ampio stadio, la folla immobile, ritta in omaggio della vittoria procurata da lui, e da lui solo, salutava la bandiera trionfante del suo Paese. L’anarchico si sentì le lacrime agli occhi. Guardò a terra, commosso sull’erba, vicino a lui, vide un campione svedese dei lanci di giavellotto intento a massaggiarsi le gambe. Come mai non si alzava costui? Perché stava così sdraiato? Non aveva salutato lui il giorno prima la vittoria del disco? Gli assestò un pugno formidabile sulla testa, e gli disse secco, in tono che non ammetteva repliche: - Ohè! Alzati. Saluta la bandiera del mio Paese”.

Utilizzando pedagogicamente la parabola del “figliol prodigo” Zanesi, la sua nemesi che da trionfatore lo portò come Frigerio a inneggiare alla “madre” Italia, Salvaneschi sanciva retoricamente, patriotticamente, l’aprirsi della nuova era storica dominata dal fascismo mussoliniano. Una forza ideologicamente erede dei valori esaltati dal Futurismo, che nello sport investì molto sia a livello simbolico che materiale. Atletica leggera inclusa, ma compressa all’interno della rigida camicia di forza di un regime totalitario.

(parte seconda - fine)

Last Updated on Monday, 09 August 2021 15:32
 
Trekkenfild numero 97: tutto quello che è successo prima di andare in Giappone PDF Print E-mail
Sunday, 01 August 2021 07:47

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L'ultimo numero di «Trekkenfild» pubblicato prima...del sorgere del Sol Levante, racconta, commenta, celebra, i bei risultati ottenuti dalla spedizione italiana che ha partecipato ai Campionati d'Europa per chi non ha ancora compiuo 23 anni. Insomma chi ha lasciato la categoria che abbiamo sempre chiamato juniores e che è stata mutata in U20, che non è la sigla di un aereo, e l'entrata nel mondo dei «grandi». Una categoria discutibile, secondo noi: chi ha deciso di fare atletica sul serio, lo ha già stabilito da tempo. A Tallinn è andata bene, viva Tallinn! Viatico, speriamo, ad altre più robuste soddisfazioni ai Giochi nipponici voluti ad ogni costo. Ci sono anche tabelle e  risvolti olimpici. Vi lasciamo alla lettura.

Last Updated on Sunday, 01 August 2021 17:56
 
Agli albori del rapporto atletica leggera - letteratura: una novella di Salvaneschi PDF Print E-mail
Thursday, 29 July 2021 18:06

Abbandoniamo, momentaneamente, atletica giocata, risultati, biografie, celebrazioni, ed immergiamoci in una lettura più impegnativa ma altrettanto affascinante: il risvolto socio-politico-culturale del nostro sport. Il titolo di oggi non lascia dubbi: il rapporto fra atletica e letteratura. Ci guida - e ci guiderà nelle prossime settimane - il prof. Sergio Giuntini, docente di storia dello sport, autore di decine di libri e centinaia di articoli, attento studioso del nostro sport. E in più, titolo di merito di non poco conto (veramente per noi, più che per lui!), socio dell'A.S.A.I. da molti anni. Altre volte abbiamo ospitato articoli e ricerche da lui firmati, l'ultima in ordine di tempo per ricordare la figura di Paola Pigni, repentinamente deceduta qualche settimana fa.

A Sergio il nostro vivo ringraziamento per l'arricchimento culturale che offre al nostro sito. A chi ci segue, un sommesso consiglio: leggete questi saggi, avete solo che da imparare. E noi con voi.

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Copertina del libro originale del 1921 che raccoglie le novelle sportive scritte da Nino Salvaneschi (Collezione privata)

Nella letteratura italiana del secolo scorso l’atletica leggera fa la sua comparsa in un interessante racconto di Nino Salvaneschi, “Il vincitore della Maratona”, dedicato a Gustavo Verona e contenuto nella silloge del 1921 “Il knock-out di Rirette. Novelle sportive” (Milano, Casa Editrice Italiana),  che può considerarsi il primo esempio significativo all’origine di una tale contaminazione. Già il Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti nei suoi manifesti teorici aveva mostrato una peculiare attenzione per la modernità e dinamismo vitalista che promanavano dalle discipline atletiche, ma solo col testo di Salvaneschi questo sport assurge per davvero a fonte di ispirazione letteraria. E lo fa, risentendo delle roventi atmosfere post-belliche e della pesante sconfitta del cosiddetto “biennio rosso” che preannunciavano l’avvento al potere del fascismo. In questo senso “Il vincitore della Maratona”, oltreché  essere un’interessante opera narrativa, costituisce nel contempo un’utile fonte documentaria. Attesta il valore rivestito dalla letteratura nella comprensione delle diverse epoche storiche.

Nato a Pavia nel 1886 e laureato in legge, Salvaneschi, nel 1911, aveva pubblicato per i tipi milanesi di  Hoepli il primo manuale tecnico italiano relativo alle specialità della “neve” (“Sport invernali”) e nel 1912, con Giulio Corrado Corradini, fu tra i fondatori a Torino del “Guerin Sportivo”. Collaboratore de “La Gazzetta dello Sport”, “La Sera”, “La Stampa”, “La Tribuna”, “La Gazzetta del Popolo”, “Il Resto del Carlino”, egli per primo ricoperse pure l’incarico di Capo ufficio stampa del C.O.N.I., essendovi stato chiamato dal presidente Carlo Montù in occasione delle Olimpiadi del 1920. Giusto quei Giochi gli suggerirono “Il vincitore della Maratona”, scritto che risulta ambientato nel contesto di quell’edizione olimpica e si fonda su un dosato mix di realtà e finzione.

Alla prima appartiene la figura di Giorgio Croci (Gallarate, 19 aprile 1893), il quale fu primatista italiano dei 100 in 11”0 (Milano, 20 settembre 1913) e in 10”4/5 (Roma, 24 marzo 1918), nonché campione nazionale sulla distanza nel 1921 (11”1/5). E in campo internazionale disputò le Olimpiadi Interalleate di Joinville-le-Pont (1919) e, appunto, quelle ufficiali di Anversa correndovi i 100 e la 4x100. Alla seconda il personaggio di fantasia di Donato Zanesi, dietro cui, però, potrebbe riconoscersi Valerio Arri (Portocomaro, 22 giugno 1892). Vale a dire il maratoneta medaglia di bronzo in quell’Olimpiade (2h36’32”8), atleta d’indole anticonformista che arrotondava facendo il cantante di tabarin e il saltimbanco nei teatri. Un personaggio vagamente “anarchico”, al punto che, appena tagliato il traguardo ad Anversa, si esibì in un salto mortale al cospetto del presidente del C.I.O. Pierre de Coubertin, e da un punto narrativo perfetto nelle parti di Zanesi.

Dunque, venendo in breve alla trama, essa racconta d’un maratoneta sovversivo, il citato Zanesi, che vincitore dei 42 km e 195 m olimpici riscopre d’incanto, catarticamente, il valore del tricolore borghese, il perduto amor di patria, rifuggendo dai precedenti furori rivoluzionari. Di più, in questo suo intreccio tra reale e immaginario, Salvaneschi inserì nella narrazione alcune altre situazioni che ebbero per teatro Anversa e protagonisti degli atleti italiani. Da un lato una protesta, con conseguente sciopero del rancio, per il cibo considerato scarso e di pessima qualità. Dall’altro, ancora più clamoroso, un episodio di cui fu testimone oculare il conte Alberto Bonacossa. Il quale, a distanza di molto tempo, nel 1932 ne fece cenno su “La Gazzetta dello Sport”, quasi a voler sottolineare la differenza con quei tempi turbolenti grazie alla disciplina riportata in Italia dal regime fascista:«Si era nella stazione di Anversa nel 1920 - ricordava il Bonacossa -, quando da un treno scesero in branco disordinato gli atleti nostri che dovevano partecipare alle gare olimpioniche di tiro alla fune. Il gruppo scamiciato si avviò all’uscita cantando “Bandiera Rossa”. Rammento la nostra vergogna e lo sguardo interrogativo delle autorità convenute e la pietosa bugia da noi pronunciata a denti stretti: dicemmo che si trattava di un inno popolare». Per inciso, tra quegli “scamiciati” vi era anche Giuseppe Tonani, dell’Associazione proletaria d’educazione fisica (Apef) di Milano, che nelle Olimpiadi di Parigi del 1924 avrebbe vinto - tra i pesi massimi - la gara di sollevamento pesi alzando 517,5 kg. A corroborare  le forti tensioni politiche esistenti in seno alla rappresentativa olimpica italiana, che rispecchiavano plasticamente quelle esistenti nel Paese, è un’altra testimonianza significativa del marciatore Ugo Frigerio: fascista della “prima ora”, amico personale di Benito Mussolini e suo fruttivendolo di fiducia a Milano. Frigerio, nella sua autobiografia “Marciando nel nome d’Italia” (1934), scrisse in proposito:

È un triste episodio che chi sa quanti conoscono da tempo, ma credo non inutile riferire. Ho già detto che allora correvano tristissimi tempi di pervertimento sociale. Eccone una prova. Nell’intervallo fra le eliminatorie, le batterie e la finale dei 10 km avvenne che alla Casa degli italiani ad Anversa si verificarono incidenti di una certa gravità fra un minuscolo gruppi di atleti e maggiorenti del CONI. Il movente fu Sua Eccellenza il Rancio, che involontariamente entrò in causa senza colpa né peccato. I primi lamentavano a torto la penuria del…pane quotidiano, il quale invece era abbondante, ottimo e vario […]. I secondi, dal canto loro, risposero naturalmente per le rime alle stolte provocazioni. Ma lo sparuto gruppo non si dette per vinto, e mentre una parte di esso si comportò sempre benissimo durante le visite alla città, i rimanenti credendo forse di fare opera meritoria a sfogare il loro insano spirito di parte, e magari di ledere il nostro orgoglio nazionale, si misero a cantare gli inni del sovversivismo sotto l’atrio dell’italianissima Casa che ci ospitava. Rimasi tanto disgustato che pensai subito alla vendetta”.  Vendetta che Frigerio si prese vincendo la 10 km, e compiendo il tratto finale di gara sventolando un fazzoletto tricolore e gridando a pieni polmoni, recitano le sue memorie, “Viva l’Italia”. 

(fine prima parte - segue)
 

Last Updated on Sunday, 01 August 2021 18:29
 
Invito al cinema d'estate: Angelo Baronchelli si racconta in un filmato PDF Print E-mail
Monday, 26 July 2021 15:05

Terzo atto della serata di qualche giorno fa a Villa Athena, a Manerba del Garda. Un incontro fra un atleta che fu uno dei migliori in Italia nel salto con l'asta nella seconda parte degli anni '50 e dei primi '60. Angelo Baronchelli, un robusto e agile giovanotto di Cigole, provincia di Brescia, in quella affascinante parte della pianura padana, terra di profumi, sapori, colori, tradizioni contadine. Attorno a lui si sono stretti, si fa per dire, altri bravi atleti bresciani che hanno praticato con un buon successo una, o più, discipline di salto. A partire dal padrone di casa che ha offerto ospitalità, Alberto Papa, buon lunghista che ebbe la sua stagione migliore nel 1980. Alberto nacque nel 1962, e nello stesso anno Angelo mise da parte l'asta su ordine imperativo di papà Alessandro, «basta giocare, è tempo di lavorare», questo in stretta sintesi il discorso.

Angelo fu uno dei migliori d'Italia a quel tempo, per qualcha anno fu nei primi tre-quattro. Si prese qualche bella soddisfazione: fu campione internazionale militare nel 1959, poi campione d'Italia nel 1960; finì la carriera con 4.25, che a quei tempi nel nostro Paese valeva, appunto, le prime posizioni della lista. Avesse continuato e imparato a domare le nuove aste che si piegavano forse sarebbe salito anche di più. Ma lui, troppo forte, le aste più che piegarle, le spezzava! Se ascolterete con attenzione, sentirete i racconti dalla sua vivida voce.

Oggi vi presentiamo il filmato realizzato da Elio Forti, nostro socio, che ringraziamo per l'ottimo lavoro. Son ben quarantacinque minuti, ve lo diciamo così ognuno prende le misure del suo tempo. Questo link vi porterà direttamente sul filmato https://www.youtube.com/watch?v=Z9Jfij6D2C8. Abbassate le luci in sala e buona visione.

Last Updated on Monday, 26 July 2021 15:35
 
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