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Un assiòma che vale anche in atletica: se si scava con pazienza, alla fine si trova PDF Print E-mail
Friday, 18 November 2022 00:00

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Foto di grande significato nella vita di Pino Dordoni allenatore: ritrae un momento della riunione dei componenti della Commissione tecnica federale con la presenza, per la prima volta, del campione olimpico in qualità di responsabile nazionale per la marcia. Dordoni è il primo in alto a sinistra, accanto a lui il Commissario tecnico Lauro Bononcini, e subito dopo il tecnico Peppino Russo. Con il mento appoggiato alla mano, il presidente federale Giosuè Poli (Ringraziamo Sergio Morandi per aver rintracciato la foto)

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Una selezione di ritagli di giornale dei primi anni '60, conservati da Carmine Bonomo. Facciamo notare la firma sull'articolo di centro: Rino Cacioppo, che in quegli anni lavorare al giornale palermitano «Telestar» che chiuse e lo lasciò disoccupato. Si trasferì a Torino ed entrò prima alla «Gazzetta del Popolo» e poi a «La Stampa». Qui fu per parecchi anni collega del nostro amico e socio Giorgio Barberis, che con Rino divise la grande passione per la pallavolo. La fotografia che correda il primo articolo, a sinistra, fu scattata allo stadio delle Palme di Palermo in occasione della visita di Pino Dordoni (al centro della foto) a dirigere un allenamento; il primo a sinistra è Carmine Bonomo

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Originale dell'ordine d'arrivo della gara di marcia km 10 dei Campionati juniores, allo Stadio Comunale di Bologna, luglio 1961

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Pino Clemente, personaggio maestoso dell'atletica siciliana, allenatore, giornalista, scrittore, firmò l'articolo che potete leggere sulla sinistra. A destra, Carmine Bonomo impegnato in una gara a Reggio Calabria nell'autunno 1962

*****

Se aprite il Dizionario Treccani alla voce «assiòma» potete leggere, insieme ad altre, questa definizione: “In filosofia, principio certo per immediata evidenza e costituente la base per l’ulteriore ricerca”. Il nostro assiòma sta nella seconda parte del titolo:”…se si scava con pazienza…”. Ovvio che se non si scava, non si trova. È quanto avviene in archeologia, dove conta “il metodo di acquisizione delle conoscenze, mediante lo scavo sul terreno, la ricognizione della superficie, la lettura dei resti residui”. Immediato il ricordo del titolo che Marco Martini diede al suo intervento in occasione del Convegno che ricordò Bruno Bonomelli a cent’anni dalla nascita, eravamo a Brescia nel novembre del 2010. Quel titolo recitava «Pala, piccone e microscopio». Il metodo che avevamo individuato per dar vita a questo Archivio Storico e che avrebbe dovuto ispirare la nostra ricerca. Avete letto bene «avrebbe dovuto», e ognuno ne tragga le conclusioni che preferisce. Certo che se si continua a pestare acqua nel mortaio scrivendo dei «soliti noti», di ricerca se ne fa ben poca. L’atletica, la sua narrazione ultracentenaria non è solo Ugo Frigerio, Luigi Beccali, Adolfo Consolini, Livio Berruti, e via via, su per li rami, fino ai giorni nostri. Quella narrazione ci racconta, se investigata, di migliaia, di milioni, di esperienze personali e collettive, che, spesso, non si sono fermate alla baldanza muscolare giovanile, ma hanno accompagnato vite intere e hanno fatto parte di un bagaglio permanente.

Se non si scava le pietre millenarie non vengono alla luce da sole, raramente. E anche nel nostro sport se non si ha la curiosità di conoscere meglio il nostro passato si rimane…all’acqua pestata. In archeologia si conosce la piaga dei «tombaroli», coloro che rubano le orme del passato. Anche nella nostra attività esistono i «tombaroli», e son coloro che sgranfignano dove possono e accumulano per sé stessi, per poi nascondere in cantina, oppure – peggio – ne fanno mercimonio. Ci sono, ne abbiamo conosciuti, e ne conosciamo. Poi ci sono le brave persone, tante, che hanno piacere far partecipi gli altri, quelli come noi, per esempio, non per sciocca vanagloria (che va molto di moda). E allora aprono i loro cassetti dei ricordi, tolgono il velo della polvere del tempo a vecchi risultati, ritagli di giornali, preziose foto magari un po’ sfocate che fanno sfocare anche gli occhiali per un fremito di commozione. In giro per il nostro allungato stivale ci sono tesori che ci potrebbero parlare dello sport di cui siamo innamorati. Ma se non ci si da una mossa, difficilmente questi preziosi materiali verranno alla luce.

Oggi vi parliamo di una carissima persona che da qualche anno ci aiuta nel nostro lavoro di archeo-atletica. Il suo nome è Carmine Bonomo, siciliano di Palermo, poi trasferito a Catania. Ingegnere elettronico specializzato in informatica, ha lavorato sempre in società private nel campo dei sistemi informativi e nella ricerca, fra cui Texas Instruments a Rieti e Infracom Italia a Padova. Ma soprattutto (notate il «soprattutto»…) Carmine è stato un marciatore. Adesso, a spizzichi, la facciamo raccontare da lui. “Mi sono messo in luce nel 1961”. Allegato il ritaglio della «Gazzetta dello Sport» del 15 aprile 1961, titolo «Dai 49’34”1 di Pino Davì agli exploit di Dioguardi e Bonomo». L’anonimo scriba di quella breve nota scrisse: “La lotta per il secondo posto fra il volitivo Dioguardi, lo sbalorditivo Bonomo e lo sfortunato Gugliotta è stata interessantissima e drammatica…il clamoroso (per uno junior esordiente sulla distanza) 51’34” di Carmine Bonomo…”. Il quale vestiva la maglia della Libertas Palermo. Al sesto posto in quella gara Aldo Lo Cascio, fratello minore di Bruno, che solo chi ha i capelli bianchi può forse ricordare: Bruno Lo Cascio, nell’estate del 1957, fu un grande protagonista di «Lascia o raddoppia?», oggi diremmo un personaggio mediatico. Mike Bongiorno lo definì «Il cervello elettronico». Si presentò per rispondere a domande sull’atletica leggera, Bruno aveva una rapidità straordinaria. Arrivò fino alla fine e vinse cinque milioni e 200 mila lire. Ma domanda finale fu di una cattiveria inaudita: prevedeva 86 risposte. E in sessanta secondi. Se ne è andato nel luglio del 2012 all’età di settantasette anni. Abbiamo detto fratello di Aldo, padre di Luigi Lo Cascio, attore, regista, sceneggiatore; qualcuno ricorderà I cento passi, La meglio gioventù, Il traditore, fra i molti lavori spesso premiati con riconoscimenti prestigiosi.

Ritorniamo al nostro amico Carmine. Il 20 maggio alla terza gara ottenne il suo miglior tempo: 51’27”, trentacinquesimo nelle liste italiane di fine stagione. A fine luglio salì a Bologna per i Campionati italiani juniores. Sulla pista dello Stadio Comunale si alternarono circa settecento giovanotti; qualche nome buttato lì: Sergio Ottolina (100 e 200); Sergio Bello (due titoli anche per lui, 400 piani e ad ostacoli); un siciliano sugli 800 metri, Sicari; Beppe Gentile nel triplo; un altro nostro amico, Giacomo Catenacci nell’asta; Vanni Rodeghiero nel giavellotto. Primo sui 10 chilometri di marcia uno che…farà tanta strada: Armando Zambaldo, siciliano di nascita ma trasferito al Nord, che sarà quarto ai Campionati d’Europa ’74 e sesto ai Giochi Olimpici ’76, oltre a Giochi del Mediterraneo, titoli italiani, Coppe del mondo. Zambaldo era una spanna superiore e lasciò tutti a due minuti, gli altri erano tutti più o meno sullo stesso valore: Carmine, quarto, mancò il podio per sette secondi (52’36”4).

Carmine insiste per un paio di stagioni, i tempi gli danno ragione. I suoi ricordi:” Dopo il raduno con Pino Dordoni a Palermo nel gennaio 1962, andai un’altra volta a Bologna per i Campionati juniores. Ci arrivai completamente scarico, una settimana dopo gli esami della maturità classica, mi ritirai a metà gara quando ero ancora nel gruppo di testa”. Rivinse Zambaldo on un tempo molto più lento. Campionati che sancirono l’entrata nell’agone atletico italiano di giovanotti ti gran talento: Arese, Finelli, Cindolo, il nostro socio Gianfranco Carabelli (che si schierò sui 400 e sugli 800), Ottoz, secondo sui 1500 siepi c’era il nostro socio Giulio Salamina, Gentile rivinse il triplo; nell’asta quattro metri entrambi ma Giacomo Catenacci dovette lasciare il titolo a Sergio Rossetti, poi bravo decatleta; nel peso il fiorentino Balleggi ebbe la meglio su Adriano Buffon, padre del conosciutissimo portiere Gigi. Torniamo all’ingegner Bonomo. “Il mio miglior tempo quell’anno fu 52’44”. La gara più bella a fine stagione, il Trofeo Altimani a Reggio Calabria, vinse Gianni Corsaro, davanti a Pino Davì, terzo io. Il 1963 avrebbe potuto essere l’anno della mia affermazione. All’esordio stagionale migliorai subito il mio primato personale: 49’40”2, dietro a Pino Davì, 48’39”4. Poi chiusi terzo, a Napoli, in una delle fasi del Campionato di società, primo Vittorio Visini, di un anno più giovane di me. Continuai con buoni risultati fino a metà stagione, stabilendo anche il primato siciliano juniores sull’ora con 11.125,80 metri. Ma gli esami universitari incalzavano, niente Campionati nazionali juniores e altre manifestazioni nazionali. La mia carriera di marciatore in pratica finisce qui. Continuai fino al 1969 anche da senior, con manifestazioni nazionali e regionali per la mia società, tempi attorno ai 53 minuti”.

E qui si conclude anche per noi il racconto dell’ingegner Carmine Bonomo marciatore. Che ancora conserva gelosamente fotografie, ritagli di giornale e risultati di sessanta anni fa. Un esempio di archivio storico dell’atletica italiana, meglio siciliana. Un archivio gigantesco sparso in tutta Italia, in archivio da scoprire.

Last Updated on Sunday, 20 November 2022 13:40
 
Pino Dordoni partì dal Sud e dalla Sicilia per la sua lunga marcia come allenatore PDF Print E-mail
Thursday, 10 November 2022 00:00

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Foto a sinistra: Domenico Ferrito, Pino Dordoni e Nino Davì allo stadio delle Palme a Palermo nel gennaio 1962. A destra, il podio della finale dei Campionati siculi di società, 23 maggio 1954: primo Nino Davì, noto giornalista al Telegiornale RAI regionale, fratello maggiore di Pino; secondo in questa gara Casimiro Alongi, stroncato ancora in giovane età da malattia inesorabile

«Paternoster e Dordoni si ritirano». Questo titolo spiccava sulla prima pagina del numero 2, 15 gennaio 1962, del quindicinale della Federazione «Atletica». A pagina 2 titolo analogo per un articolo in carattere neretto incorniciato, doppio risalto secondo le abitudini grafiche dei giornali: «Paternoster e Dordoni abbandonano». “Paola Paternoster e Pino Dordoni lasciano l’atletica. Le notizie degli abbandoni, decisi dai due atleti da qualche tempo, sono state dichiarate ufficiali in questi giorni”. L’articolo era firmato da una giovane collaboratrice del foglio fidalino, Fiammetta Scimonelli, ventiquattrenne, milanese di nascita, laureata in filosofia, approdata a Roma dopo non facili vicende familiari. I suoi esordi la videro impegnata nell’atletica, e lì venne notata da Donato Martucci, onnipotente Capo ufficio stampa del Comitato olimpico italiano a fianco dell’ancor più imperante presidente Giulio Onesti, il quale Martucci porterà Fiammetta nelle stanze del Palazzo H (sede del C.O.N.I. per i millennials) e ne farà la sua «erede» nell’incarico. Quel Donato Martucci che, dettaglio conosciuto solo da pochi bi-millennials, firmò alcuni articoli sui Giochi 1952 e sulla vittoria di Dordoni a Helsinki sul giornale «Gazzetta Sera» e sulle pagine del settimanale «Oggi».

Paola Paternoster, romana di robusta complessione, fu lanciatrice poliedrica, pentatleta, pluriprimatista nazionale. Classe 1935 (deceduta nel 2018), dopo i Giochi Olimpici romani e un decennio di attività, considerò giunto il momento di chiudere il capitolo atletica. Seppure nel 1961 i suoi risultati fossero al vertice nazionale del peso e del giavellotto, al secondo posto nel disco dopo la ascendente Elivia Ricci, e al quarto nel pentathlon. Di Pino Dordoni serve aggiungere qualcosa dopo tutto quello che siamo andati facendo e scrivendo (in un silenzio da deserto dei Tartari) in questo anno 2022 per celebrare i settant’anni del suo successo olimpico? Lasciamo dire qualcosa alla Fiammetta, che scrisse sessant’anni fa: “Pino Dordoni ha 36 anni e da più di 15 lavora nel settore specifico della marcia che in lui ha trovato se non il suo fondatore, il suo più grande campione. Una classe eccezionale, una forza di volontà quasi disumana, un amore allo sport più che unico fanno da cornice alla figura dell’atleta di Piacenza, che esigenze di lavoro e di salute costringono al ritiro”. Entrambi gli atleti (che accomuniamo non solo perché il caso vuole che abbandonino lo sport nello stesso periodo, ma perché di pari valore) seguono la legge umana che prevede il termine di un’età spensierata per la conquista di altri valori. Ma anche se non avremo più la ventura di vederli nei campi sportivi, sappiamo che la loro opera sarà sempre a disposizione dell’Atletica Leggera, Paola Paternoster infatti fa l’istruttrice ai Centri Addestramento mentre Pino Dordoni lavorerà come Allenatore federale”. Un poco azzardata, ci pare, l’affermazione del «pari valore» dei due atleti. Rispetto per tutti, ma l’atletica ci insegna una scala precisa di valori. Altrimenti facciamo della retorica. Quello stesso anno, il 15 settembre, Paola si unì in matrimonio all’ingegnere Pompeo Carotenuto.

In quella stessa pagina 2 che abbiamo citato, in alto a destra un titolo a due colonne attira la nostra attenzione, «Commissione per la marcia», che fa seguito alla decisione del Consiglio Direttivo che si era riunito alla Scuola Nazionale di Atletica Leggera a Formia, l’8 e 9 dicembre 1961. In quella occasione fu ufficializzata la creazione della “Commissione Nazionale per l’Attività della Marcia, composta da un Presidente, di due esperti della marcia, di un giudice di marcia designato dal G.G.G., da un tecnico designato dal Settore Tecnico Federale, e da un segretario designato dalla Segreteria Generale della F.I.D.A.L…Il consiglio ha nominato Presidente il rag. Ferruccio Porta”.

La prima riunione della Commissione. “La Presidenza della FIDAL, in ottemperanza a quanto deliberato dal Consiglio Direttivo Federale, ha di recente provveduto alla costituzione della Commissione nazionale per l’attività della marcia. A far parte di detta Commissione in rappresentanza del Settore Tecnico è stato chiamato il Campione Olimpionico Giuseppe Dordoni il quale cessa in tal modo dallo svolgere attività agonistica ed inizia quella di tecnico della marcia. La personalità di Dordoni e il prestigio da lui acquisito in tanti anni di valorosa attività sono garanzia che in questa nuova sede egli si renderà particolarmente utile all’atletica leggera italiana. (…) Dordoni ha già preso contatto con il Commissario Tecnico Nazionale Bononcini ed ha formulato con lui un primo programma di lavoro che egli si accinge ad attuare. Oltre a dare assistenza ai marciatori già noti Dordoni si preoccuperà principalmente di reperire nuovi giovani elementi avviandoli ad una corretta pratica della marcia. Difatti due primi raduni di giovani marciatori saranno tenuti il 3 ed il 4 febbraio a Formia ed il 10 e 11 febbraio a Bologna. Nel mese di marzo i migliori elementi emersi da tali raduni saranno nuovamente convocati per un breve periodo di allenamento collegiale. Oltre a queste convocazioni Dordoni si recherà nei prossimi giorni a visitare vari centri e in particolare Reggio Calabria, Messina, Palermo, Bari, Napoli, Modena, Este e Roma”.

Intanto, con comunicato numero 3 dell’11 gennaio 1962, la Presidenza federale aveva ratificato la composizione della Commissione Marcia: presidente rag. Ferruccio Porta, cav. Attilio Callegari, Mattia Garzone, cav. Giuseppe Dordoni, dott. Attilio Bollini, segretario cav. Andrea Sandonnini.

Vedi, caro amico Carmine Bonomo, da Catania, quanti intrecci ha sollecitato l’invio della prima fotografia che ci hai inviato! Siamo allo Stadio delle Palme, a Palermo, 28 gennaio 1962. Quindi, come abbiamo appena letto, una delle prime visite del tecnico Pino Dordoni.

Brevi profili dei due che affiancano il piacentino campione olimpico. Il prof. Domenico Ferrito fu eletto presidente del Comitato siculo nel 1962, l’Assemblea si celebrò sette giorni prima, il 21 gennaio, della visita di Dordoni. Forse questa foto è una primizia con Ferrito neopresidente. Con l’andar del tempo, fedelissimo pretoriano di Primo Nebiolo, entrò in Consiglio federale e vi rimase fino alla conclusiva parabola nel gennaio 1989. In quella Assemblea del 1962 fu anche eletto delegato al Congresso nazionale, che si tenne a Reggio Calabria. Insieme a lui, pure delegato, una delle figure di riferimento dell’atletica siciliana: Ugo Politti, marciatore, giudice di partenza «dal sacerdotale gesto», abbiamo letto, infaticabile compilatore di liste e primati della sua regione, collaboratore del giornale “La Sicilia”. Ferrito aveva sposato una sua atleta, Irene Giusino, esuberante lanciatrice di disco (nelle liste italiane 1961 fu terza dopo Elivia Ricci e Paola Paternoster). Lui è mancato nel marzo 2004, lei, dopo una vita non sempre lineare, nel dicembre 2017, ma si è saputo del suo decesso solo alcuni mesi dopo, altra stranezza.

Antonio Davì, per tutti «Nino», Giuseppe «Pino» Davì. Due fratelli, due marciatori, giornalista il primo, ingegnere il secondo. Hanno fatto parte della vicenda agonistica sicula per un paio di decenni, forse più. Nino fu un volto notissimo in Trinacria, grazie al Telegiornale Rai regionale, dove egli entrò negli anni Settanta, dopo aver lavorato alla redazione del “Giornale di Sicilia”. Di lui si conoscono gli inizi come marciatore nel 1953. Noi lo abbiamo trovato in diverse liste (pubblicate sulla rivista federale oppure nei preziosi libricini di Bruno Bonomelli): a fine 1955, 50’39”4 (Milano, 30 settembre, ottavo ai Campionati nazionali assoluti, numero 14 in Italia) nel 1956 con il tempo di 50’47”, ottenuto ad Ancona il 15 settembre, sempre accasato al C.U.S. Palermo.

Pino Davì. Il suo nome compare nell’elenco dei corrispondenti regionali del foglio federale (numero 27, 16 settembre 1961, pagina 2). Altri che abbiamo trovato in un elenco posteriore: da Rovereto l’indimenticabile Ezio Tomasi; da Livorno, Renato Carnevali, poi per molti anni tecnico dei lanci; da Pescara un nome incancellabile, quello di Gianfranco Colasante. Sul numero successivo a quello segnalato, troviamo la firma di Pino sul resoconto dei Campionati siciliani, al «Cibali» di Catania. Ma il colpaccio lo mette a segno quando, il 7 e 8 ottobre, Giovanni Guabello, direttore di «Atletica», gli affida il servizio sull’incontro Italia-Polonia a Palermo. Titolo in prima su tutte e cinque le colonne, e ugual trattamento in quarta. Una vera e propria articolessa, scritta bene e molto circostanziata per ogni prova, cosa che spesso mancava. Poca gloria per gli azzurri, strapazzati per 127 a 80. Altro «pezzo» sul numero del 1° novembre, da Foggia, per riferire del Gran Premio del Sud; poi qualche giorno dopo, da Reggio Calabria, è costretto ad autocitarsi in quanto secondo dietro al celerino Dante D’Ascola nel Gran Premio dell’Ora di marcia. Per alcuni chilometri si tenne gomito a gomito con Gianni Corsaro, altro catanese, che aveva iniziato la carriera a Catania nel primo Campionato italiano di maratonina di marcia nel 1946. Marcia anche lui e piuttosto bene: a fine 1961 fu 20esimo in Italia con il tempo di 49’34”2. Collezionerà dieci titoli di campione siciliano, fu nazionale juniores nel 1960, chiuse la carriera con un buon 48’34”. Il giorno della visita di Dordoni a Palermo, Nino a fare gli onori di casa con il presidenre regionale, e Pino fra i giovani atleti da visionare. Noterelle senza nessuna pretesa di completezza.

Last Updated on Thursday, 17 November 2022 09:48
 
Trekkenfild numero 112, quasi monografico: la parola ai tecnici della corsa lunga PDF Print E-mail
Monday, 07 November 2022 09:14

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Massimo Magnani, Giorgio Rondelli, Renato Canova, Stefano Baldini parlano di maratona e di fondo. Sicuramente hanno da dire qualcosa di nuovo...Poi c'è un ritratto di Fabio Pasqualato, un trentino proveniente dalle file della Quercia Rovereto...Era atletica Carlo Giordani che scavalcava ostacoli, il quale, Fabio, da più di vent'anni vive a Kampala, in Uganda, e si dedica a «scoprire» talenti per la corsa, operazione difficilissima e mai tentata prima da nessuno in Italia, dove abbiamo avuto, e abbiamo, tantissimi emuli di Lanzarotto Malocello navigatore, i nostri hanno navigato alla scoperta della capacità aerobica dei popoli africani. Postilla personalissima: speriamo che in Uganda (dove operano anche altri «talent scout» italiani oltre a Fabio, tutti bravissimi, per carità) non facciano la fine che sta facendo il Kenya...ormai siamo a più di sessanta beccati positivi al doping solo negli ultimi due-tre anni, e tutti ovviamente maratoneti, men and women, mezzimaratoneti, montagnini, arrampicatori di trail, ecc ecc, secondo l'affollato mondo della corsa di ogni tipo e ad ogni costo. Ci permettiamo di suggerire un bel servizione su 'sta storia dei keniani, perchè ci è venuto il dubbio che la strapotenza dei Nandi e altra decina di tribù nella corsa non sia dovuta esclusivamente all'aria salubre dei 2400 metri della incantevole Rift Valley. Come ci fece riflettere una considerazione di un giornalista (preparato e intelligente) almeno una quindicina di anni fa: ma tu sei sicuro - disse al suo interlocutore - che quella keniota è proprio tutta farina genuina?

Un po' di cross, qualche notizia extra, e il numero 112 è fatto. Come concludono ormai tutti, la parola d'ordine è «buona lettura».

Last Updated on Monday, 07 November 2022 12:43
 
Mondiali Militari 1951: storia di un corazziere che amava molto la pastasciutta PDF Print E-mail
Wednesday, 02 November 2022 00:00

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Questa fotografia fu scattata a Brescia il 1° novembre del 1949. In quella data si disputò una riunione internazionale organizzata da Sandro Calvesi. Beppone Tosi svetta su tutti con la sua stazza, sotto di lui Consolini, il quale vinse con un bel tiro di 53,70 (ventitreesima gara della stagione), Tosi fu secondo con 51,78 (ventiquattresima gara dell'anno per lui). Venivano da una competizione a Valdagno e, il 4 novembre, avrebbero gareggiato a Bergamo: sempre primo Dolfo e secondo Beppone. Si riconoscono anche la campionessa olimpica (quattro ori l'anno prima a Londra) Fanny Blankers-Koen (sulla sinistra, un po' piegata) e, davanti a lei, Gabre Gabric, con un nastro bianco nei capelli. La ragazza con folta capigliatura, ultima dietro al gruppo è la bresciana Marisa Rossi, che quel giorno stabilì il primato personale e provinciale con 12"1 sugli 80 metri ad ostacoli


Ritroviamo attraverso le tante storie che vorremmo raccontarvi il sentiero che era partito dai Campionati Internazionali Militari dell'anno 1951, rassegna degli atleti che, a diverso titolo, erano considerati «stellati», i quali avevano esibito la loro bravura allo stadio romano delle Terme, l'unico che allora funzionava nella Capitale. Ci siamo occupati nelle settimane passate di due vincitori italiani in quella occasione: il velocista calabrese Gesualdo Penna e il martellista reggiano Ruggero Castagnetti, con l'aggiunta del modenese Silvano Giovanetti, secondo nella gara inventata dai forzuti fabbri irlandesi. Ce ne restano due: il discobolo Giuseppe Tosi e l'astista Giulio Chiesa, che pure vinsero il titolo mondiale militare. Iniziamo con «Beppone», l'omone formato Obelix che resta sempre una delle più belle figure della storia dell'atletica italiana, per carriera sportiva ma soprattutto per umanità e simpatia. Un giornalista che lo intervistò per la rivista «Corriere Militare» raccontò, dopo averlo visto mangiare, che "mangiava razioni di pasta inverosimili". Fra poco ci, e vi, affideremo a quanto scrisse il nostro socio fondatore Marco Martini, in un libro dedicato alle figure dei due Dioscuri del lancio del disco, Consolini e Tosi: «I campioni della simpatia», mai titolo fu più azzeccato. Il più estroverso dei due sicuramente il novarese di Borgo Ticino dove nacque il 25 maggio 1916. Un gran pezzo d'uomo Beppone: 120 chilogrammi distribuiti su 1,92 d'alterzza, un torace da 120 centimetri, scarpe numero 48. La storia cha andiamo a raccontarvi è una parte sicuramente meno conosciuta di Tosi: atleta negli stadi di atletica, corazziere nella vita. Detto questo lasciamo scivolare fluenti le parole di Martini.

L’aspirante corazziere

"Estroverso, aveva bisogno di comunicare, e in una delle tante sere trascorse all'osteria con gli amici davanti a un buon bicchiere di Grignolino, esternò i suoi sogni di lasciare il borgo natio; udì tutto un conoscente «particolare». Questi era un corazziere in pensione, tornato a Borgo Ticino a coltivare la terra. Il pensionato gli consigliò di fare domanda per svolgere il servizio militare nei Carabinieri, e che da quel trampolino di lancio poi, grazie al suo fisicaccio, sarebbe potuto passare nello squadrone dei Carabinieri a cavallo deputati a fare speciale guardia al Re: i Corazzieri. Seguì il consiglio e dopo un po’ fu chiamato a Torino per la visita medica che superò, venendo poi chiamato a iniziare la sua vita di allievo carabiniere esattamente il 1° aprile 1935. Svolto l’apprendistato da recluta, Giuseppe venne poi trasferito a Roma allo squadrone dei Carabinieri a cavallo, sito in via Legnano. Non trascorse molto tempo che, nel maggio del 1936, riuscì a coronare il suo sogno con il trasferimento nella caserma dei Corazzieri, in via XX Settembre; qui pensò inizialmente solo a fare il suo dovere, e nel 1937, terminato il periodo da allievo, divenne ufficialmente un corazziere.

“(…) sulle prime Giuseppe si dedicò a scherma e pallacanestro…fu notato dal maresciallo Angelo Bovi, fratello di quel Carlo che avviò al disco Consolini…Bovi chiese di poter reclutare Tosi nella squadra di basket della S.S. Parioli…e così il futuro grande discobolo vestì la maglia azzurra di quella società nel team di pallacanestro.

L’allenatore della squadra di atletica della Parioli, Renato Magini, si accorse delle potenzialità di lanciatore di quel ragazzone…e insistette per poterlo avere a disposizione sui campi di atletica. Lo avviò al getto del peso. Tosi fece il suo esordio agonistico il 29 aprile 1939…Magini lo avviò anche al lancio del martello (prima gara l’11 giugno) ma non al disco, specialità in cui Tosi scese in pedana solo per esigenze di squadra…”. Tirò due volte: il 30 luglio a Roma (38.42) e il 20 agosto a Pisa (38.12), sempre per il Campionato a squadre della Gioventù Italiana del Littorio. Magini rimarrà la guida di Giuseppe per tutta la carriera, con le «incursioni tecniche» di Oberweger, ovviamente. “Sui due grandi campioni (Consolini e Tosi, n.d.r.) ha aleggiato sempre, sia da rivale quando ancora gareggiava, sia da commissario tecnico della Nazionale, sempre disponibile a sostenerli e aiutarli, la figura poliedrica di Giorgio Oberweger…”, scrisse Martini.

 

Il corazziere

Il quale Martini titolò proprio così l’ultima parte della biografia di Tosi sul libro «I campioni della simpatia».

C’è un capitolo della carriera agonistica di Tosi che è completamente separato dalla vicenda comune vissuta insieme al discobolo di Costermano, ed è quello che riguarda le competizioni militari. Due furono le facce di questa esperienza vissuta da Peppone. Una riguarda l’aspetto interno al Corpo dei Corazzieri, con le partite di basket, pallavolo, le gare a squadre di palla a sfratto, gli inizi e gli allenamenti da lanciatore condivisi con altri atleti-corazzieri…L’altra faccia riguarda le competizioni militari internazionali, che fiorirono come mai prima nel dopo-guerra, svolgendo un ruolo assai importante nell’ambito della ripresa di pacifiche relazioni internazionali dopo il conflitto mondiale. Tutto ebbe inizio grazie alle autorità militari statunitensi che nel 1944, sia per concedere un po’ di svago a ragazzi rimasti per lunghi mesi sotto pressione, sia per amalgamare meglio truppe assai eterogenee quali quelle alleate, organizzarono tornei sportivi interni ai vari contingenti che si concludevano poi con campionati interforze. Nel 1944 i Giochi Interalleati, per quanto riguarda l’atletica si disputarono il 15 e 16 luglio a Roma, e nel 1945 il 26 agosto a Francoforte sul Meno. Mentre la manifestazione del 1944 si svolse a livello puramente individuale, quella del 1945 fu trasformata in scontro tra due blocchi dell’intera presenza alleata in Africa ed Europa, che furano denominati European Theater of Operations (ETO) e Mediterranean Theater of Operations (MTO). Come sempre quando si prova a sconfiggere un avversario, si tentano tutte le vie. L’orgoglio di squadra del gruppo meridionale (MTO) dell’intero scacchiere, per rinforzarsi reclutò il miglior milite italiano, Tosi. I due schieramenti si fronteggiarono con tre atleti contro tre per ogni singola gara, e Tosi vinse con 48,51 sconfiggendo i cinque avversari. Beppone fu prelevato a Roma da un aereo militare e accompagnato a Francoforte dall’allenatore in capo della squadra di atletica MTO, Richard Bahme. In una intervista rilasciata in età avanzata, il velocista-ostacolista Harrison Dillard, che prese anche lui parte ai Giochi Interalleati del 1945 si ricordava ancora chec’era pure un discobolo italiano, grande e grosso, che credo fosse il primatista del mondo”. Non lo era, ma fa lo stesso: era grande e grosso.

Il successo dell’esperienza sportiva interalleata post-bellica fornì l’idea per il varo di un organismo sportivo militare duraturo, e non solo temporaneo. Sotto l’egida del Consiglio Sportivo delle Forze Alleate, sorto nel maggio del 1946, nel 1946-47 furono organizzate alcune manifestazioni internazionali militari con la partecipazione anche di rappresentanti di nazioni dell’Europa comunista, ma poi i nascenti problemi politici li indussero a farsi da parte, e il CSFA cessò di vivere. Più tardi però, cogliendo l’opportunità giunta durante gare di schermidori con le stellette, cinque sole nazione europee (Belgio, Danimarca, Francia, Lussemburgo, Olanda) presero il coraggio a quattro mani e fondarono a Nizza il Conseil International du Sport Militaire (CISM). Era il 18 febbraio 1948, e il 4 settembre dello stesso anno, a Bruxelles, si disputò la prima edizione dei Campionati CISM di atletica leggera.

La prima intenzione delle alte sfere di questo organismo, con il fine di estendere quanto più possibile pacifiche relazioni nell’intero pianeta, fu quella di coinvolgere altre nazioni. A questo scopo ai Campionati CISM di atletica leggera, pur non essendo l’Italia ancora membro del CISM, fu invitato un atleta italiano (accompagnato da dirigenti con cui iniziarono trattative). La scelta cadde ancora una volta su Tosi. Nel 1950 i Paesi membri erano già dieci (Belgio, Danimarca, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Italia, Lussemburgo, Olanda, Svezia, Turchia), e nel 1951 fecero il loro ingresso, tra gli altri, anche gli Stati Uniti. Peppone fu un fedelissimo di questa manifestazione, a cui teneva moltissimo, e fino a quando gareggiò non mancò mai all’appuntamento (dal 1949 al 1954), vincendo sempre con margini di vantaggio vistosi, come mostra lo specchietto riassuntivo:

1949 Bordeaux, FRA primo 51,97
1950 Pau, FRA primo 51,21
1951 Roma, ITA primo 49,83
1952 Copenhagen, DEN primo 49,82
1953 Bruxelles, BEL primo 49,76
1954 Tilburg, NED primo 51,17

Lasciamo il testo di Martini e aggiungiamo qualche nota relativa all'anno 1951. La gara dei mondiali militari ebbe questo risultato: Tosi 49,83 (altra fonte 49,88), Savidge (Inghilterra) 43,36, Burton (Stati Uniti) 43,14, Fikkert (Paesi Bassi) 42,32, Kitziger (Belgio) 41,56, Turan 40,90. Nettissima la supremazia del nostro, come si vede. Pochissimi giorni dopo il successo militare, egli si aggiudicò, a Milano, il quinto (e ultimo) titolo nazionale: 50,27 per lui, 50,08 per Consolini. A questi due successi vanno aggiunti il titolo di campione inglese, in luglio a Londra con il suo miglior risultato dell'anno, 53,58, e la vittoria, ad Alessandria d'Egitto, il 9 agosto, nella prima edizione (ufficiale) dei Giochi del Mediterraneo, che dominò con un normale 48,49, davanti al greco Nykolaos Syllas. Una nota su questo greco (1.76 di statura!): sesto ai Giochi Olimpici 1936, settimo a quelli di Londra 1948, nono a quelli di Helsinki 1952, subito dietro Tosi, ottavo, per quattro centimetri.

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Gesualdo Penna, poderoso centista, futuro medico: uno scritto di Bruno Bonomelli PDF Print E-mail
Monday, 24 October 2022 08:19

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Giurin-giurello, sappiate che non abbiamo copiato il titolo da un articolo di Bruno Bonomelli del 1949 sul velocista calabrese Gesualdo Penna, di cui abbiamo scritto qualcosa recentemente, titolando «Mastro Don Gesualdo…ecc ecc». Confessiamo però che, peccando di scarsa fantasia, ci è venuto di riflesso chiamare l’atleta con riferimento al suo nome di battesimo come il protagonista del famoso romanzo di Giovanni Verga. Il suo Gesualdo di cognome faceva Motta. Noi siamo stati un po’ banali, lo ammettiamo. Pazienza, non vinceremo il Nobel della letteratura, d’altra parte neppure lo scrittore siciliano lo vinse. Facciamocene una ragione.

La invalsa abitudine di sfogliare vecchie carte per cercare di dare un senso a questo sito ci ha fatto inciampare in un ritaglio di giornale con questo titolo «Don Gesualdo laureando in medicina poderoso centista in continuo progresso». Soggetto dell’articolo il velocista di Reggio Calabria, autore quel tal Bruno Bonomelli cui noi ci ispiriamo, giornale «Sport Italia» numero 28 del 12 luglio 1949. Lo riproduciamo tal quale, apprezzando la verve dell’autore che scriveva chiaro, lineare e con un tocco di ironia. Aggiungiamo solo a proposito della misurazione del vento cui fa cenno Bonomelli che di nefandezze su questo tema, in atletica, ne sono state commesse tante, troppe, in tutte le epoche. Anche oggi che pare tutto supertecnologico.

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Con la facile vittoria conquistata dagli azzurri a Zurigo (non dimenticando che la Svizzera ha una popolazione inferiore alla Lombardia) possiamo considerare chiuso il primo periodo di attività atletica in Italia. Logico quindi che si esaminino ora i risultati che ne sono scaturiti per trarre qualche prima conclusione.

“Nella velocità è apparso quest’anno sull’orizzonte atletico il calabrese Gesualdo Penna, laureando in medicina. Già in aprile egli era stato accreditato di un 10”9, che però aveva lasciato molto scettici. Non che egli fosse uno sconosciuto, ché nel 1948 il futuro medico aveva già corso la distanza nello stesso tempo; ma gli è che nel settore delle corse di scatto le meteore sono assai frequenti. Si sapeva poi che Don Gesualdo, come viene scherzosamente chiamato dagli amici, non era costante nella preparazione, tanto è vero che avendo iniziato a correre nel 1942, aveva poi abbandonato lo sport, facendo una timida riapparizione nel 1947 (11”4). Si attendeva dunque una conferma: essa venne e a Firenze lo studente reggino si fregiava non solo del titolo universitario, ma altresì faceva fermare le lancette del cronometro sul 10”7. I tecnici tentennarono, e pretesero una nuova prova e questa volta in quella Milano che ha fama di avere mossieri e cronometristi cattivissimi. E sull’Arena il 12 giugno si appuntarono gli occhi di tutti.

“Nuovo sbalordimento generale: gli inesorabili sentenziarono 10”5. Ma c’era il vento, si disse, e non si tennero in gran conto le sette partenze false ed il fatto he fra i battuti, ed al terzo posto per giunta, c’era quel Perucconi che dopotutto ha un primato personale di 10”6 ed è più giovane di un anno (Penna è nato a Reggio Calabria il 2-5-1924).

“A proposito poi del vento, ci sia dato osservare che non riusciamo a capire il perché in Italia i tempi delle corse in rettilineo non siano suffragati dal bollettino sulla velocità vento, così come prescrive il regolamento internazionale. Se putacaso Penna avesse corso la distanza in 10”4, come si sarebbe potuto non omologare l’uguagliamento del primato di Mariani senza dimostrare che il vento aveva una velocità superiore ai km 7,200 orari? Bagnando forse l’indice colla saliva?

“Ma Penna non ascolta queste disquisizioni e a Bologna vince le prove veloci del campionato di II Serie (22”0-10”9). La via della nazionale gli si spalanca. Fa una corsettina a Messina, sostiene un paio di esami, ed una settimana dopo a Zurigo non si impressiona, lui laureando, di essere ridiventato matricola internazionale e si digerisce anche Montanari. Il nuovo asso ha una costituzione fisica poderosa (altezza m.1,77, peso kg 68, torace medio cm. 96) ed una potenza veramente esplosiva. Ma le sue attuali partenze non sono che un vorticoso mulinello di braccia e di gambe slanciate in tutte le direzioni, condite da zaffate di terra e di polvere rossa. Occorre quindi che la sua partenza venga disciplinata da precise norme stilistiche e questo è il compito che si assunto Oberweger e che verrà certamente portato a termine negli allenamenti collegiali a Perugia. Vedrete che a fine agosto ed ai primi di settembre, quando egli incontrerà gli americani a Torino, il primato di Mariani subirà un rude assalto. Anche se i maligni dicono che Gesualdo ha le gambe storte”.

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