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Ricordiamo l'amico Martino Gerevini, grafico e artista dalla mano innamorata PDF Print E-mail
Friday, 15 December 2023 07:00

 

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Nelle immagini: in quella verticale l'artista diede vita ad un unicum: il lago di Garda, la località di Gargnano, e il Montegargnano, dove è adagiato il borgo di Navazzo. Questa opera, del 1988, divenne il logo della corsa podistica internazionale «Diecimiglia del Garda». A fianco: siamo a Castenedolo, 14 novembre 2010, nella cantina dell' Azienda Agricola Peri Bigogno, per la esposizione “Da Maratona alla maratona”: Martino Gerevini è accanto a uno dei suoi ultimi lavori, una composizione tridimensionale dedicata alla distanza della maratona, km 42,195. Infine, il logo della ASAI, che l'artista elaborò per noi nel 1994. Le opere fanno parte della “Collezione privata Ottavio Castellini”

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Tredici anni fa, il 15 dicembre 2010, lasciava la vita terrena Martino Gerevini. Fra i nostri soci ci sono raffinati scrittori, coltissimi storici dello sport, accuratissimi compilatori di chilometriche liste di risultati, Martino Gerevini fu nostro socio non per condividere passioni per il nostro sport, ma ha avuto un ruolo del tutto speciale: è stato l'uomo che ha "vestito" di eleganza la nostra immagine, anzi le nostre immagini, il logo, le copertine dei nostri libri (quasi una quarantina, se n'è accorto qualcuno?), manifesti. Tutto all'insegna di una sobria eleganza grafica. Martino è stato per decenni direttore della storica tipografia Apollonio di Brescia, e in questo caso dire storica significa identificare l'anno 1840. Professione tipografo, come amava timidamente dire di tanto in tanto. Ha sempre scansato l'etichetta di "artista", seppure autore di opere bellissime nel filone dell'arte visuale, un maestro del colore, come gli riconobbe quel grande innovatore della grafica che fu Bruno Munari. Martino fu un amico, un grande amico dell'ASAI, mai domandò nulla, si limitava a dire quando presentava a qualcuno di noi un nuovo progetto grafico:"Ti piace?". Ed era felice di vedere che noi eravamo felici. Martino Gerevini il grafico lo faceva di mestiere, non per hobby, non per passatempo...e chi vuol capire...Ha dato molto, tanto, al nostro gruppuscolo. Abbiamo il dovere, oggi, di ricordarlo. Con affetto e con rimpianto.

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Di seguito pubblichiamo il testo di un giornalista del «Giornale di Brescia», Fausto Lorenzi, uomo di solida cultura, attento in particolare a tutto il mondo dell'arte. Il testo fu pubblicato nella brochure di presentazione della mostra «I colori dello sport», organizzata da un socio ASAI in uno storico edificio a Gargnano, sul lago di Garda, nel 2013.

Tra tipografia e arte visuale, un percorso di misure e scatti

di Fausto Lorenzi

Martino Gerevini amava definirsi operatore visuale. Metteva sullo stesso piano la manualità del tipografo e la ricerca attenta ai linguaggi della modernità essenziali, puliti, privi di ogni orpello e ridondanza. Era passato dai caratteri a mano disposti nei telai sui banconi della vecchia stamperia e dall’uso di forbici e colla al mouse ed alla grafica digitale, muovendosi, in parallelo con la sapiente attività professionale, nell’ambito dell’arte visuale. Non ha conosciuto la frattura fra arti e mestieri che ha segnato tanta parte del Moderno, anzi, proprio l’aggancio a problemi tecnici, formali e linguistici specifici dell’attività tipografica è stata per lui una griglia attraverso cui filtrare l’esplorazione di una soggettività più lirica e misteriosa, irriducibile a una fredda meccanica formale, pronta sempre al trasalimento, allo stupore.

Si è basato su una organizzazione di modelli da rovesciare e trasformare in piccole ma mirabolanti avventure, trepide e stupefatte, in territori sconosciuti, in spazi vibratili e metrici, in strutture di luce-movimento, fino a piccole galassie di forma-colore. Si capisce allora come per lui l’arte astratta o concreta – alla quale è imputato di segnare un limite, un “grado zero” oltre il quale è vano procedere – si proponesse come occasione per cambiare continuamente il punto di vista, affidandosi alla mutazione come costante della realtà.

L’arte concreta è quella basata sull’organizzazione degli elementi linguistici della pittura e della scultura. Le strutture primarie alla base dei lavori di Martino - specie il quadrato, il rombo, l’esagono, i numeri, le lettere - erano ricondotte ai dati elementari della superficie, della linea e del colore, nel ritmo misurato delle variazioni e combinazioni di tali elementi. La ricerca di forme e colori puri mirava a definire anche gli aspetti psicologici, di necessità interiore e carica energetica delle sue realizzazioni. Geometria e colore a dare un ritmo ai sondaggi nel mare delle emozioni.

Pochi giorni prima di morire, nel 2010, alla vernice di una mostra a quattro mani con don Renato Laffranchi sul Cantico delle Creature, Martino Gerevini aveva proclamato: “Io sono felice”. Parlava di felicità delle creazioni grafiche e pittoriche che nascevano da una mano che è stata davvero innamorata, a partire proprio dall’etica del lavoro ben fatto, a regola d’arte, e altrettanto dell’inno alla vita, di semplicità francescana, che andava cantando. Le opere che palesavano il modo stesso in cui erano costruite rivelavano infatti la tensione a trasformarsi in una sorta di diaframma trasparente, per fondare relazioni chiare e pure tra le cose e gli uomini. Fino a campi di forza costruiti quasi di nulla, di elementi minimi di simmetria e asimmetria o di modulazione della superficie per generare sorprese continue, anche solo limitandosi sulla soglia di senso.

Gerevini aveva imparato da Bruno Munari, che l’accompagnò in più mostre e cataloghi, come le invenzioni più ardite nascano da processi di semplificazione, dall’impiego di materiali quotidiani semplici (lui usava anche bande per le prove di colore, smarginature e ritagli dei menabò tipografici, per collage ilari e giocosi) pronti sempre a suggerire la metamorfosi degli opposti. Aveva imparato a vedere che le forme si trasformano l’una nell’altra, generando infiniti punti di vista, e sapeva che fra contare e raccontare c’è forte affinità, sicché usava numeri, cifre, simboli geometrici come viatici ai sogni ed alla meditazione. Mirava soprattutto a trasporre cose e immagini “sottratte” alla banalità e funzionalità quotidiana ( e perciò rubate alla serie, all’usura consumistica) e ad affidare loro una delega d’ironia e d’effrazione, di rivolta minima, di inafferrabilità e leggerezza. Un gusto di sortilegio che creava un mondo parallelo, associando una componente di rigore, di calcolo, ad una di alea, di gioco, rispetto alla normalità d’uso delle strutture ordinate.

Gerevini, maturato nel clima di arte programmata, ottico-cinetica e visuale, ha sperimentato anche opere basate su ritmi combinatori che le rendessero ogni volta “aperte”, cioè diverse nella percezione dello spettatore. Per Gerevini, operatore visuale nel mondo dell’arte applicata, diventava quasi un obbligo d’etica professionale ricondursi ai dati basilari di superficie, linea e colore “oggettivizzati” nel linguaggio della grande comunicazione. Ne ha fatto un abito di progettazione di cose “giuste in se stesse”, nell’organizzazione degli elementi linguistici della pittura e della pagina tipografica.

C’è una millenaria tradizione di intarsi e incastri di strutture elementari che ha fondato la nostra percezione del senso dell’ordine, sicché anche ogni colore è portatore di una sua geometria interna, da cui scaturisce una certa struttura. Quadrati, rettangoli, triangoli, esagoni, rombi, cerchi, losanghe si iscrivono in una trama accertata, che pare declinarli in un linguaggio corale, una memoria collettiva. Ma le strutture primordiali, proprio perché replicabili nel tempo, sono idee e si possono tradurre in materie e dimensioni differenti: il senso dell’ordine s’instaura dunque entro una dimensione sfuggente, che si carica anche d’accenti fiabeschi, stupefatti, come generata da una matrice d’eventi latenti. Perciò Le forme, le figure della geometria nei lavori di Gerevini non chiudono lo spazio, ma stanno dentro lo spazio, come se vi galleggiassero.

Negli anni più recenti Martino, da semplici forme geometriche combinate in modo da creare l’illusione della profondità e del movimento, era venuto inseguendo anche movenze biomorfiche, ma soprattutto sempre più s’era orientato verso una sorta di scenografia di libere forme  geometriche, addentellate l’una sull’altra su vari piani di colore, come una musica di energie vibrate.

Insomma, le geometrie in Gerevini si sono ribellate alla piattezza, cercando di vivere oltre le due dimensioni. E non ha avuto paura di ritornare a richiami figurali, per quanto decantati, ridotti a profili, anche nel ricorso crescente al collage ed al computer rispetto alla pittura.

I migliori tipografi hanno sempre insegnato che è nella pulizia della pagina che si fa grande un libro, una locandina, un manifesto, un logotipo, un marchio. Il carattere tipografico è il corpo che hanno le parole per rendersi visibili: le idee, i messaggi, sono già nella forma stessa delle parole, e se il corpo non è coerente con le parole, si genera un disturbo percettivo. E la funzione è anche nel farsi guardare. Gerevini anche nei lavori di annuncio di eventi e di pubblicazione di annuari e repertori di dati e performances sportive ha ripassato tutta un’avventura novecentesca, tesa a fondere nell’identico processo formativo il disegno industriale e le arti visuali. Saggiava le virtualità iconiche dei caratteri tipografici in composizioni di poesia visiva: l’antica legge artigiana dell’opera “a regola d’arte” si accompagnava al bisogno di restituire all’alfabeto - alle parole ed alle immagini del nostro tempo - una forza estetica di rigore, severità e chiarezza comunicativa, sia quando ha usato una forma statica che diventava scansione ritmico-energetica, sia quando ha inscenato un’aritmia sincopata, a indicare con la fusione jazzistica di linee e colori la strada del movimento sul piano.

Un’arte - applicata e no - che si è mossa contro l’immagine gridata, contro il fragore, l’inquinamento visivo, la falsificazione. Ha usato un vocabolario per un immaginario collettivo fatto di eticità e rigore, dove la geometria, la misura corrispondesse a quella dello sforzo atletico, dei risultati sul campo di gara, della sfida - senza barare - ai propri limiti. Anche in questi lavori legati a precise committenze, ma diventati una lunga consuetudine per più decenni, Martino Gerevini ci ha mostrato come i gesti quotidiani di ciascuno debbano essere rigorosi, limpidi, essenziali. Attraverso l’attività tipografico-editoriale e la ricerca d’artista visuale sapeva bene come dall’incontro con forme e colori venisse qualcosa di più d’una semplice comunicazione, ma uno scatto in avanti, un’energia come quella dell’atleta che tende al traguardo, mirando alla precisa cadenza dei passi ed alla precisione del percorso.

Last Updated on Monday, 18 December 2023 09:35
 
Trekkenfild numero 124, tappa di passaggio in attesa della corsa fra i campi PDF Print E-mail
Friday, 03 November 2023 12:25

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Lo potete vedere voi stessi dalla copertina di questo nuovo numero: c'è di tutto un po', e quindi tanto da leggere per gli appassionati del presente. C'è perfino un risvoltino di palla ovale, prendendo spunto dalla recente bellissima Rugby World Cup in Francia, con partite avvincenti e combattute fino all'ultimo secondo, e sempre su scarti di punteggi risicatissimi. Tranne che per il «quindici» italico che ha preso due schiaffoni davvero sonori, e, forse troppo severi, ma avevano difronte il meglio del mondo. E l'Italia a tutto ovale sta su un pianeta molto lontano. Un grande sberlone ha preso la Francia, padrona di casa, eliminata dai primi quattro scranni (Sudafrica campione, All Black neozelandesi, Inghilterra e Argentina), con gran dispetto del loquace presidente Macron. Annata luttuosa per lo sport transalpino: prima del rugby era venuta la magra dei campionati mondiali di atletica, che avevano suscitata la piccata reazione della signora ministro dello sport, Amélie Oudéa-Castéra, che aveva chiamato a rapporto il presidente della Federazione francese e lo aveva rivoltato come un calzino. A Budapest una sola medaaglia d'argento, come le Filippine e il Pakistan. Après ça le déluge! La signora ministro ha un curriculum sportivo di tutto rispetto: tennista di buon livello, presenze giovanili a Wimbleon, Roland Garros, US Open, per dire, titoli in Francia.

C'entra niente con l'atletica, ma in po' di cultura sportiva generale non guasta mai. Già che siamo in tema di schiaffoni. Accenniamo a quello che, pochi giorni fa, ha preso l'Italia dal Comitato olimpico internazionale a proposito dei Giochi, olimpici sempre, quelli del freddo e del gelo, 2026 Milano-Cortina. Oggetto della farsa: la pista di bob, i suoi costi, il suo spostamente in altra sede, visto che Cortina i quattrini non li ha. Si sono offerte due nazioni vicine, che le piste funzionanti le hanno: Innsbruck e Sankt Mortiz, adiacenti le nostre regioni alpine. No, per carità, ha detto uno dei geni attuali della non-politica italiana, e ha spolverato la minchiata che va di moda adesso: Olimpiadi tutte sul suolo italiano! Italy first, tanto per non farci mancare un po' di trumpismo d'accatto.

Pensate la coerenza: no a condividere i Giochi 2026 o con Svizzera o con Austria, sì a spartire i Campionati europei di calcio 2032 con la Turchia del simpaticissimo presidente Recep Tayyip Erdoğan. Rob de matt! Questa dichiarazione ce la siamo annotata al momento dell'assegnazione dell'Europeo pedatorio 2032. Un altro luminare della politica e dello sport dichiarò che la spartizione con la Turchia era "una opportunità per generare eredità positive". Abbiamo chiesto aiuto a Google Traduzioni, niente, si rifiuta di tradurre, la frase non ha senso. Povera Italia, in che brutte mani sei caduta!

Scusi redattore: ma non doveva parlare di Trekkenfild 124? Ha ragione...ma perchè parlarne? meglio leggerlo. Un click sulla copertina e siete dentro.

Last Updated on Monday, 06 November 2023 09:47
 
Bicicletto addio, preferisco lo sprint dei 100 metri, decise Umberto Colombo PDF Print E-mail
Thursday, 02 November 2023 00:00

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Riceviamo da Alberto Zanetti Lorenzetti, che ringraziamo per le cortesi parole e per il contributo all'arricchimento delle nostre conoscenze storiche di lontani campioni del nostro sport.

"Invio queste righe come ringraziamento per il commento lusinghiero apparso sul sito dell’ASAI Bruno Bonomelli a proposito della pubblicazione dell’Olympiabolario, il lavoro che ha come co-autori il sottoscritto e Giampiero Petrucci, esperto di ciclismo e amico di vecchia data a suo tempo presentatomi da Aldo Capanni. Ritengo doveroso esternare la mia gratitudine perché oggi non è facile trovare chi apprezza quello che fai e te lo dice, a fronte dell’imperante maleducazione di coloro che fanno proprio il lavoro degli altri sia per quanto riguarda la compilazione dei testi che per la ricerca delle immagini d’epoca, senza nemmeno avere la buona creanza di riconoscere il minimo sindacale, cioè la citazione della fonte".

1897, chi l'è quell lì ? Umberto Colombo, el gioinòtt de Porta Garibaldi, l'è una schejà!

Un lavoro di così ampio respiro non poteva non produrre qualche novità che è in grado di incuriosire qualcuno degli interessati (probabilmente pochi) lettori. Ne riporto un esempio. Nei cinque anni che ho trascorso per motivi di studio da ragazzino a Milano, ho scoperto che il cognome Colombo fa un’accanita concorrenza al più noto Brambilla. In classe noi addirittura avevamo il rapporto di 3 a 1 a favore dei primi, con l’inevitabile creazione in classe della cosiddetta “colombaia”. Da grande esperto di ciclismo qual è, al momento di affrontare i Giochi olimpici di Parigi del 1900 Petrucci si è insospettito quando ha potuto verificare che il nome Luigi Colombo, riportato in autorevoli libri e siti internet che si occupano di Olimpiadi, corrisponde a un ciclista che è stato autore di buoni risultati fino al 1895 per poi scomparire dalle cronache sportive. Non solo: la raccolta della Gazzetta dello Sport dell’annata olimpica ha fornito in più riprese alcuni preziosi “assist” alla ricerca, non solo riportando il nome di un certo Umberto Colombo ciclista, ma addirittura riportando che l’omonimo sportivo praticante l’atletica leggera era reduce da alcune corse in bicicletta disputate a Parigi. Tenendo conto inoltre che il ciclista l’anno precedente, il 1899, si era classificato secondo ai Campionati nazionali dilettanti di velocità e che l’atleta certamente aveva preso parte ai Giochi parigini nei 100 e 400 metri, si è fatto strada il dubbio che i due Colombo fossero la stessa persona.

Non contento delle ulteriori notizie provenienti dalla Gazzetta dello Sport, Petrucci mi ha sottoposto la questione per cui ho ritenuto opportuno richiedere l’aiuto dell' amico presidente dell’ASAI affinché potessero entrare in gioco i suoi amici storici francesi.

Detto, fatto. Castellini si fa carico del quesito e in tempi brevi arriva (in inglese) la risposta di Vincent Guignard:

"In Paris newspapers of July 1900, there are several lists of athletes entered in olympic track and field events. In these lists, there are always 3 Italian athletes, one of them being Colombo. When his first name is given, it is always Umberto Colombo. He was entered at least in sprint events.

There was also an Italian cyclist called Umberto who took part in olympic cycling events in September 1900. In the French newspapers of September 1900 his first name is never mentionned. But earlier, in an issue of May 1900, Le Vélo had published a list of Italian professional and amateur cyclists, and the name of U. Colombo is mentionned among the amateurs. Later, in December 1900, L'Auto published a short article on an Italian cyclist called Umberto Colombo who had just turned professional.

There are many allusions to the cyclist in Le Vélo in 1900 especially between March and September. The only long period with no allusion to him is between early July and early August, precisely when an athlete also called Umberto Colombo was in Paris, competing in track and field events. My conclusion is that there was only one man called Umberto Colombo and that he was both the athlete and the cyclist".

Riassumendo brevemente, Guignard dà la conferma che anche secondo la stampa francese il Colombo presente alle gare ciclistiche delle Olimpiadi del 1900 non è Luigi. Di conseguenza il sospetto diventa una certezza: l’Umberto Colombo campione nazionale nel 1898 e 1899 dei 100 metri e partecipante ai Giochi di Parigi nelle gare di atletica è la stessa persona che gareggiò nel ciclismo nella gara di velocità e nella corsa a punti, unico italiano a prendere parte a due discipline sportive in quella Olimpiade. Non rimane quindi che ringraziare Ottavio Castellini e Vincent Guignard per averci aiutato ad aggiungere un piccolo tassello all’affascinante storia dello sport italiano. Se volete sapere qualcosa di più sul personaggio in questione potete consultare l’Olympiabolario selezionando con il cursore la voce presente nella colonna di sinistra del nostro sito.

Last Updated on Thursday, 02 November 2023 16:50
 
E siamo a undici, tanti sono i volumi della nostra storia dei Campionati italiani PDF Print E-mail
Thursday, 19 October 2023 07:45

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Campionati italiani di atletica. Atletica, capite? Chei che cur, i tira una bala de fer, i fa el salto per aria...conoscete?  Che bisogno c'è di dirlo, chiederete. Il motivo c'è, eccome. L'Archivio storico dell'atletica italiana "Bruno Bonomelli" è nato trent'anni fa, il 1º maggio 1994. In trent'anni alla guida di quella che chiamano Federazione italiana di atletica leggera si sono alternati quattro presidenti, compreso l'attuale, e vicino a loro (o lontani?) una pletora di cosiddetti consiglieri federali; dei Segretari Generali abbiamo perso il conto. E che c'entra? C'entra, c'entra...dei suddetti quattro presidenti e famigli non ce n'è stato uno che si sia accorto che la nostra organizzazione (totalmente indipendente) sta portando avanti, dal 1997, un progetto di pubblicazioni sulla storia dei campionati italiani di atletica leggera, di cui lor signori dovrebbero essere i numi tutelari. Un silenzio assordante, una disattenzione totale. In compenso, ci dicono i bene informati delle misere vicende contabili, la sunnominata Federazione è riuscita a fare un buco di bilancio di un milione di euro e spiccioli. Noi dell'ASAI, in trent'anni, non abbiamo mai ricevuto un centesimo, né di lira, all'epoca (da tanti incolti plebei scioccamente rimpianta), né di euro. Ma di più: ci fosse stato uno di questi «eletti» che, a titolo personale, abbia comperato una copia, dicesi una, almeno per curiosità, "fammi vedere che scrivono 'sti presunti storici dell'atletica"...macché, per carità!

Piagnisteo? No, semplice costatazione. Incontestabile. In tre decenni abbiamo sempre fatto tutto da soli, con la nostra iniziativa, soprattutto con il nostro borsellino. Chi più, chi meno, chi niente. Ma siamo arrivati fin qui e andiamo avanti. E con questa orgogliosa e puntigliosa linea di condotta, oggi possiamo, con soddisfazione, presentare l'undicesimo volume (128 pagine) della cronaca commentata - ci piace di più questa definizione - dei Campionati italiani di atletica leggera, campionati di tutte le discipline riconosciute, ieri oggi e speriamo domani. E in linea con tutte le precedenti pubblicazioni, nel libro ci sono importanti contributi che arricchiscono la narrazione del periodo di cui si tratta. Augusto Frasca intrattiene il lettore sulla cultura e i grandi fatti del mondo; Sandro Aquari punta i riflettori sull'atletica mondiale; Sergio Giuntini attinge alla sua vasta conoscenza della storia dello sport per un saggio, di volta in volta, nuovo e avvincente; in questo nuovo volume, Fabio Monti tratteggia la figura di Piero Bassetti, lombardo, industriale, atleta e poi politico di gran spessore. E poi, la lunga e dettagliata narrazione dei campionati. Tutto è impreziosito da una puntuale e accurata ricerca di immagini, in parte dovuta a Alberto Zanetti Lorenzetti e alla personale raccolta di documenti, pubbicazioni e immagini di un altro socio.

Nel caso, auspicabile, che esista qualcuno interessato alle vicende passate del nostro sport  quindi a questo lavoro, può contattare, per conoscere i dettagli su come ricevere il libro, il nostro segretario This e-mail address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it . Nel contempo, ricordiamo a coloro cui fosse sfuggito, le dieci edizioni precedenti: 1897 - 1898/1912 - 1913/1920 - 1921/1924 - 1925/1928 - 1929/1932 - 1933/1940 - 1941/1944 - 1945 - 1946. Le copertine sono visibili nella fotografia che correda queste righe.

Last Updated on Monday, 25 December 2023 07:08
 
Chi furono le migliori atlete nel 1946, con piste malandate e poco da mangiare? PDF Print E-mail
Tuesday, 17 October 2023 14:31

Seconda parte della nuova ricerca compilatoria, che ha visto impegnati in un lavoro lungo e tuttaltro che facile i nostri soci Enzo Rivis, Enzo Sabbadin e Bruno Cerutti. Un paio di settimane fa pubblicammo le liste dei giovanotti. I criteri sono gli stessi: le migliori atlete e le prime dieci prestazioni, per ogni disciplina, che a quei tempi non erano molte. Anche la profondità delle varie compilazioni può essere non uniforme, data la scarsa attività e la misera offerta di fonti. Ma la «fotografia» dell'atletica femminile in Italia quell'anno ha ora una documentazione consolidata, su cui i numerosissimi studiosi potranno apportare aggiunte e correzioni in futuro. Lavoro non facile, dicevamo, quell'anno fu uno dei più duri per la popolazione italiana, uscita con le ossa maciullate dalla scellerata guerra nazifascista. Si correva su corsie e pedane che erano più tratturi che piste di atletica, i trasporti erano una odissea; gli alloggi in trasferta ve li lasciamo immaginare; l'alimentazione non certo abbondante. I temerari che si avventuravano ad organizzare facevano del loro meglio, la Federazione, diciamo, pure. Se le condizioni erano dure per gli uomini, immaginatevi per le donne, alcune ormai signore maritate e con prole, altre ragazzette che cercavano di fare un po' di movimento, fra incomprensioni e, spesso, derisioni. Cronometraggi sempre un po' incerti, i tempi si davano in quinti o in decimi? Mah...La stampa sportiva, in verità, seguiva quel che avveniva nel microcosmo atletico nazionale; il bollettino federale riferiva, parzialmente, i risultati delle competizioni di campionato, ma non mancavano mai pompose articolesse di scarsa utilità. La maggior attenzione alla attività atletica veniva dalla milanese «Gazzetta dello Sport», direttore Bruno Roghi, redattore un tal Gianni Brera che del nostro sport si occupava quasi a tempo pieno. Inferiore sia come qualità che come quantità il romano «Corriere dello Sport». Sono i due giornali su cui si sono prevalentemente basate le ricerche dei nostri compilatori. Nel 1945, Renato Casalbore aveva dato vita, a Torino, all'altro foglio sportivo, «Tuttosport». In Piemonte esisteva pure un settimanale, «Paese Sportivo», su cui firmava Alfredo Berra, nome non secondario nelle vicende dall'atletica italiana, almeno fino agli anni Settanta.

Questo era il quadro, ed in esso si ambientano le liste che, oggi, abbiamo il piacere di presentare. Liste che ci pare - a memoria - non abbiano molti precedenti. Adesso una spiegazione. Marco Martini, dopo aver dedicato le sue accurate attenzioni alle liste maschili, iniziò la compilazione di quelle femminili. Purtroppo, il termine della sua vita terrena aveva posto fine anche  a questa ricerca. Da qui nasce la cesura che appare evidente sul nostro sito: due voci nell'indice, liste dal 1921 al 1930, compilatore Martini, liste 1946, compilatori Rivis, Sabbadin e Cerutti. E in mezzo? Per ora un bello spazio bianco. Si facciano avanti coloro che, a chiacchiere, son sempre maestri.

Lasciamo la scoperta di questi antichi numeri a coloro che hanno curiosità per la conoscenza di vicende ormai lontane. E lasciamo lavorare i nostri compilatori per proseguire il lavoro: 1947, 1948, e via...su per li rami (Dante, Purgatorio VII, 121). Per un accesso diretto alle liste femminili 1946, cliccate qui.

Last Updated on Thursday, 19 October 2023 09:32
 
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